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L’INTERVISTA

«Sei anni “a ostacoli” ma l’Umg è cresciuta». Il consuntivo del rettore De Sarro

Il Covid ma anche il rapporto con gli studenti e il personale, i nuovi corsi, l’azienda Dulbecco e la collaborazione con le altre università calabresi

Pubblicato il: 19/10/2023 – 12:06
«Sei anni “a ostacoli” ma l’Umg è cresciuta». Il consuntivo del rettore De Sarro

LAMEZIA TERME Un compleanno per tutti, che è anche un bilancio personale ma soprattutto collettivo: Giovambattista De Sarro domani parteciperà alle celebrazioni per i 25 anni dell’Università Magna Graecia, alla presenza tra gli altri del ministro Schillaci.
Il rettore anticipa al Corriere della Calabria un consuntivo dei suoi sei anni, che paragona a una corsa a ostacoli. E non solo per il Covid: De Sarro parla anche del rapporto con gli studenti e il personale docente e amministrativo, della soddisfazione per i nuovi corsi attivati grazie ai quali si sono attratti ragazzi da fuori regione ma soprattutto non sono andati via studenti calabresi, della proficua collaborazione con le altre università calabresi e della Dulbecco, «l’Azienda ospedaliera universitaria più grossa del Meridione», un esempio di centralizzazione delle competenze, integrazione e ottimizzazione di un servizio che non presenti più “doppioni”.

Rettore De Sarro, a fine mandato cosa porta con sé di questa esperienza?
«Da docente sicuramente il rapporto con gli studenti, che poi sono diventati professionisti del territorio e con cui spesso e volentieri abbiamo un confronto: ecco, questo ti dà quel minimo di carica per poter interagire ed essere tuttora invitato a tenere qualche relazione scientifica e medica. Fa sicuramente piacere l’aver potuto ricoprire determinate cariche all’interno dell’ateneo, interagendo con più persone, non solo studenti e specialisti: parlo di tutti coloro che girano negli ambienti universitari, dei funzionari a vari livelli anche quelli più semplici, che sono quelli che spesso ho visto lavorare fino a sera tardi per organizzare i piani di studio, oppure risolvere le problematiche di alcuni studenti, penso al periodo del Covid, e a come l’Umg ha potuto operare anche per la soddisfazione degli studenti. Il carico di emotività di tutte queste persone e il confronto giornaliero serve tanto, certi giorni torni a casa contento altri un po’ demoralizzato perché nonostante tutto quello che hai fatto per alcune aree e discipline vedi che può esserci qualche incomprensione. Certo, è stato un percorso non semplice, sono stati sei anni “a ostacoli”… Però ogni passo avanti è una soddisfazione, abbiamo gioito assieme e questo gioire assieme ha accomunato tutti i componenti dell’ateneo».

Andiamo ai numeri. Al di là delle iscrizioni, sono poi importanti i momenti di formazione, specializzazione e ricerca: dai 77 ricercatori nel 2017 si è passati a 116 nel 2023, non è un raddoppio ma poco ci manca. Com’è stato possibile e quale significato ha assunto questo percorso?
«Per poter acquisire ricercatori l’ateneo ha due possibilità: o i punti organici ordinari o i punti straordinari, che sono, appunto, dedicati con i vari decreti ministeriali ai ricercatori. Ebbene, Catanzaro ne ha avuto un crescendo, come altri atenei ma forse in percentuale maggiore per varie premialità acquisite nel tempo: è aumentato il numero, alla base di una piramide che deve crescere di più rispetto ai professori ordinari e ai professori associati che rappresentano invece l’apice di questa piramide. Quindi assumere un ricercatore di prima fascia comporta aumentare il numero dei ricercatori. E diciamo che un poco di fortuna l’abbiamo avuta ma ci siamo impegnati e abbiamo aumentato prevalentemente il numero dei ricercatori ma anche di associati e ordinari, in maniera che posso definire tranquillamente armonica, e credo che si possa continuare così perché le risorse ci sono».

Oggi De Sarro parteciperà alle celebrazioni per i primi 25 anni di vita dell’Umg

C’è un tema strettamente collegato a questo: il trend d’aumento dei laureati: 1257 nel 2013 e 1703 nel 2022, anche in questo caso un aumento esponenziale se si guardano tutti gli anni considerati.
«In questi anni Catanzaro ha attivato nuovi corsi di laurea, quindi è aumentato il numero di laureati. Ci sono corsi di laurea che, naturalmente, hanno più appeal e tirano di più – si veda l’area biomedica, dove credo abbiamo investito prevalentemente – e poi l’area giuridica, economica… Quei numeri sono il frutto della maggiore possibilità di immatricolare e di portare a compimento il percorso di studi di un numero maggiore di iscritti all’ateneo».

