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I numeri

Crescono gli imprenditori “migranti”, in Calabria sono oltre 15 mila

Secondo Unioncamere e Infocamere, in cinque anni boom di imprese straniere. Catanzaro e Reggio le mete preferite dai titolari marocchini

Pubblicato il: 01/11/2023 – 18:08
Crescono gli imprenditori “migranti”, in Calabria sono oltre 15 mila

LAMEZIA TERME Mentre le imprese italiane registrano un calo, quelle straniere confermano un trend di crescita positivo. Sono i numeri che emergono dal report di Unioncamere e Infocamere, che quantifica in 697.565 le imprese straniere presenti nel registro delle Camere di commercio. Nel 2022 sono cresciute solo dell’1%, ma nell’ultimo quinquennio il dato raggiunge il 10%, senza risentire degli effetti della pandemia. La ricerca, analizzata sull’approfondimento L’Economia del Corriere della Sera, evidenzia come le nuove società registrate nel 2022 siano 35.500, mentre le attività cessate si fermano a 20.923, registrando quindi un saldo positivo di circa 14.500 unità.

La situazione in Calabria

Sono 15.043 le attività in Calabria appartenenti a titolari di origine straniera. In particolare, le città calabresi sono le mete preferite per gli imprenditori marocchini che, secondo il report, «hanno una forte focalizzazione territoriale nelle provincie dello Stretto», come Catanzaro, Reggio e Messina. Marocco, Romania e Cina rappresentano i paesi da cui provengono il maggior numero di imprenditori, circa il 34%. Andando nel dettaglio, i titolari di origine marocchina, i più presenti in Calabria, puntano di più all’ambito commerciale, ma sono presenti anche «nelle attività di trasporto, magazzinaggio e noleggio». Se la crescita delle imprese può essere positiva per l’economia italiana, si pone però la questione dell’inquadrare socialmente un numero così alto di nuovi imprenditori.

«Non sono un ceto a parte»

«Parliamo di imprese fragili per le quali far quadrare il conto economico non può che essere il problema numero uno» ha detto, nell’intervista al Corriere, il ricercatore del Censis Francesco Maietta. Per loro diviene difficile «programmare uno sviluppo», dal momento che molti scelgono anche di tornare nella loro terra natìa, com’è accaduto a molti rumeni durante il covid. Tuttavia, nonostante il numero in costante crescita, non c’è quell’omogeneità funzionale alla creazione di un ceto vero e proprio. «L’identità di piccolo imprenditore – continua Maietta – rimane secondaria rispetto all’appartenenza. Se i commercianti del Bangladesh hanno un problema con l’amministrazione comunale si muove la comunità. Di conseguenza è difficile possano sentirsi come un ceto». (redazione@corrierecal.it)

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