COSENZA Da una parte si sentono le voci dei ragazzi che giocano nella palestra della scuola nell’ora di scienze motorie, dall’altra gli accordi degli strumenti che provengono dalle aule del liceo coreutico musicale. In mezzo il silenzio di piazza Amendola, sede del Dipartimento di Salute mentale, fino a poco tempo fa per tutti “Cim”, perché al posto di salute c’era un termine più severo, igiene. In questo edificio storico di architettura fascista, negli anni si sono concentrati e poi dispersi i sogni di attrezzare spazi di socialità e riabilitazione per i malati psichici. Oggi invece la priorità è gestire l’ordinario: crisi psicotiche, pazienti cronici, nuove diagnosi, adolescenti in preda all’ansia, tentativi di suicidio, autolesionismo, tossicodipendenti con doppie diagnosi, pazienti che abbandonano le terapie, disturbi alimentari, attività medico legali, incontri con gli amministratori di sostegno dei malati psichici.
«Siamo in trincea» esordisce Marianna Ardillo, direttrice del Dipartimento di Salute mentale e Tossicodipendenza dell’Azienda Sanitaria. «Gli utenti sono numerosissimi, ma il personale è insufficiente». La questione è nota da tempo e non riguarda certamente solo la Calabria: in tutta Italia i centri di salute mentale sono allo stremo a causa di una cronica mancanza di psichiatri in primis, ma anche di psicologi e assistenti sociali. «I bandi per reperire nuovi medici vanno deserti, nonostante l’impegno dell’Azienda Sanitaria, lavoriamo in affanno perché siamo in forte carenza di personale». Ardillo mette in chiaro subito le difficoltà. «L’As indice i concorsi e mette a bando i posti, ma purtroppo mancano i candidati. Non ci sono specialisti disposti a lavorare nelle strutture pubbliche».
A gestire un’utenza sempre più variegata e numerosa, specie dopo la pandemia, sono solo tre medici a tempo pieno e due in servizio due giorni a settimana. Il Centro rimane aperto solo sei ore al giorno (fino alle 18 due giorni a settimana) e «ciò significa – prosegue la dottoressa Ardillo – che dopo questo orario tutto diventa emergenza e deve essere gestito eventualmente dal pronto soccorso». I numeri sono impressionanti: da gennaio a settembre 2023 il centro si è occupato di oltre tremila persone con disturbi psichici. «Non è tutto. A questo dato bisogna aggiungere i pazienti che quotidianamente arrivano senza prenotazione e chiedono aiuto» precisa Luigina Volpentesta, responsabile del Centro di salute mentale dell’Azienda Sanitaria. «Il disagio è aumentato, abbiamo la percezione che in città ci sia una emergenza che riguarda soprattutto i più giovani – prosegue Volpentesta –. Noi resistiamo, nonostante le grandi difficoltà, perché questo è un presidio che deve restare aperto anche se sgarrupato, con pochi mezzi e pochissimo personale. Noi diamo voce ai malati psichici e alla loro sofferenza, non possiamo chiudere: la salute mentale è un diritto».
L’Oms indica il suicidio come seconda causa di morte tra i giovani tra i 15 e i 25 anni. Anche in questo caso i numeri che arrivano dall’Azienda Sanitaria fotografano bene una realtà allarmante, in linea con il quadro nazionale. Tra gennaio e settembre 2023 a Cosenza si sono verificati 27 tentativi di suicidio, 18 donne e 9 uomini, con una età media di 22 anni. Nel 2022 erano stati dodici (otto donne, quattro uomini).
«Io credo molto nella riabilitazione psichiatrica soprattutto per i giovani – spiega Ardillo – è in questa direzione che bisogna lavorare. Nel mio territorio di competenza che ricade nell’area Esaro e Pollino abbiamo raggiunto ottimi risultati. I giovani pazienti che seguiamo fanno teatro, entrano a far parte di squadre di pallavolo e ping pong, partecipano all’organizzazione del Carnevale del Pollino». Tutt’altra situazione è quella che ha trovato a Cosenza, dove oltre alla psicoterapia e alle terapie farmacologiche, agli utenti si può offrire ben poco. Va segnalato il lavoro meritorio della cooperativa sociale La Ghironda che gestisce un centro diurno per pazienti con patologie psichiatriche.
A preoccupare è l’aumento del disagio tra i più giovani. «Negli ultimi due anni c’è stato un incremento delle richieste di aiuto che arrivano da giovani e giovanissimi tra i 15 e i 17 e tra i 17 e i 20 anni» prosegue la dottoressa Ardillo. «Certamente ad influire è stata la pandemia, con il suo carico di angoscia e instabilità. Sono venuti fuori ansia, aspetti fobici, solitudine, isolamento».
Di buono c’è che oggi lo stigma che da sempre ha accompagnato il disagio psichico è meno forte. «Spesso i ragazzi arrivano da noi accompagnati dai loro genitori – spiega la dottoressa Ardillo – magari indirizzati dal medico di famiglia che intravede la gravità della situazione e consiglia di rivolgersi a uno psichiatra. Fortunatamente si guarda con fiducia alla possibilità di portare il proprio figlio in una struttura sanitaria pubblica, questo significa che in tutti questi anni si è lavorato bene». Ci sono invece casi in cui la famiglia è completamente ignara. «Capita – continua – che giovani pazienti vengano qui con i loro amici con i quali si sono confidati, hanno manifestato disagi e paure che invece non avevano avuto il coraggio di confessare ai familiari».
C’è un fenomeno che più di altri preoccupa: quello delle ragazze e dei ragazzi che si rifiutano di uscire e trascorrono le loro giornate chiusi nelle loro camere. «Purtroppo i casi sono tanti e sono in aumento – dice Volpentesta – e spesso i genitori non si rendono conto della gravità della situazione, la sottovalutano, tendono a giustificare comportamenti che invece rischiano di diventare patologici. Quando poi la situazione si fa insostenibile chiedono aiuto ma è importante non arrivare a tanto. Seguiamo ragazzi che hanno smesso di andare a scuola, che dopo un episodio di bullismo o cyberbullismo chiudono con l’esterno – prosegue – che lentamente smettono di interagire anche con gli amici. Mi è capitato di parlare con giovanissimi che a un certo punto si sono rifiutati anche di uscire a comprare un paio di scarpe o un maglione. La loro quotidianità la vivono solo nel mondo virtuale, quello dei social. È un comportamento pericoloso che deve assolutamente essere intercettato e affrontato». Un’altra espressione del disagio interiore è il “cutting”, letteralmente “taglio”. «Un fenomeno frequente da anni anche nella nostra città» aggiunge Volpentesta. Si tratta di giovanissimi, soprattutto studenti, che si provocano delle ferite con coltellini e lamette e poi le nascondono sotto i vestiti, oppure confessano questo loro segreto solo agli amici. «I ragazzi si tagliano, si feriscono, per richiamare l’attenzione su di loro o per provare emozioni forti. Stiamo vivendo tempi veramente bui – conclude – ma dobbiamo parlare con gli adolescenti, rassicurarli, invogliarli a chiedere aiuto. Perché i disturbi mentali si curano». (redazione@corrierecal.it)
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