L’Umg forma gli studenti e li porta al traguardo, poi consente anche un percorso di specializzazione, che in alcuni campi è una scelta obbligata dal momento che si cercano competenze sempre più strutturate. Anche in questo caso si registra un trend positivo, come lo commenta?
«L’Università di Catanzaro penso sia una delle università che investe di più nella formazione dei giovani. Per quale motivo? In questi cinque anni – dico così perché nel primo non potevo fare nulla – ho attivato ben 5 corsi di laurea magistrale, con la collaborazione di tutti i docenti e gli amministrativi sono riuscito a creare in questa regione – alcuni corsi li ho condivisi con l’Università Mediterranea di Reggio – un corso di laurea magistrale in Psicologia, che si chiama Psicologia clinica e neuroscienze e ha permesso ai ragazzi di Psicologia di non partire dopo la triennale ma di restare qui. La credibilità di questo corso è aumentata nel tempo, tanto che i 100 posti stabiliti all’inizio non bastano quindi dovremo provvedere presto; lo stesso abbiamo fatto con il corso di laurea magistrale Infermieristica e ostetricia: con 50/100 posti hanno partecipato in oltre 600 a dimostrazione che è un corso di laurea ambito e serve al territorio. Lo stesso abbiamo fato per i tecnici riabilitatori che non sono solo i fisioterapisti e i logopedisti, i tecnici ortopedici, i tecnici psichiatrici, abbiamo fatto un corso di laurea magistrale – per i quali ringrazio due persone in particolare: Daniele Masala (campione olimpionico e mondiale, presente sia nella triennale sia nella magistrale) e Antonio Ammendolia, che da fisiatra dedicato allo sport ha permesso di fare questo corso non solo ai laureati in Scienze motorie ma anche a chi si dedica ai ragazzi diversamente abili. Abbiamo fatto tutto questo mettendo assieme le nostre competenze per far sì che i nostri ragazzi rimanessero su questo territorio e non andassero via. Siamo un ateneo che ha fatto tanto per i giovani e voglio sottolineare il fatto che molti pensano abbiamo rivalità: no, ci aiutiamo».

A proposito di sistema universitario, l’idea che è maturata – non solo sulla sanità – in Calabria è che ogni città pare pensi per sé, c’è un campanilismo troppo spinto, senza scomodare i moti di Reggio… Lei prima parlava di Reggio ma l’Umg ha collaborato anche con l’Unical. A che punto è in generale il sistema universitario calabrese, secondo lei?
«Io ho avuto come colleghi Pasquale Catanoso, Santo Marcello Zimbone e oggi Giuseppe Zimbalatti a Reggio Calabria, Gino Crisci e Nicola Leone a Cosenza: si cerca di collaborare andando al di là del campanilismo, con Cosenza abbiamo due corsi insieme, uno è assistente sanitario e l’altro medicina e chirurgia e tecnologie digitali, una collaborazione quest’ultima ancora in atto e proficua in cui Unical ha messo a disposizione le competenze di informatica e ingegneristica – per le quali è sicuramente a un livello superiore al nostro ma anche di altri atenei  italiani –, noi abbiamo messo a disposizione il nostro ateneo: i ragazzi del quarto, quinto e sesto anno verranno a frequentare da noi perché la nostra struttura si ritiene idonea alla formazione, chi è venuto al campus ha visto che noi abbiamo corridoi molto ampi, spazi dedicati a tante attività degli studenti sia di medicina che di biomedicina, inoltre abbiamo tanti simulatori, un tavolo anatomico di un certo livello, quindi noi siamo venuti incontro alla formazione di ragazzi. Che poi, lo ricordo, non sono tutti calabresi: la popolazione di studenti iscritti in ambito biomedico viene da altre regioni e rimane volentieri».

