CATANZARO La sanità in Italia resta un lusso per molti. E fare prevenzione spesso diventa una pura chimera anche per chi presenta un quadro clinico critico che imporrebbe tempi rapidi per evitare il peggioramento della propria patologia. Una situazione generalizzata in Italia ma che al Sud diventa emergenza con liste di attesa interminabili che prevedono visite di controllo e primo accesso anche dopo un anno.
Stando all’ultimo report dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, quattro italiani su dieci che sono in lista di attesa rinunciano all’assistenza sanitaria pubblica e si rivolgono a cliniche e a professionisti pagando privatamente pur di avere l’agognata visita. E, secondo l’Istat, ben due milioni e mezzo di italiani hanno rinunciato del tutto alle cure mediche a causa dei lunghi tempi di attesa e dei costi elevati per rivolgersi ai privati. Stando ad una stima, i cittadini hanno dovuto sostenere spese per 37,2 miliardi per ottenere prestazioni da strutture e medici privati in un anno. Un giro d’affari per la sanità privata con cifre da capogiro se si consideri che attorno a questo mondo si aggira un volume da 62,7 miliardi l’anno.
Stando all’inchiesta pubblicata da La Stampa che ha sentito le testimonianze di diversi pazienti soprattutto del Sud, ad incidere sui tempi biblici per ottenere assistenza dal servizio sanitario nazionale non c’è solo la penuria di medici ma anche un parco macchine vecchio che spesso non garantisce l’offerta di esami molto importanti – in chiave di prevenzione – come Tac e Risonanze magnetiche.
Una situazione che poi si aggrava per la mancanza anche di assistenza territoriale: molti medici di famiglia che potrebbero fare esami semplici in studio non li effettuano. E così facendo si ingrossa il numero di pazienti che sono costretti a rivolgersi alle strutture sanitarie per avere un responso clinico. Allungando conseguentemente i tempi delle liste di attesa. E se la situazione è migliorata dopo il blocco imposto dall’emergenza sanitaria legata alla diffusione del Coronavirus che ha fermato di fatto le visite specialistiche il quadro resta ancora critico.
Tra il primo semestre del 2019 e quello del 2022 il ritardo per ottenere una visita specialistica si è ridotto. In questo periodo preso in esame dall’Agenas, mediamente in Italia la tempistica è migliorata del 12% e se alcune regioni sono andate meglio per recuperare quei ritardi sfruttando le risorse messe in campo dai vari governi per abbattere le liste di attesa, non tutte hanno usato al meglio quelle risorse.
A questo proposito la Corte dei Conti, in una recente relazione, ha segnalato che i ritardi accumulati non sono stati affatto sanati. Con una differenza elevata tra le due aree del Paese in tema di sfruttamento delle risorse. Se nel Nord, eccepiscono i magistrati contabili, la media di utilizzo delle somme assegnate è stata pari al 92%, la quota è scende drasticamente al 40% nel Mezzogiorno.
In questo quadro, la Calabria ha fatto peggio: riuscendo ad utilizzare appena il 27% delle somme assegnate per ridurre la tempistica. Conseguentemente è riuscita a recuperare, rispetto al target fissato, appena il 34% degli inviti e il 9% delle prestazioni.
Una situazione fissata al 2022 che ha portato la regione ad avere un dato ancora ampiamente negativo in tema di garanzia di prestazioni di servizi sanitari e conseguentemente ha facilitato il ricorso alle visite specialistiche private o alla fuga verso altre regioni.
Un andamento che non fa ben sperare per il futuro ed in particolare sulla capacità di utilizzare le risorse preventivate dal Governo. L’esecutivo Meloni ha infatti annunciato che ha messo sul piatto oltre mezzo miliardo di euro (per l’esattezza 520 milioni) proprio al fine di ridurre le liste di attesa, ma visti i precedenti, ci si augura che la regione riesca a premere sull’acceleratore della spesa, cercando di ridurre l’esodo dei calabresi verso altri lidi. (r.desanto@corrierecal.it)
x
x