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“Cosa Veneta”, le infiltrazioni della ‘ndrangheta nella politica e nell’imprenditoria. Il pentito che fa tremare il Nord Est

L’ultima puntata di Report ha riacceso i riflettori sulla famiglia Giardino, Flavio Tosi e la cosca Grande Aracri di cui il Corriere della Calabria si è più volte occupato

Pubblicato il: 06/11/2023 – 16:24
“Cosa Veneta”, le infiltrazioni della ‘ndrangheta nella politica e nell’imprenditoria. Il pentito che fa tremare il Nord Est

Infiltrazioni mafiose in Veneto, dalla mafia, alla camorra, fino ad arrivare alla ‘ndrangheta. L’ultima puntata di Report, programma di inchieste di Raitre condotta da Sigfrido Ranucci, intitolata “Cosa Veneta” è sbarcata a Vicenza, Padova e Verona, con un super pentito che sta facendo tremare l’intera Regione e anche il Lazio. Si tratta di un’inchiesta di cui il Corriere della Calabria si è più volte occupato nel recente passato. Un’inchiesta antimafia che ha evidenziato come nel ricco Nordest, Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Casalesi si mescolano da anni portando a termine affari, fino ad infiltrarsi negli appalti, a interessarsi di voti e di amministrazione pubblica intrattenendo rapporti privilegiati con forze dell’ordine, imprenditoria e massoneria.
«Già nel 2015, la presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi aveva chiesto una commissione di accesso agli atti nel comune di Verona, anche in seguito a un’inchiesta di Report che dieci anni fa aveva illuminato una zona d’ombra: la presenza della ‘Ndrangheta nel capoluogo veneto e contatti nella giunta di Flavio Tosi. Tutti, in quella circostanza, avevano negato ogni coinvolgimento e si erano indignati. A distanza di dieci anni, ha detto Ranucci, i nodi sono venuti al pettine. Tutto già allora ruotava intorno alla famiglia calabrese Giardino, a cui oggi si è aggiunto un tassello, quello che riguarda un pentito di ‘ndrangheta.

Isola Capo Rizzuto, Verona e la famiglia Giardino

Ma l’inchiesta firmata da Walter Molino e Andrea Tornago che riguarda più da vicino la ‘Ndrangheta, parte da Isola Capo Rizzuto, nel Crotonese, il regno delle potenti famiglie Arena e Nicoscia, legate da un patto di sangue nel nome degli affari. Proprio da Isola arriva la famiglia Giardino. «E’ una persona normale come noi», spiega un signore anziano del posto al cronista di Report. «Poi – continua l’uomo – sapete com’è, l’andazzo…che rovina le persone». «L’andazzo o la ‘ndrangheta?» Chiede il giornalista. «Io parlo di andazzo», si sente rispondere, «non posso dire ‘ndrangheta».
Nel servizio viene mostrato il video di una spedizione punitiva contro il dipendente di una sala scommesse nel centro di Verona. L’aggressore è Francesco Giardino e «suo figlio è stato licenziato il giorno prima perché rubava dalla cassa». «Sono lì dietro al banco – spiega la vittima – arriva suo padre e mi dice: “sei stato tu a dire alla tua capa che mio figlio ha fatto quello che ha fatto?” Ho detto, sì, sono stato io. E lui ha reagito cercando di darmi un pugno». La proprietaria dell’agenzia aveva assunto il figlio di Giardino anche se in questura glielo avevano sconsigliato. Dopo l’aggressione al dipendente, però, la titolare non ha sporto denuncia. «No», ha affermato la donna, «siamo andati a raccontare e poi è uscito tutto ‘sto ambaradan, ma non è che eravamo andati a denunciare. Diciamo che abbiamo avuto delle pressioni, magari se raccontavamo quello che era successo, poteva anche essere bruciato il locale».
Su Verona, l’ex procuratore di Catanzaro, oggi a Napoli, Nicola Gratteri, spiega come l’imprenditore ‘ndranghetista «veste e mangia come noi, ha solo l’accento calabrese come il mio, però porta tanti soldi. Mettiamo il caso in cui l’imprenditore del nord sia in buonafede, quando l’imprenditore ‘ndranghetista gli propone smaltimento dei rifiuti con ribassi del 30-40 per cento, manodopera a basso costo, mi pare che non si possa parlare di ingenuità o di buonafede. Si chiama ingordigia».
Secondo l’Antimafia, a Verona si era radicata una locale di ‘Ndrangheta. Il capo indiscusso è Antonio Giardino, detto “Totareddu” che nel marzo scorso è stato condannato in primo grado a 30 anni di carcere (leggi qui il nostro articolo). «Io in Veneto non ho mai visto la ‘Ndrangheta», afferma l’imprenditore Alfonso Giardino, cugino di “Totareddu”, condannato per usura ed estorsione, oggi è indagato dall’Antimafia di Venezia per associazione mafiosa. «Da quello che dicono i giornali – continua Giardino – sembra che c’è, ma qui io non ho mai conosciuto uno ‘ndranghetista. Con tutti i calabresi, elettricisti, idraulici, gente che lavora dalla mattina alla sera, amici miei, qui nel Veneto ce l’hanno a morte. Qui a Verona c’è gente che ruba soldi dalla mattina alla sera e non gli fanno un cazzo». Alla famiglia Giardino sono riconducibili decine di aziende con sede in Veneto e in tutto il Nord Italia, che lavorano nel campo della manutenzione ferroviaria e dell’edilizia. «Siamo diventati come gli ebrei – dice Alfonso Giardino al giornalista Walter Molino –, te la dico io la verità. C’è un Hitler qua, la politica».

