La Calabria è perduta? È destinata a svuotarsi come indicano le proiezioni statistiche? Resterà lontana e impenetrabile, nonostante la sua bellezza variopinta, che Leonida Repaci poetò a futura memoria? Continueremo, noi che ci abitiamo, a ignorarne i dati e fatti crudi, a esorcizzarli, per esempio, con il ricordo stucchevole e inattuale dell’antica scuola pitagorica? Per quanto tempo potremo ancora sottovalutare le storture e le risorse in ombra di questa regione? A chi gioverà nascondere le nostre colpe, in perpetua malafede, dietro al mostro, al mito della ’ndrangheta?
Di contrasti, paradossi e orizzonti del territorio si è parlato lunedì 16 ottobre a Cosenza: all’Unical, all’interno di un seminario sul saggio “Calabria, l’Italia estrema”, firmato dall’economista Domenico Cersosimo e pubblicato nello scorso agosto sulla rivista “Cartoline dall’Italia”, editore “il Mulino” di Bologna. L’incontro è stato promosso dal consigliere regionale Antonio Lo Schiavo, da Saverio Pezzano del movimento politico reggino “La Strada” e da Mimmo Talarico, già componente dell’assemblea legislativa calabrese. Tra gli altri, sono intervenuti i parlamentari Anna Laura Orrico e Nicola Irto, il sindaco di Catanzaro, Nicola Fiorita, e Angelo Sposato, segretario generale della Cgil Calabria.
È insolito che a sud del Sud si dibatta del presente e dell’avvenire comune al di fuori delle campagne elettorali. È inusuale che senza schermi e paraventi si inquadrino i contrasti della nostra «regione limite, stabilmente nel fondo delle graduatorie europee», per riprendere il cappello dello scritto di Cersosimo, che sul Corriere della Calabria il collega Fabio Benincasa ha intervistato di recente. Soprattutto, è raro un confronto del genere in università e a più voci; nello specifico all’Unical era invitato anche Roberto Galdini, vicepresidente della struttura italiana della multinazionale di system integration Ntt Data, che proprio a Cosenza ha una sede, attiva su importanti progetti di informatica e avanguardia tecnologica.
È un azzardo discutere dei problemi culturali e sociali della Calabria, spesso alla base di quelli economici e di sistema. È sconveniente e, assieme, causa di isolamento individuale, in uno spazio pubblico già segnato dall’incomunicabilità, dalla frequente mancanza di interlocutori, dalla disabitudine all’impegno politico e dalle semplificazioni spicciole del virtuale, gigantesca vetrina del mercato liquido che promuove urlatori, sedicenti eroi ed esibizionisti di varia natura. Inoltre, addentrarsi nella critica della mentalità calabrese dominante non porta alcun consenso e obbliga a collocarsi all’interno del contesto regionale: all’assunzione delle proprie responsabilità, anche soltanto di omissione.
La società locale, figura nel testo di Cersosimo, è «“ruminante”, adattiva, in grado di digerire e manipolare innovazioni e cambiamenti esogeni nel perimetro della sua alterità». È una società, a parere dell’economista, «che si occulta» in basso «per nascondere redditi, occupati, prestazioni professionali, per sottofatturare ed evadere tasse e tributi o per non perdere benefici fiscali, bonus, incentivi, servizi di Welfare». Ed è una società – si legge nella stessa analisi – che si nasconde «in alto, paradossalmente, per mantenere produzioni e fatturati sotto il potenziale e svilire lo stesso successo imprenditoriale per evitare che il giorno dopo bussi alla porta l’”uomo nero” del racket o dell’offerta di protezione mafiosa». Secondo Cersosimo, la Calabria ha un disperato bisogno di «liberarsi dalle edulcorazioni retoriche: la tipicità senza tipico, i borghi senza comunità, i paesi appesi sul mare senza acqua nei rubinetti delle case, l’accoglienza senza ospedali umanizzati».
