LAMEZIA TERME «Io i panni dell’ex non li ho mai voluti vivere, non mi sono sentita un ex magistrato, quando ero politico e così è successo da sindaco, da assessore, da parlamentare. Essere “ex” significa dare giudizi ed entrare nel merito di cose che stanno facendo gli altri, e delle volte potrebbe anche essere opportuno». A parlare è Doris Lo Moro, già sindaco di Lamezia Terme, ma anche già assessore regionale e parlamentare, ospite del talk “Telesuonano”, in onda su L’altro Corriere Tv (canale 75 dtt). Incalzata dalle domande di Ugo Floro e Danilo Monteleone, Doris Lo Moro ha innanzitutto ripercorso la propria storia politica, il forte e indissolubile legame con Lamezia Terme e il suo futuro, ancora tutto da definire anche perché, ha detto, «quello che sono stata è un pezzo della mia storia che coincide anche con un pezzo della storia della città di Lamezia Terme e della Calabria, sarà giudicato poi nel tempo, ma quello che importa nella vita è come le cose si evolvono, e questo sul piano personale è valido per tutti».
Un sindaco che in quel percorso amministrativo, questo è un dato della storia, ha attuato scelte anche amministrative particolarmente coraggiose. Lamezia, ad esempio, era reduce dal barbaro assassino dei due netturbini e il tema dei rifiuti era un tema molto importante. «Senza quegli episodi» ha confessato Doris Lo Moro «probabilmente non avrei mai fatto politica». Sono assolutamente consapevole che «l’assassinio dei due netturbini, e tutto quello che è venuto dopo, l’omicidio Aversa e della moglie, ma anche contestualmente la morte di Falcone e Borsellino altrove, tutte queste emozioni, allora ero un giovane magistrato, hanno sicuramente orientato la mia sensibilità verso un impegno sociale». Lasciare la magistratura «mi pesò moltissimo» ha detto ancora, e «all’inizio mi pesò in maniera incredibile. E ricordo che il primo giorno, quando ho saputo che dovevamo fare una delibera, mi è preso il panico. Abituata alle sentenze, le delibere le vivevo con un impatto amministrativo più freddo. Devo dire però che tutto questo è stato possibile perché questa sensibilità che è nata in me si è incrociata con un’agenda cittadina che era la nascita di un movimento a Lamezia di cui non facevo assolutamente parte». In quel periodo, dunque, Doris Lo Moro non faceva politica ma in città nasceva un’istanza di riscatto che è stata raccolta da tantissima gente che si è riunita e ha elaborato progetti, ha portato avanti anche scelte importanti. Come la candidatura del magistrato. «La sensibilità di questo collettivo si è incrociata, con fatica, con la mia, perché all’inizio ero assolutamente refrattaria, quindi non è stato merito mio questa candidatura». È stata anche una bella battaglia elettorale, ci fu un turno di ballottaggio, c’erano anche dei personaggi autorevoli come Fabrizio Falvo e il giudice De Grazia. Doris Lo Moro, all’epoca, era più civica sia pur orientata a sinistra. Poi però ci fu una seconda fase dove divenne politica nel Pds e poi Ds. «Intanto – ha spiegato – la fase civica fu determinata dal fatto che il partito dell’epoca, il Pds antenato del Pd e poi divenne Ds, fece un passo indietro con una scelta quindi politica. Questa è comunque l’epoca che mi era più congeniale e mi è rimasta più congeniale, perché sono rimasta sempre legata alle mie battaglie per i diritti. Anche oggi, sono molto orientata verso le battaglie civili e quindi gli organigrammi, tutte queste cose, mi sono state abbastanza strette».
Nel percorso amministrativo di Doris Lo Moro, tra le tante cose che vennero partorite in quel frangente amministrativo, ce ne sono alcune che ancora oggi documentano probabilmente una visione di prospettiva. Una di queste risponde al nome della Lamezia Multiservizi, il primo caso in Italia, alla quale si affiancò LameziaEuropa. «Sull’area industriale di Lamezia il disegno non era solo cittadino ma era calabrese, meridionale, perché quell’area se ha un’importanza strategica ce l’ha per l’intera Calabria e ce l’ha tuttora. Un’altra esperienza su cui Lamezia fu apripista furono poi i «patti territoriali, è stata un’epoca in cui Lamezia era al tavolo del Cnel in cui queste cose nascevano, le regole le stabilivano là e il sindaco di Lamezia, poi presidente di LameziaEuropa, aveva un credito, tant’è che ottenemmo anche i soldi per acquistare 400 ettari dell’area ex-Sir». L’aver creato la Lamezia Multiservizi era un fatto amministrativo che riguardava una città e interveniva però su un tema su cui la Calabria ha faticato tantissimo. «E i conti d’ordine che sono stati consentiti anche dall’avere avuto una gestione pulita, seria, garantita anche da Bevivino, che è l’attuale amministratore delegato, all’epoca fu veramente molto coraggioso. Ma l’input della politica dell’epoca era niente clientela, niente assunzioni clientelari di nessun genere, non era una bandiera, abbiamo assunto soltanto un fratello di uno dei netturbini uccisi. E in una città piena di giovani disoccupati crei opportunità».