Gli appalti e i contatti con Marco Giorlo, assessore di Flavio Tosi

Nell’inchiesta “Kyterion” della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro è emerso l’interesse delle ‘ndrine calabresi in contatto con i Giardino, per la rielezione di Flavio Tosi a sindaco di Verona nel 2012. Il tutto si evincerebbe da una intercettazione telefonica tra due imprenditori crotonesi che nella loro conversazione chiamano in causa Alfonso Giardino (“Alfonso lo stai sentendo?”, “Alfonso lo sto chiamando e non mi risponde”. “Eh bè sono in festa ora che là a Verona ha vinto Tosi quello che appoggiavano loro, quindi secondo me sono in festa”. “Eh bè, sono contento”). Alle elezioni comunali del 2012, Alfonso Giardino racconta di aver creduto in Flavio Tosi e nelle promesse del suo assessore calabrese Marco Giorlo, «appalti – sottolinea Report – in cambio di voti». «Quando abbiamo parlato – racconta Alfonso Giardino – mi ha detto: “Se mi date una mano…vedete se conoscete altri calabresi…gente per il voto…se mi date una mano vediamo di…”, perché io gli avevo detto che mi interessava fare un centro sportivo qua a Verona, perché io sono amante di calcio, tennis, ‘ste cose qua. E lui (Giorlo, ndr), mi ha detto: “guarda, c’è la possibilità, sempre però in affitto”. Te lo davano in affidamento. Poi però non me lo hanno dato. Io i voti non glieli ho dati, non li ho aiutati». Sempre dalle intercettazioni (tra Alfonso e Vincenzo Giardino), però, emergerebbe il contrario: “L’ho aiutato davvero, te lo posso giurare. Se si trova su quella poltrona si trova per me. Gli ho trovato non so quanti voti, quanti gliene ho tirati fuori non ne hai idea. Mi sono massacrato giorni e giorni, però adesso grazie a Dio è riconoscente. Mi ha detto: io per i Giardino faccio tutto, perché i Giardino mi hanno aiutato”.
Marco Giorlo ha sempre negato ogni coinvolgimento con i Giardino e le inchieste sul suo operato di assessore sono state archiviate, «ma non risulta – spiega Report – che sia stata approfondita la natura dei suoi rapporti con Alfonso Giardino».
L’allora sindaco di Verona Flavio Tosi, dopo una puntata di Report che per prima nel 2014 aveva denunciato la presenza della ‘Ndrangheta a Verona, aveva negato che i Giardino lo avessero appoggiato alle elezioni. Ma nella puntata è stata mostrata una foto del 29 maggio 2015 (quando Tosi era candidato alla presidenza della Regione) in cui si vede proprio l’ex sindaco abbracciato con Antonio Giardino, detto “il marocchino”, fratello di Alfonso, condannato nel giugno scorso in primo grado per mafia a 6 anni e 8 mesi di carcere. Tosi in quella circostanza chiuse il suo tour elettorale nel bar “Mi Vida” di Sommacampagna, allora riconducibile proprio alla famiglia Giardino. «Si sono fatti ‘sta foto – ricorda ancora Alfonso Giardino – ed è uscito fuori un putiferio. Te lo giuro sui miei figli che si è trovato (Tosi, ndr) lì per caso…conosceva un mio parente e il mio parente l’ha portato là quella sera». Tosi, dal canto suo, ha negato ogni conoscenza con la famiglia Giardino: «Non sapevo neanche chi fosse il titolare, un candidato ha organizzato un evento e quindi sono andato in quel bar a fare campagna elettorale. Non posso conoscere i titolari di tutti i bar…tanti mi chiedono di far le foto, pizzerie, bar, locali».