Proprio su questo, visto che la Calabria è stata per anni un bacino da cui altre regioni hanno attinto, è cresciuto l’appeal delle università calabresi in riferimento a una emigrazione al contrario rispetto a quelle storiche?
«Dipende dai corsi di laurea: alcuni attirano i ragazzi perché sanno che potranno andare a lavorare presto. Quasi quasi gli ingegneri informatici anche con la triennale trovano da lavorare ancor prima degli infermieri, il che vuol dire che sono dei corsi strutturati bene e che preparano dei professionisti del futuro. Non è per forza l’area biomedica, dunque, sulla quale comunque noi insistiamo perché siamo nati e ci siamo sviluppati prevalentemente in quell’ambito».

dulbecco de sarro occhiuto mancuso
Nasce l’Azienda ospedaliera universitaria Dulbecco: è il 21 febbraio 2023

Questi sei anni, tenendo conto delle difficoltà logistiche legate al Covid, potrebbero valere quanto quattro anni: formazione a distanza, stress test per tutti gli ambiti e scuole e università chiamate a un surplus di responsabilità e lavoro. Come l’avete vissuta e superata questa fase? Ha insegnato qualcosa nell’organizzazione del lavoro e nella gestione di percorsi e processi, nonostante il trauma mentre la pandemia si viveva?
«Beh, noi da un lato dovevamo garantire il percorso per i malati, quindi quelli dei pazienti che arrivavano per il Covid: in 48 ore – la prefetta Latella ce lo ricorda sempre come una delle cose che non sperava si potessero concludere – abbiamo aumentato i posti in malattie infettive da 2 a 60 questo è un problema che non riguarda solo la Calabria ma tutta l’Italia, dove le malattie infettive si erano ridotte come importanza perché molte cose le fa la Medicina interna. Però una cosa è chi si occupa soltanto di malattie infettive un’altra chi di tanti aspetti. Ridistribuendo e comprimendo le varie unità operative all’interno del Policlinico, noi non abbiamo potuto spostare una sola unità: la cardiochirurgia, perché quella struttura è particolarmente delicata, era allocata all’ottavo piano e poi al settimo e al nono c’erano i pazienti Covid. Eppure i pazienti non si sono infettati perché naturalmente c’era un percorso particolare e il primario e tutti gli operatori quotidianamente facevano i tamponi, dunque hanno evitato che appena ci fosse stato un focolaio si  potesse propagare. Altra cosa che abbiamo voluto assicurare era che i ragazzi facessero il tirocinio, quindi a piccoli gruppi li abbiamo riammessi all’interno del Policlinico, naturalmente con maschere, guanti e tutti i presìdi che ha dato l’ateneo, soprattutto nella prima fase, e che ci ha permesso di fare crescere questi ragazzi in un ambiente semi-protetto, dal momento che non possiamo dire che lo fosse al 100%. E il fatto che la struttura del Policlinico sia particolarmente moderna rispetto alle altre ci ha garantito che tutto ciò potesse essere portato a termine. Tutti questi ragazzi sono stati vaccinati, hanno vaccinato i pazienti tra i quali i cosiddetti “fragili”: ecco che abbiamo protetto i nefropatici e i dializzati, i pazienti che facevano immunosoppressori perché avevano determinate malattie, quelli oncologici, gli anziani; abbiamo garantito che tutta la popolazione dei pazienti fosse protetta».

