CORIGLIANO ROSSANO «L’Italia senza il Sud non è Italia. È vero. Ma invece di esigere che il Nord si sdebiti con i meridionali, questi ultimi, sicuramente i calabresi, dovrebbero guardarsi di più attorno e sotto i piedi, dovrebbero capire dove sono nati e cosa producono e quindi iniziare a mangiare poco poco di più materie prime e trasformati calabresi di qualità. Esattamente come fanno i loro concittadini emiliani, lombardi, toscani e veneti». È quanto dichiara Lenin Montesanto, direttore della storica associazione europea “Otto Torri sullo Jonio”, replicando alle affermazioni di Oscar Farinetti, fondatore della catena Eataly, ospite a Vibo Valentia per presentare il suo libro 10 mosse per affrontare il futuro ai giovani della Cna, alla presenza tra gli altri degli assessori regionali Gallo e Varì.
«Non possiamo che accogliere con soddisfazione – sottolinea Montesano – l’intenzione dichiarata di Farinetti al Festival del Sud di venire un giorno in Calabria per produrre extravergine da vendere all’estero. Non è questo, tuttavia, ciò di cui hanno bisogno i calabresi. Perché all’estero i migliori extravergini calabresi non solo circolano, da tempo, a testa alta ed anche a costi importanti».
«Il problema – prosegue – è tutto all’interno della regione: non trovi un extravergine di qualità seduto ad un ristorante, neppure se ti raccomandi col titolare. Siamo alla oicofobia pura».
«Più che pensare all’estero – sostiene Montesano i calabresi dovrebbero iniziare a preferire l’extravergine di qualità dei loro territori, invece di barattarlo ogni giorno, dalle mense scolastiche alla ristorazione, dalla ricettività turistica alle dispense domestiche, con i peggiori oli (spesso non extravergini) disseminati negli scaffali della grande distribuzione e con i peggiori oli di semi protagonisti assoluti non solo delle fritture ma addirittura dei tradizionali sott’oli (perfino delle stesse olive sott’olio, una blasfemia tutta calabrese!). Si sdebitino quindi con se stessi, i calabresi e pretendano di pagare bene e consumare loro in primis, senza complessi di inferiorità e senza oicofobia, i loro extravergini di qualità, portandoseli a casa, esigendoli seduti al ristorante e battendosi anzi tutto perché sia usato per preparare i piatti nelle mense dei loro figli. Esattamente come fanno i pugliesi, i siciliani, gli umbri e i piemontesi come Farinetti».
«L’inutilizzo del proprio extravergine da parte degli stessi abitanti della seconda regione per produzione olivicola e della prima per biodiversità in Europa – afferma ancora – la stessa che ama vantarsi di 800 chilometri di costa ma i cui lidi in spiaggia sono chiusi da Ferragosto in poi nonostante il clima tropicale fino a novembre, la stessa che sui menù di carne le propone di tutte le razze e di tutti i continenti tranne la propria podolica e che su quelli di pesce spaccia per lo più pessimi salmoni e prodotti congelati in altri emisferi, rappresenta forse lo specchio più eloquente di un fallimento culturale ed intergenerazionale che va combattuto più che col commercio estero, con l’educazione e la sovranità alimentare, partendo dalle scuole».
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