Il primo pentito veneto di ‘ndrangheta che fa tremare il Veneto


Il primo marzo scorso è arrivata una sentenza storica in cui per la prima volta viene riconosciuta la presenza stabile di una locale di ‘ndrangheta a Verona. Il capo sarebbe Antonio Giardino. A questa storia si è aggiunto ora un personaggio, Nicola Toffanin (leggi qui il nostro articolo del 2020), guardia giurata, ex appartenente ai corpi speciali militari, vicino ad ambienti dell’estrema destra. «Si è messo a fare lo spione – ha detto Sigfrido Ranucci durante la puntata di Report – senza avere la licenza di investigatore privato. Aveva spiato politici per conto di altri politici. Poi a tempo perso faceva da intermediario tra gli ‘ndranghetisti e i politici». Oggi Toffanin è diventato un super pentito e le sue dichiarazioni, soprattutto quelle secretate, stanno facendo tremare il Veneto. Si tratta del primo collaboratore di giustizia veneto della ‘ndrangheta. Ma il clamore è arrivato fino a Roma. Arrestato nel 2020 nell’operazione “Isola scaligera”, Toffanin inizia subito a collaborare con i magistrati antimafia di Venezia, raccontando la composizione della locale di ‘ndrangheta veronese. In un verbale del 30 giugno 2006 Toffanin parla di “maglia che connette la ‘ndrangheta con la politica, le forze dell’ordine e la massoneria. Diamo la possibilità all’organizzazione di crescere e infiltrarsi nel tessuto economico, imprenditoriale e delle amministrazioni pubbliche. “Anche dalla Procura di Verona venivo a conoscenza di tante cose e proprio per questo mi ha dato il soprannome di «avvocato»”. Toffanin ha confessato di aver curato i rapporti tra le cosche e l’imprenditoria e la politica. I suoi verbali omissati e in gran parte secretati spaventano non solo il Veneto.
Toffanin «è uno che lavora su molti aspetti – spiega a Report il procuratore della Repubblica di Venezia Bruno Cherchi – molti cambi, ha molti contatti e informazioni. Le informazioni di Toffanin da quando ha deciso di collaborare, sono state tutte riscontrate». Toffanin si accompagnava a Michele Pugliese di Isola Capo Rizzuto, detto “il commercialista”, che sarebbe il braccio destro del capo cosca Antonio Giardino. Altro uomo di peso del gruppo, evidenzia Report, era Domenico Mercurio, detto “Mimmo”, che aveva ottimi rapporti con la politica veneta. Anche lui oggi è un collaboratore di giustizia. Insieme a loro c’era spesso Francesco Vallone, “il professore”, vicino alla cosca Mancuso, imprenditore-massone di Vibo Valentia, responsabile del Centro studi “Enrico Fermi” (che secondo gli investigatori sarebbe il “diplomificio della ‘ndrangheta) con varie succursali anche in Calabria. A Verona condivideva la sede con l’Università telematica Unicusano di