ROMA La Corte di Cassazione ha emesso la sentenza nei confronti dei soggetti coinvolti nella “Strage di via Popilia”: consumatasi il 9 novembre del 2000 e che costò la vita a Benito Aldo Chiodo e Francesco Tucci. Gli ermellini hanno rigetto il ricorso presentato dai legali di Fiore Abbruzzese, Antonio Abbruzzese, Celestino Bevilacqua e Luigi Berlingieri, mentre per la posizione di Saverio Madio (difeso dagli avvocati Filippo Cinnante, Gaetano Bernaudo e Aldo Truncè) è stato annullato il capo riferito al trattamento sanzionatorio e dunque sarà riformulata la pena inflitta in Appello.
La sentenza odierna dunque conferma quanto deciso dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro che aveva, a sua volta, riformulato le pene inflitte nei confronti dei responsabili della “Strage di via Popilia”. Per Fiore Abbruzzese e Antonio Abbruzzese è stato confermato l’ergastolo, mentre erano state comminate pene meno severe per gli altri indagati. Celestino Bevilacqua era stato condannato a 30 anni (a fronte della richiesta di ergastolo), Saverio Madio a 12 anni a fronte di una precedente condanna a 28 anni e sei mesi. Infine, per Luigi Berlingieri era stata decisa una pena a 30 anni.
La Corte d’Assise del Tribunale di Cosenza, per il doppio delitto, aveva condannato all’ergastolo Fiore Abbruzzese, Antonio Abbruzzese e Celestino Bevilacqua mentre Luigi Berlingieri era stato condannato alla pena di 30 anni di reclusione e Saverio Madio alla pena di 28 anni e 6 mesi. Una prima verità giudiziaria messa nero su bianco dal collegio giudicante presieduto da Paola Lucente con a latere il collega Giovanni Garofalo e i giudici popolari.
Determinanti nella costruzione del castello accusatorio sono state le confessioni rese in aula dai collaboratori di giustizia chiamati a testimoniare. Su tutti, l’ex boss dei nomadi “Franchino i Mafarda”. Il pentito ha avuto modo di spiegare – a suo dire – come la decisione di uccidere Benito Chiodo fu anticipata dagli attriti tra il gruppo dei nomadi e quello degli italiani, di cui la vittima era esponente. Gli “Zingari”, avevano deciso di estendere il delle attività illecite e oltre al traffico di droga cercarono di accaparrarsi anche il business delle estorsioni. Benito Chiodo avrebbe violato i patti di una presunta alleanza e lo “sgarro” l’avrebbe pagato con la vita. Come riferito dallo stesso collaboratore di giustizia, alla guida della Lancia Thema (che sarebbe stata usata per l’agguato mortale) si trovava Fiore Abbruzzese insieme a Franco Bevilacqua, Gianfranco Iannuzzi (deceduto) e Luigi Berlingieri. Il mandante sarebbe stato Antonio Abbruzzese, mentre Francesco Madio e Celestino Bevilacqua avrebbero svolto un ruolo di supporto al gruppo di fuoco.
L’auto utilizzata dal sodalizio come sostenuto da “Franchino i Mafarda” è finita nel mirino della difesa, sostenuta dall’avvocato Francesco Boccia. Che nella sua discussione ha dimostrato come la stessa sia stata rottamata subito dopo il dissequestro, in un periodo successivo al pentimento del collaboratore di giustizia. Inoltre, il legale aveva portato all’attenzione della Corte un’altra incongruenza relativa alla dinamica dell’omicidio. Il pentito, infatti, ha sempre parlato di un agguato avvenuto con l’utilizzo di due pistole, mentre dalla prima perizia balistica sarebbe emerso l’utilizzo di una sola arma. (redazione@corrierecal.it)
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