Guardando a Lamezia Terme si potrebbe applicare la famosa frase di una città che “ha un grande futuro dietro le spalle”, trasformando una città a promessa ancora non realizzata. «È vero ed è anche vero che l’illusione che ai tavoli quanto meno regionali, per la verità in alcuni casi anche nazionali, potessimo dire la nostra, l’abbiamo coltivata a lungo, ma poi via via è andata scemando». «Io ho dato delle volte giudizi critici sia sull’amministrazione Speranza e mi è capitato anche di darli sull’altra amministrazione che tuttora è in carica ma non saprei ricostruire le vicende comunali. Certamente – sottolinea – non si è andati avanti, perché se vado oggi in giro, trovo le stesse opere pubbliche del 2001, quando ho lasciato la città. Qualcosa non ha funzionato certamente sul piano della concretezza, perché si è faticato a continuare la politica non solo di risanamento di bilancio, di mantenimento delle cose». «Siamo sempre una speranza per la Calabria e su questo c’è da interrogarsi, questo secondo me è la base per chi si dovrà candidare per il futuro, capire che non si può continuare ad essere delle incompiute perché anche la nostra città va per decollare però poi fino in fondo non l’ha mai fatto». Bisogna ricordare che «a Lamezia, quando emerge qualcosa o qualcuno, si tende subito a dire qualcosa di negativo, non c’è la spinta a mandarla avanti, io questo l’ho vissuto in prima persona, l’ho vissuto anche da assessore regionale, da parlamentare. Dando un giudizio che potrebbe sembrare superficiale, il centrodestra, ai miei occhi, si coalizza sugli interessi, a Lamezia questo sembra non funzionare».
Il maxiemendamento fu una tappa chiave per la Calabria e il destino di Doris Lo Moro, con la scelta di ridurre drasticamente le Asl, i centri di potere, e di portarli da 11 a 5. Su questo si registrò una sua presa di posizione, un sostanziale disaccordo. «L’errore che hanno ammesso a tutti i livelli, era fare un maxiemendamento mentre l’assessore del ramo stava facendo il piano sanitario ed era pronto per depositarlo. Quello fu comunque un errore. Molti non hanno capito perché non mi sono dimessa ma, avendo il culto dell’amministrazione e delle cose concrete da lasciare, non volevo andarmene per consentire di dire che non è stata capace di creare il piano sanitario quando ero alla vigilia del deposito. Nel mio piano sanitario erano otto le aziende, e c’era anche quella di Lamezia Terme, ma non è importante questo perché molti finsero di non capirlo, era importante la battaglia di Lamezia che veniva colpita attraverso l’assessore, perché l’assessore alla sanità in carica, che si vede colpito nottetempo in quella maniera, andava protetto». «A sinistra non capirono perché non mi dimettevo, dall’altra parte quello che successe dopo è che mi fu data l’altra polpetta avvelenata di eleggermi presidente del Partito Democratico per due giorni e per pochissimo tempo, perché l’obiettivo finale era che quella che poteva essere una promessa della politica calabrese si spegnesse». «È una cosa però su cui bisognerebbe riflettere, perché consentire a due o tre persone di avere in mano il centrodestra e a due o tre persone di avere in mano il centrosinistra e di condizionarlo così pesantemente è una grossa responsabilità per tutti noi».
Lo Moro poi arriva a Roma, vive un percorso di impegno parlamentare significativo, a un certo punto è anche protagonista del passaggio traumatico dal Pd a “trazione Renziana”, poi alla nascita di “Articolo 1”. «Non ho voluto ricandidarmi per almeno due ragioni: una perché il ruolo che ho svolto dava molto a me e anche alla politica nazionale, mi occupavo di leggi elettorali, di riforme costituzionali, di ius soli, mi occupavo di violenza contro le donne. Sono stata relatrice di quasi tutte le leggi che hanno riguardato questi argomenti, avevo quindi un ruolo obiettivamente importante, anche se non ho mai avuto, perché l’ho sempre rifiutato, un paracadute, qualcuno che potesse tutelarmi». «Quando la politica mi accusa che sono rimasta un magistrato, se vuole dire questo, che non sono diventata bersaniana, franceschiniana allora è vero, non sono mai diventata renziana, non sono mai stata “correntizia” e questo però si paga a caro prezzo e lo paga anche il territorio». «Come secondo punto, ho riconosciuto un errore: l’avere sottoscritto la scissione, nata dopo sulla legge elettorale. Dopo il mio intervento sulla pregiudiziale in aula, Piero Grasso lascia il Pd e quindi tutto il peso e tutta la responsabilità di questa cosa l’avvertivamo e lì, secondo me, Bersani ha commesso qualche errore».
Ultima questione affrontata in trasmissione è quella riferita a Lamezia Terme. In molti pensano nuovamente a Doris Lo Moro, come una soluzione amministrativa anche per il futuro della città. «Per un verso sono gratificata perché dal ’93 sono passati 30 anni ma penso che questo succeda perché evidentemente i cittadini non hanno trovato una figura forte, perché tutti noi abbiamo bisogno di riferimenti anche morali e quindi mi dispiace constatare che, nonostante siano passati tantissimi anni evidentemente qualcosa ha impedito questo rapporto, senza togliere meriti a nessuno. Il problema è che per trovarla bisogna cercarla. Io sono rientrata a Lamezia, non ho nessun ostacolo, sono in pensione da magistrato, ma non sono in pensione dalla vita, sono in pensione dalla magistratura. Sono assolutamente interessata a quello che succede in Calabria e a quello che succede a Lamezia e sto guardando che in questo momento ci sono tanti candidati in pectore ma ci sono troppi candidati che si propongono e io credo che così il candidato non si trovi, perché il candidato va cercato e ci deve essere qualcuno che lo trovi, che lo cerca e che lo propone. L’autopromozione che è molto diffusa è già un errore politico». «Per me sono molto meno importanti i ruoli, è molto più importante l’analisi e il contributo che uno può dare. Sinceramente sono una che ha avuto molti ruoli ma adesso, se posso dare qualcosa a Lamezia e alla Calabria io ci sono, però il ruolo mi sembra molto meno importante». (redazione@corrierecal.it)
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