MILANO È in corso dalle prime ore della mattinata una operazione dei carabinieri di Milano e Varese che sta portando alla esecuzione di 11 ordinanze di custodia cautelare in carcere, al sequestro di beni per un valore complessivo di oltre 225 milioni di euro ed alla notifica dell’avviso di conclusione indagini nei confronti di 153 indagati.
Si tratta di una complessa indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano che ha riguardato un contesto criminale operante prevalentemente nel territorio lombardo, in particolare, tra la città di Milano e la sua provincia, la città di Varese e la sua provincia, formato da soggetti legati a cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra, e detto «sistema mafioso lombardo, che gestisce risorse finanziare, relazionali ed operative – scrivono gli investigatori -, attraverso un vincolo stabile tra loro caratterizzato dalla gestione ed ottimizzazione dei rilevanti profitti derivanti da sofisticate operazioni finanziarie realizzate mettendo in comune società, capitali e liquidità». Sono state effettuate 60 perquisizioni, impegnati più di 600 Carabinieri sull’intero territorio nazionale.
Il gip di Milano Tommaso Perna ha respinto oltre 140 richieste di arresti per altrettanti indagati. Il giudice ha disposto il carcere solo per 11 persone, ma non per associazione mafiosa e solo per altri reati. La Dda ha deciso di chiudere le indagini, contestando la presunta l’alleanza tra le tre mafie e di fare ricorso al Riesame per le richieste di custodia cautelare respinte.
Sono state le dichiarazioni del pentito Emanuele De Castro, figura di vertice del “locale” di ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo (Varese) arrestato nel 2019 nell’operazione “Krimisa“, a dare impulso alla maxi inchiesta della Dda e dei Carabinieri del nucleo investigativo di Milano sull’esistenza di un presunto “sistema mafioso lombardo”. De Castro – come riporta l’agenzia Agi – avrebbe fornito alla procuratrice aggiunta Alessandra Dolci e alla pm Alessandra Cerreti i nomi di Massimo Rosi (arrestato) e Gaetano Cantarella, detto ‘Tanu u’ curtu’, dal cui monitoraggio gli inquirenti sarebbero partiti per ricostruire i legami tra i vari esponenti dei clan di Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra. A Rosi, 37enne con precedenti, è stato attribuito un ruolo centrale nella «creazione di un sistema mafioso di tipo trasversale». Una ricostruzione non condivisa dal gip che ha ritenuto, invece, che Rosi abbia agito «soprattutto nel settore del narcotraffico» in qualità di «componente apicale della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, talvolta interagendo con singoli esponenti di altri gruppi».
Amico Gioacchino (cl. ’86); Bellusci Francesco (cl. ’87); Bonvissuto Rosario (cl. ’73); Cristello Giacomo nato a Crotone il 15 maggio 1963; Fiore Giuseppe (cl. ’80); Mazzotta Pietro, nato a Reggio Calabria il 26 aprile 1968; Nicastro Dario (cl. ’75); Nicastro Francesco (cl. ’99); Rosi Massimo (cl. ’68); Sanseverino Sergio (cl. ’58) e Sorce Giuseppe (cl. ’75).
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