Stefano Bandecchi. Quando Antonio Giardino ritorna a casa dopo un periodo di ricovero in ospedale, i suoi contatti più stretti vanno a rendergli omaggio, ed è seguendo le tracce dell’investigatore Toffanin che nel 2020 l’Antimafia riesce a documentare l’attività della locale veronese di ‘Ndrangheta. Gli inquirenti ascoltano Toffanin vantarsi del suo potere ricattatorio nei confronti di Andrea Miglioranzi (soprannominato a Verona “Miglionazi” per le sue idee di estrema destra), manager della partecipata dei rifiuti “Amia”, pupillo di Flavio Tosi. Proprio Tosi lo ha fatto diventare capogruppo della sua lista in Consiglio comunale e, paradossalmente, considerate le sue idee politiche, lo ha fatto nominare nell’Istituto della Resistenza di Verona. Toffanin avrebbe offerto a Miglioranzi una mazzetta da 3 mila euro per cedere un appalto dei corsi di formazione all’amico Francesco Vallone, corsi che non si sono svolti. Ma il solo fatto di aver percepito la mazzetta, avrebbe reso Miglioranzi ricattabile, anche se ancora oggi lo stesso nega ogni accusa. Ecco perché Toffanin in alcune intercettazioni dice di avere i politici, Tosi compreso, in pugno. «Il nostro referente in prima analisi era Miglioranzi – afferma Toffanin nel verbale del 30 giugno 2020 – però Miglioranzi è stato per tanto tempo il rappresentante di Flavio Tosi, il suo braccio destro. Io e Vallone abbiamo fatto conoscere Miglioranzi ai Pugliese e Miglioranzi era al corrente della caratura criminale di Pugliese, perché io glielo presentai così. Pugliese poteva gestire i voti della comunità calabrese».
Michele Pugliese è il numero due della locale di ‘Ndrangheta, affiliato agli Arena-Nicoscia. “Isola scaligera” è un’inchiesta di mafia che compone un album di famiglia della destra veronese. Toffanin incontrava a Verona anche Maurizio Lattarulo, detto “Provolino”, ex terrorista dei Nar e membro della Banda della Magliana. A metterli in contatto – emerge dall’inchiesta di Report – è Paola Pascarella, in passato collaboratore di Francesco Biava, ex capo segreteria di Gianni Alemanno. Pascarella è stato consulente legislativo della Camera dei deputati e secondo la Polizia si interessava di appalti per il Ministero della difesa in ambito di sicurezza nazionale. Nell’album di famiglia – sottolinea Report – c’è anche Giammatteo Sole, imprenditore palermitano trapiantato a Verona che insieme alla sorella Angela Stella sono gli ultimi datori di lavoro di Toffanin, a cui affidavano i compiti più delicati. Oggi i due stanno investendo sulle scuole di recupero scolastico – continua Report – simili a quelle di Vallone prima che venisse arrestato.

Lo chansonnier (ex senatore leghista) vicentino accusato di aver fatto sparare un giornalista

