CATANZARO «I covi erano coperti da foglie o sacchi di filo o di paglia, però qualche raggio filtrava ed era quello che mi faceva capire che era nato un nuovo giorno. Se non ricordo male, quando sono stato liberato sapevo perfettamente che era il 5 maggio del 1990, perché ogni volta che dal sacco filtrava un nuovo raggio di luce, io contavo un giorno in più. Sono andato avanti così per 831 giorni». Così Carlo Celadon, intervistato a “Storie di Sera” su Rai1, ha raccontato – «per l’ultima volta» – il suo sequestro, il più lungo nella storia dei rapimenti: 831 giorni, dal 25 gennaio al 5 maggio 1990, prelevato ad Arzignano nel Vicentino e nascosto dalla ‘ndrangheta in 7 covi nel cuore impenetrabile dell’Aspromonte. All’epoca Celadon aveva 18 anni: quando dopo oltre 2 anni venne rilasciato, dopo il pagamento di un riscatto di 7 miliardi, la sua immagine era quello di un Cristo sulla croce. Un calvario infinito, per Celadon: «Non c’è un manuale di sopravvivenza: sono cose che quando cadono dal cielo siamo costretti ad affrontare. Sicuramente non pensavo potesse durare così a lungo. È stata dura», dice. In studio, con la conduttrice Eleonora Daniele, la giornalista Rai Carmen Lasorella, che fu la prima ad annunciare la notizia del suo sequestro, Fiorenza Mazzei, poliziotta che seguì il suo caso come, da remoto, il magistrato De Silvestri, che è diventato un suo grande amico.
Celadon parla del rapporto on il padre, Candido, imprenditore vicentino, oggi scomparso, che Carlo appena liberato saluto freddamente perché, “plagiato” dai rapitori, gli rimproverava di averlo abbandonato salvo poi ha riabbracciarlo con grande amore quando si è reso conto degli immani sforzi che l’uomo aveva dovuto affrontare per riaverlo con sé: «Mio padre è stato sempre un eroe per me. Avevamo un’intesa meravigliosa, bastava che ci guardassimo negli occhi. I suoi saggi consigli mi mancano enormemente». Sullo schermo scorrono le immagini drammatiche del suo sequestro e quelle, dolci, della sua liberazione: «Erano almeno trent’anni che non le vedevo. Le avevo viste appena ero stato rilasciato, in un pezzo riassuntivo che i tg avevano trasmesso in quei giorni mentre ero al commissariato, a Siderno. Oggi – spiega Carlo Celadon – le guardo in terza persona, come se fosse successo a un altro e non a me. È una cosa che grazie al tempo è avvenuta in modo abbastanza naturale. Ricordo di aver molto pregato quando ero in prigionia e la mia preghiera era rivolta appunto a riuscire a superare il dopo sequestro, se fossi tornato a casa, perché non avevo più la testa, mi sentivo letteralmente impazzire». Celadon rivela di aver tenuto nascosto il suo dramma ai figli perché non sapeva come affrontarlo, poi i ragazzi ne sono venuti casualmente a conoscenza e ha deciso di aprirsi con loro: «Ho iniziato a raccontare alcune cose ma non troppe perché fortunatamente hanno dimostrato di non essere tanto curiosi. Come io ho messo da parte la vicenda, così hanno fatto anche loro. Adesso è come se non fosse successo niente». Per Celadon comunque l’intervista è anche un tuffo nel dolore: «Non è stato semplice, ma ho partecipato perché questa è l’ultima volta che i riflettori saranno posati su di me. È l’ultima trasmissione a cui ho deciso di partecipare», conclude. (redazione@corrierecal.it)
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