MILANO L’ufficio per chiudere gli affari del clan era in una delle vie principali di accesso a Milano. Via Vittor Pisani (foto sopra), strada “trionfale” e monumentale che porta al centro della città attraverso gli archi di Porta Nuova e via Manzoni. Era a pochi passi dalla stazione centrale il «luogo di preparazione e di realizzazione» delle presunte attività illecite dei due gruppi criminali riconducibili alla cosca Morabito-Palamara-Bruzzaniti smantellati da un’inchiesta della Dda di Milano. Locali anche «di incontro (e di creazione di legami) con una serie di professionisti, imprenditori o anche solo prestanome, funzionali al perseguimento degli scopi del sodalizio» come si legge nell’ordinanza di misure cautelare emessa dal gip di Milano Domenico Santoro.
In quelle stanze del centro «sei gruppi» con dentro persone legate «a diverse e potenti famiglie di ‘ndrangheta» avrebbero deciso di «operare» assieme «nel business dei rifiuti», dividendo i «profitti». Un patto per la ‘ndrangheta united, uno dei particolari che emerge dall’ordinanza eseguita oggi nell’inchiesta della Dda di Milano che ha portato in carcere, tra gli altri, Giovanni Morabito, medico 59enne che lavorava in alcune Rsa milanesi (è stato arrestato nella sua abitazione milanese) e figlio dello storico boss Giuseppe detto “U tiradrittu”. L’incontro «importante», come si legge negli atti, sarebbe avvenuto il 26 giugno 2020 «negli uffici di via Vittor Pisani», usati dal «gruppo» di Giovanni Morabito come base delle attività illecite. A decidere come spartirsi il business dei rifiuti, secondo l’ordinanza cautelare, sarebbero state persone legate alle cosche di ‘ndrangheta «Alvaro, Mancuso, Piromalli, Bellocco e, ovviamente, Morabito».
In un’intercettazione riportata dall’Ansa si sente Massimiliano D’Antuono, uno degli arrestati, dire: «Noi abbiamo il gruppo di Tonino (…) se io devo mangiare sul gruppo di Tonino, devi mangiare anche te, deve mangiare anche il Benza (…) Ciccio ci porta la discarica tutti mangiamo su quello di Ciccio». D’Antuono è ritenuto dal gip di Milano «motore del sodalizio» al pari di Giovanni Morabito. «La riunione l’ho dovuta fare per mettere d’accordo le parti», dice nel corso della riunione. «Stai diventato un “Padrino” tu a Milano», gli fa notare con una battuta l’interlocutore.
La Dda aveva chiesto al gip l’applicazione di 65 misure cautelari per altrettanti indagati, tra cui 41 richieste di carcere, ma il gip ha accolto le istanze di misura cautelare per 18 persone (sette in carcere). Non è stata riconosciuta dal giudice, neanche per Giovanni Morabito, l’accusa di associazione mafiosa, ma solo quella di associazione per delinquere con la finalità di agevolare la ‘ndrangheta. (ppp)
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