In sanità siamo ancora in regime commissariale. Quali sono le scelte fatte e le posizioni assunte soprattutto sul tema sanitario, nodale in Calabria e che fa fatica sia per quanto riguarda le strutture e il profilo organizzativo, sia per quanto riguarda l’aspetto economico? Si pensi al tema dell’emigrazione sanitaria con un continuo esborso di denaro verso le altre regioni, e già Germaneto fa molto per contrastare l’emigrazione sanitaria, con grandi risultati e altrettanto grandi risparmi. Nell’area centrale della Calabria va avanti da anni un ragionamento su un contenitore che definisca una governance e metta assieme le esperienze dei presìdi sanitari territoriali e tutti i contributi della ricerca universitaria: questo percorso si chiama azienda Dulbecco e di certo lei la inserisce tra i risultati del suo rettorato. Come è stato possibile mettere assieme persone e competenze e come la valuta finora?
«Appena fui nominato rettore, il commissario Massimo Scura non era riuscito a completare l’operazione, anzi i miei primi approcci erano con una modifica di quello che era riuscito a portare avanti lo stesso Scura con una commissione paritetica che ancora ci vedeva alla pari: avevamo lo stesso numero di primariati e Unità Operative. Ma qui voglio fare una precisazione: mentre l’Uo complessa dell’ospedaliero ha bisogno di 14 posti letto, per quella dell’universitario ne bastano 7, perché naturalmente i posti letto universitari sono dedicati a didattica e formazione, quindi nonostante i medici dell’ospedale Pugliese Ciaccio fossero più numerosi dei nostri, alla fine si era trovato un parziale equilibrio. Poi uscì una legge – proposta dall’onorevole Tallini – che tagliava completamente le gambe alla struttura universitaria, in quel caso dovetti difenderla e tutelarla grazie agli avvocati dello Stato di Catanzaro: davanti alla Corte costituzionale vinsi e presi un impegno davanti all’allora ministro Gaetano Manfredi, ovvero che avrei portato a termine questa integrazione. Forse era un impegno più grande di quello che potevo prendere, ma obiettivamente da parte dell’Umg c’era questa volontà. Alla riunione indetta da Manfredi c’erano, con me, il Mef (ministero Economia e Finanze, ndr), i rappresentanti del ministero della Sanità e due rettori che dovevano fare da garanti, entrambi di origine calabrese. Poi, grazie all’onorevole Filippo Mancuso, è nata questa nuova legge che ci ha permesso l’integrazione: devo essere sincero, non pensavo di portarla a termine io… Però è stata una speranza di poter arrivare a un atto concreto che, da docente universitario, mi fa piacere perché aumentando i posti letto noi possiamo ottenere altre scuole di specializzazione che prima non potevano essere ottenute. Faccio un esempio: avere 2 posti di chirurgia maxillo-facciale da noi e altri 2 al Pugliese non serve a nessuno. Questo tipo di integrazione, che è stata voluta da alcuni colleghi e non voluta da altri, sicuramente ha portato a un beneficio: a costruire l’Azienda ospedaliera universitaria più grossa del Meridione, laddove ognuno può lavorare portando avanti le proprie competenze. Ma ci dà anche un’altra opportunità, e faccio un altro esempio: abbiamo 6 chirurgie ma alcune fanno la stessa cosa, allora non è meglio che si inizi a pensare a qualche altro tipo di chirurgia che manca non a Catanzaro ma in qualsiasi altre parte della regione, in modo tale da progredire nel campo della medicina portando un beneficio a tutto il territorio?».

De Sarro continuerà a fare il professore universitario e a scrivere articoli su riviste di settore (è uno dei massimi esperti di farmaci antiepilettici)

Cosa farà adesso?
«Continuerò a fare il professore universitario, a scrivere qualche articolo, ormai sono un abbonato a fare il capitolo sui farmaci antiepilettici su riviste di settore, e curerò qualche altra cosa… Noi siamo stati l’unico ateneo che da 4 è passato a 13 corsi di dottorato: quelli nati ora ci permetteranno di portare avanti delle figure particolari, che sono il vivaio dell’università di domani. Abbiamo un corso di dottorato nelle professioni nella sanità pubblica, quindi potremo fornire – ciò che fanno pochi atenei in Italia – infermieri che insegnano, fisioterapisti che insegnano, riabilitatori in senso lato e tecnici di laboratorio che insegnano; ci siamo dedicati anche al movimento quindi formare professionalità che nelle scienze motorie utilizzerà il movimento sia per le persone sane sia per i malati. E poi la telemedicina. Tutto questo per cercare di trattenere sul nostro territorio i nostri migliori giovani o chi verrà da fuori, evitando di perdere tutti gli specialisti e i futuri docenti universitari di domani».

Come vede i prossimi dieci anni dell’Università Magna Graecia?
«Penso che se ci si continuerà a dedicare al campo biomedico l’Umg crescerà notevolmente. Certo, da un lato c’è la didattica ma dall’altro c’è la necessità di implementare la strumentazione scientifica, che deve essere sempre più moderna. Noi abbiamo inaugurato la nuova risonanza ma la “vecchia” aveva 16 anni… La potenzialità è assicurare sempre maggiori poteri di risoluzione e brevità nei tempi della diagnostica, poter utilizzare le apparecchiature in maniera sempre maggiore. Io sostengo da tempo che per abbattere le liste d’attesa, o il sabato o tutti i giorni dalle 20 alle 24 si potrebbe fare tanta diagnostica. Ma c’è bisogno anche della volontà della parte assistenziale, che non dipende dall’università. Altre regioni lo fanno da tempo, non è facile, certo, ma perché non prendere esempio?». (redazione@corrierecal.it)

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