ROMA «Un periodo di grande tensione e pressione, ma anche di grande impegno e spinta ideale. Nelle bacheche delle caserme c’erano i nomi e le foto segnaletiche dei latitanti, elenchi lunghissimi: quasi tutti i capi di Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta». E’ un passaggio dell’intervista rilasciata al Corriere della Sera del generale Pasquale Angelosanto, il comandante dei Ros che ha catturato Matteo Messina Denaro, in procinto di andare in pensione. Angelosanto ripercorre la sua lunga carriera dedicata alla lotta al crimine e ricorda la cattura del boss della Camorra, Carmine Alfieri. «Lo prendemmo l’11 settembre 1992, e sebbene fosse ricercato, da nove anni, solo per il lotto clandestino, sapevamo che era diventato il capo della camorra vesuviana. Dopo aver vinto, con la Nuova Famiglia, la guerra contro la Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Pasquale Galasso, il boss suo vecchio alleato arrestato nel maggio 1992, pensava di essere stato tradito da Alfieri, avendo avviato grandi investimenti dai quali credeva volessero escluderlo. Si vendicò indicandoci un possibile rifugio nel comune di Scisciano, in un contesto criminale che già conoscevamo bene. S’era nascosto in un bunker sotterraneo, e quando cominciammo a rompere il pavimento con le mazze da carpentiere sentimmo la sua voce che chiedeva di smettere». Il racconto prosegue. «Nell’ottobre ’92 arrivai al Ros per comandare la Sezione Catturandi, e fui aggregato a Napoli. Si lavorava secondo il metodo dalla Chiesa, che seguiamo ancora oggi». «Alcuni ufficiali nostri comandanti e i marescialli che avevano lavorato con il generale ai tempi del terrorismo, ci fecero da maestri. – spiega Angelosanto – Metodo che consiste nello studio approfondito del contesto, per inquadrare il singolo delitto nell’ambito in cui è maturato. E tecniche investigative applicate sul territorio: osservazione, controlli e pedinamenti, a cui si sono aggiunte le intercettazioni e altre attività tecniche. Solo così, nel terrorismo come nella criminalità organizzata, si riesce a venire a capo degli omicidi e a prendere i latitanti. Ci vuole tempo e tanta pazienza, ma alla fine i risultati arrivano».
Il comandante del Ros, per quattro anni alla guida del comando provinciale di Reggio Calabria, dedica la chiosa alla cattura di Matteo Messina Denaro «arrivata da un pizzino nascosto in casa della sorella». «Ho vissuto con la continua paura di commettere errori – racconta – ci stavamo avvicinando, ma bisognava evitare il minimo sbaglio. Poi una soddisfazione indescrivibile, insieme all’improvviso calo di tutta la tensione accumulata».
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