LOCRI Una storia che inizia con una scelta netta e decisa: quella di stare dalla parte giusta, contro quel malaffare con il quale Peppino Impastato aveva convissuto. «La sua rottura avviene all’interno della propria famiglia, Peppino è l’esempio che si può rompere con la mafia anche se si viene da una famiglia mafiosa». È il racconto di Giovanni Impastato, fratello del giornalista ucciso da Cosa nostra la notte del 9 maggio 1978 a Cinisi, in provincia di Palermo. Figlio di un esponente mafioso, Peppino troncò i rapporti con il padre, che lo cacciò di casa, e avviò un’attività politico-culturale di sinistra e antimafia. Nel 1977 fondò Radio Aut e il sogno di cambiare le cose nella sua terra lo aveva portato a candidarsi alle elezioni comunali nella lista di Democrazia Proletaria. Schierato da sempre contro la mafia e i mafiosi, Peppino ne denunciò crimini e affari, in particolare quelli di Gaetano Badalamenti, boss locale che fu condannato per aver ordinato l’omicidio del giovane.
Il racconto di una vita breve ma intensa – Peppino fu ucciso a soli 30 anni – è raccontata con dovizia di particolari e aneddoti familiari dal fratello Giovanni Impastato, che raccogliendone il testimone continua a fare memoria. A Locri Impastato ha presentato il suo ultimo libro “Mio fratello, tutta una vita con Peppino”. Dialogando con il giornalista di Avvenire Toni Mira, Giovanni Impastato ha raccontato il rapporto con il fratello, con il padre mafioso e dei fatti accaduti prima e dopo l’omicidio, di come cercarono di far passare Peppino per terrorista e della battaglia per la verità combattuta insieme alla madre Felicia: «Uomini dello Stato si sono resi complici del tentativo di depistaggio. Tutti quelli che stavano cercando di arrivare a una verità sulla sua morte furono invece uccisi, questo dice molto. Mia madre non cercò mai vendetta ma sempre giustizia, anche se all’inizio fu difficile».
«Peppino è l’esempio che si può rompere con la mafia anche se si viene da una famiglia mafiosa», afferma Giovanni Impastato che racconta di aver scritto alla figlia di Matteo Messina Denaro: «In una lettera resa pubblica sui giornali le scrissi di stare accanto al padre e di aiutarlo a pentirsi». «L’appello che lancio – ha aggiunto Impastato – è di iniziare a fare un processo di revisione critico: non continuare a coprire».
«Oggi Peppino – racconta Giovanni Impastato ai microfoni del Corriere della Calabria – sarebbe un giornalista, uno scrittore, una persona impegnata quotidianamente nella lotta contro la mafia, per la legalità, per la giustizia sociale, magari sarebbe a fianco a quelle persone che lottano per la salvaguardia dell’ambiente, era un ambientalista, una persona di cultura e di impegno civile e sociale. Per me essere a Locri è importante, in particolare oggi (ieri, 16 ottobre ndr) nel giorno dell’anniversario dell’assassinio di Francesco Fortugno. È una giornata di memoria. Anche qui c’è una grande tradizione di impegno antimafia che voglio vivere assieme a tutti voi, questa per me è una grande emozione».
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