Non solo. Sul versante economico, ha spiegato Cersosimo, nella regione si registra «il più delle volte un mutamento spurio, vischioso e soprattutto disperso e non tracimante, incapace di per sé di dare il ritmo all’intero territorio e alle sue diverse componenti». Il quadro è ricavato da una lettura oggettiva dei dati e compendiato da una parentesi storica sullo sviluppo tangibile della Calabria, in cui, nella seconda parte del Novecento, «si costruiscono importanti infrastrutture: la Salerno-Reggio Calabria; l’Università della Calabria e quella di Reggio Calabria; il raddoppio del binario ferroviario Battipaglia Reggio Calabria; l’elettrificazione della rete ferroviaria Cosenza-Paola; l’aeroporto di Lamezia Terme; la trasversale Rosarno-Gioiosa». Poi, è la sintesi di Cersosimo, «nell’ultimo quarantennio, ad eccezione del porto di Gioia Tauro e dell’Università di Catanzaro, non succede più nulla di rilevante: nessun disegno, nessuna infrastruttura importante, a parte il caso piccolo ma simbolicamente grande di Riace e il ciclico miraggio del Ponte sullo Stretto». In sostanza, «è come se la regione si fosse “normalizzata” sul piano inclinato del declino».
Da qui – e dall’idea che la Calabria, principale vittima di un centralismo inseguito in ambito locale e imposto d’istinto dallo Stato, necessiti di guide esterne alla Beniamino Andreatta, fra i padri fondatori dell’Unical – Cersosimo trae l’esigenza di recuperare la Strategia nazionale per le aree interne, promossa nel 2013 dall’allora ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca, ma di fatto inattuata e ora spinta nell’ombra dal «regionalismo differenziato», ritenuto inadeguato a condurre la regione fuori dal tunnel della marginalità, dello spopolamento e dell’autocommiserazione.
Forse c’è bisogno di andare oltre quella Strategia di Barca, ma il tempo è tiranno e il Pnrr ha ormai definito le direzioni e le scadenze degli investimenti; per esempio ignorando che la riforma dell’assistenza sanitaria territoriale non può prescindere dai fabbisogni di cure nelle singole aree, dalle condizioni di partenza del Servizio sanitario regionale e da quelle climatiche e di viabilità di molti Comuni dell’interno, distanti dalle sedi assistenziali e carenti di presìdi e collegamenti di base, anche a Internet.
Ancora, diverse amministrazioni pubbliche della Calabria hanno una burocrazia lenta, macchinosa e perfino superficiale, se non poco allineata rispetto alle norme nazionali. Per rendersene conto, basta verificare il livello di trasparenza in rete di numerosi enti locali: sui rispettivi siti web non compaiono i dati obbligatori degli eletti oppure quelli pubblicati hanno un aggiornamento sovente datato. Non di rado, poi, si richiedono ai cittadini alcuni certificati che per legge non si possono invece produrre agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi. Talvolta, a discapito della povera gente, succede che gli uffici applichino norme regionali superate dalla normativa statale; come se nell’ordinamento italiano non ci fosse una gerarchia delle fonti; come se al riguardo non esistessero regole di orientamento; come se il Consiglio di Stato, che non è un club privato, non avesse mai fornito chiarimenti dettagliati e puntuali sul punto; come se i calabresi fossero cittadini di un altro Paese e, per il riconoscimento dei loro diritti, non avessero altra scelta che l’emigrazione, il trasferimento di residenza o la richiesta d’appoggio a eminenze locali.
Dove può andare la Calabria con tali limitazioni? Non è giunto il momento di dirci la verità, di svecchiare i reparti amministrativi, di reclutare risorse giovani, che sono il leitmotiv di tanta retorica politica? Non c’è bisogno, nel settore amministrativo pubblico della Calabria, di formazione adeguata ai tempi e di una capillare verifica dei risultati?
Infine, ogni progetto, valido o vano che sia, si scontra con un elemento di realtà: in Calabria manca molte volte il soggetto, nel senso che sono ancora pochi i cittadini preparati a raccogliere sfide d’impresa e opportunità di collaborazione legate a incentivazioni pubbliche. Piuttosto, prevale l’opinione secondo cui è meglio arrangiarsi nel proprio orticello con misure d’assistenza pura, nell’attesa che esca il posto fisso in qualche carrozzone del sistema. Questo aspetto resta escluso dalla discussione pubblica. È un altro tema sconveniente e, assieme, causa di isolamento individuale. (redazione@corrierecal.it)
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