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La ‘ndrangheta nel “sistema mafioso lombardo”: la ricostruzione del locale di Lonate Pozzolo

Tra i 154 indagati ci sono alcuni degli esponenti di rilievo delle famiglie calabresi in Lombardia

Pubblicato il: 25/10/2023 – 13:05
di Giorgio Curcio
La ‘ndrangheta nel “sistema mafioso lombardo”: la ricostruzione del locale di Lonate Pozzolo

MILANO Un sistema mafioso lombardo, una nuova alleanza tra clan di ‘Ndrangheta, della Camorra e di Cosa Nostra, insieme per fare affari in un territorio particolarmente ricco e allettante per gli appetiti della criminalità organizzata. È questo l’aspetto più significativo della nuova maxinchiesta condotta dal nucleo investigativo dei carabinieri di Milano e di Varese, coordinata dalla Dda di Milano. Sono in tutto 11 le persone arrestate e finite in carcere su ordine del gip Tommaso Perna, ma il dato che salta all’occhio è quello legato al numero degli indagati: ben 154. In carcere sono finiti: Amico Gioacchino (cl. ’86); Bellusci Francesco (cl. ’87); Bonvissuto Rosario (cl. ’73); Cristello Giacomo nato a Crotone il 15 maggio 1963; Fiore Giuseppe (cl. ’80); Mazzotta Pietro, nato a Reggio Calabria il 26 aprile 1968; Nicastro Dario (cl. ’75); Nicastro Francesco (cl. ’99); Rosi Massimo (cl. ’68); Sanseverino Sergio (cl. ’58) e Sorce Giuseppe (cl. ’75).

Il locale di ‘ndrangheta calabrese

La ricostruzione degli investigatori è partita dalla figura di Vincenzo Rispoli, considerato il capo del locale di ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo. Il classe ‘62 originario di Cirò Marina, già condannato in appello nel 2021 nel processo nato dall’inchiesta “Krimisa”, sarebbe a tutti gli effetti il componente del sistema mafioso lombardo, con compiti di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni da compiere e delle strategie da adottare. Una figura di assoluto rilievo e spessore criminale nello scacchiere lombardo, perché secondo gli inquirenti nonostante la detenzione al 41bis, Rispoli sarebbe riuscito ad impartire istruzioni e direttive precise per la ricostituzione del locale di Legnano-Lonate Pozzolo, colpito duramente dalle ultime operazioni giudiziarie, facendo recapitare a Massimo Rosi, finito in carcere, una lettera attraverso la quale ne autorizzava la riorganizzazione, attraverso il figlio Alfonso Rispoli. Anche perché la figura di Rosi è di primissimo piano: sarebbe lui, secondo gli inquirenti, il reggente e “capo società” del locale di Legnano-Lonate Pozzolo, adoperandosi – una volta ricevuto il via libera – nell’arruolamento e l’affiliazione di nuovi soggetti, ingaggiando “storici” affiliati come Armando Lerose e Pasquale Rienzi, inviando e ricevendo comunicazioni da e per la Calabria funzionali al coordinamento con le altre focali ed alle nuove affiliazioni. Ma non è tutto: secondo gli inquirenti, infatti, lo stesso Rosi avrebbe svolto un ruolo di trait d’union tra il locale e le altre componenti del “sistema mafioso lombardo” e, in particolare, con il clan camorristico Senese e quello siciliano di Cosa Nostra dei Rinzivillo di Gela.

Il clan Iamonte

C’è però un’altra figura importante in Lombardia, espressione della ‘ndrangheta calabrese. Per gli inquirenti è Filippo Crea, cl. ’75, indagato in questo procedimento perché considerato referente del clan Iamonte nel Nord Italia, ruolo conferitogli direttamente dal padre, Santo Crea. Così come riportato dal gip nell’ordinanza, Filippo Crea sarebbe stato inserito nel contesto criminale «impartendo precise direttive» e «alla commissione di una serie di delitti in materia di armi e munizionamento, riciclaggio, intestazioni fittizie». Ma non è tutto. Secondo l’accusa, infatti, Crea sarebbe riuscito ad acquisire, direttamente e indirettamente, la gestione, e in molti casi il controllo, di numerose attività economiche, operanti in vari settori, occupandosi anche del reimpiego dei profitti illeciti dell’organizzazione criminale attraverso la acquisizione di aziende operanti in vari settori, «utilizzando un reticolo di attività economiche e di società attraverso dei prestanome».

Le altre figure di rilievo

Tra le altre figure di “alto livello” individuate dagli inquirenti c’è, poi, Saverio Pintaudi, cl. ’73 anche lui fra gli indagati, considerato un esponente, per l’area lombarda, della cosca di ‘ndrangheta Iamonte e facente parte del locale di Desio, collegato a quello di Melito Porto Salvo, nonché uomo di fiducia di Filippo Crea. Stesso ruolo quello ricoperto, sempre secondo l’accusa, da Claudio Scotti, cl. ’54, da Maria Domenica Postù, reggina classe ’86 anche lei tra gli indagati, Lorenzo Suraci e Domenico Tripodi, il primo di Reggio Calabria e il secondo di Melito Porto Salvo, entrambi indagati. Negli affari del gruppo criminale lombardo, secondo l’accusa, si sarebbe inserita anche la famiglia Romeo attraverso la figura di riferimento, Antonio Romeo, cl. ’89 di Locri (anche lui indagato) e nipote di Sebastiano Romeo “u staccu” capo del locale di ‘ndrangheta di San Luca. (g.curcio@corrierecal.it)

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