REGGIO CALABRIA Prima di morire per mano di un commando che gli sparò contro diversi colpi di arma da fuoco, il brigadiere Carmine Tripodi, seppur ferito, riuscì a esplodere cinque colpi con la pistola d’ordinanza, ferendo uno dei suoi killer. Era il 6 febbraio del 1985. È su quelle tracce di sangue che la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria sta svolgendo accertamenti che potrebbero riaprire il caso sulla brutale esecuzione per mano della ‘ndrangheta del brigadiere che operava a San Luca.
Sarebbero almeno quattro, secondo quanto trapela, le persone sulle quali si indaga, destinatarie di un avviso relativo allo svolgimento di accertamenti tecnici irripetibili che verranno effettuati domani da parte del Ris di Messina. Uno di questi è Sebastiano Nirta, classe ’57, di San Luca. Oggetto dell’inchiesta, coordinata dai pm della Dda di Reggio Calabria Diego Capece Minutolo e Alessandro Moffa, indumenti, sassi, toppe di asfalto, rinvenuti sulla scena del delitto e sulle quali ci sarebbero tracce ematiche riferibili ad uno degli aggressori del brigadiere. L’obiettivo è l’estrapolazione di un profilo genetico e quindi l’identificazione degli autori dell’omicidio.
Potrebbe essere fatta luce, dunque, a distanza di 38 anni dall’uccisione del brigadiere dei carabinieri che allora aveva solo 25 anni e che operava nel territorio aspromontano per fare luce sui numerosi sequestri di persona che interessavano in quegli anni il territorio. Insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare, Tripodi era originario di Torre Orsaia, in provincia di Salerno. (m.r.)
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