Ma la tela di Toffanin ha imbrigliato anche uno chansonnier di Vicenza. L’inchiesta di Report si è spostato infatti nella sede di “Unichimica” di Torri di Quartesolo, nei pressi di Vicenza, che può vantare 600 imprese e 3 miliardi di export all’anno, uno dei poli produttivi più ricchi del Paese. Patron di “Unichimica” è Alberto Filippi, parlamentare della Lega dal 2006 al 2011, politicamente vicino a Flavio Tosi. Oggi Filippi è anche un apprezzato chansonnier su YouTube. Della sua vicenda si è occupata anche il Corriere della Calabria. Filippi è accusato di essere il mandante dei cinque colpi di pistola che, nell’estate del 2018, furono esplosi contro l’abitazione del giornalista Ario Gervasutti, ex direttore del Giornale di Vicenza, oggi capo redattore de Il Gazzettino (leggi qui uno dei nostri articoli sulla vicenda). L’episodio attribuiti a Filippo emergerebbe dalla chiusura di un filone d’inchiesta della Procura antimafia di Venezia sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta calabrese tra Vicenza e Verona, con un corollario di estorsioni, rapine, sequestri di persona, emissione di false fatture, minacce, violenze private e truffa. Tra le 43 persone finite sotto la lente di ingrandimento dell’antimafia figura anche Filippi. I pm contestano all’imprenditore tre capi d’imputazione, relativi a due diverse vicende. La prima risale al 16 luglio 2018, quando sconosciuti esplosero contro l’abitazione di Gervasutti cinque colpi d’arma da fuoco senza conseguenze. Uno degli indagati, Santino Mercurio, 65 anni, di Isola Capo Rizzuto, avrebbe confessato ai magistrati di aver compiuto l’atto intimidatorio, dopo lunga preparazione, indicando come mandante Filippi. L’atto intimidatorio, secondo gli inquirenti, sarebbe stato commissionato allo scopo di “punire” Gervasutti per una serie di articoli che aveva dedicato all’azienda di Filippi, la Unichimica, in relazione alle polemiche su un cambio di destinazione d’uso di un’area di proprietà dell’imprenditore. Il nome di Filippi quale mandante dell’agguato avrebbe trovato conferma in alcune intercettazioni telefoniche. Filippi, interrogato di recente per 18 ore dai magistrati dell’Antimafia, si è dichiarato innocente. «Mercurio lavorava con la politica», ha detto Alfonso Giardino nella punta di Report. «L’unico dei calabresi qua a Verona che ha lavorato con la politica».

L’appalto per il nuovo ospedale di Padova e l’impresa contigua al clan Grande Aracri

«La più grande opera pubblica in corso d’opera è la realizzazione del nuovo Ospedale di Padova, un progetto da 590 milioni di euro che attingerà anche dai fondi del Pnrr. Il primo cantiere di questo grande progetto è la costruzione del nuovo reparto di pediatria: un primo appalto da 46 milioni di euro vinto da una prestigiosa impresa del Triveneto, la Setten che a sua volta ha dato un unico subappalto per tirare su la struttura di calcestruzzo alla Sidem, un’impresa di San Martino di Lùpari, un comune in provincia di Padova, di 13 mila abitanti. Subito è arrivata una interdittiva antimafia. Amministratrice unica della Sidem è Giuseppina De Luca, ma secondo la Prefettura sarebbe un prestanome». Anche di questo si è occupato ieri Report.
L’inchiesta nasce da un provvedimento interdittivo antimafia adottato lo scorso marzo dal Prefetto di Padova, Raffaele Grassi (leggi qui il nostro articolo) nei confronti di un’impresa operante nel settore edile contigua al clan Grande Aracri di Cutro, una delle più potenti consorterie criminali della ‘ndrangheta che da anni ha allargato i propri tentacoli nel nord Italia.
«E questo subappalto come ti è arrivato?» – chiede il giornalista di Report a Giuseppina De Luca durante il suo servizio. «La Setten ci ha contattato – risponde l’amministratrice unica della Sidem –, abbiamo fatto il preventivo il sopralluogo in cantiere, e abbiamo preso il lavoro».
La Setten di Treviso affida un subappalto per l’armatura del calcestruzzo alla Sidem il cui vero dominus, secondo l’Antimafia, è Michele De Luca, primo cugino del boss di ‘ndrangheta Nicolino Grande Aracri.
«Ma lei non ha mai avuto nessun tipo di contatto, neanche finanziamenti?», chiede il giornalista di Report a Michele De Luca, che risponde: «Ma quali finanziamenti, ma stiamo scherzando? Noi non viviamo di questa roba qua». De Luca ha affermato che le sue aziende non sono mai state nella contabilità di Grande Aracri». Ma Report, ha affermato il giornalista, «è entrata in possesso di questi pizzini vergati a mano da Nicolino Grande Aracri che i carabinieri hanno sequestrato in casa sua in cui il boss annota una serie di prestiti e finanziamenti per quasi 150 mila euro, proprio a favore delle imprese di Michele De Luca e dei suoi fratelli». In una informativa dei carabinieri di Crotone, emergerebbe che proprio il fratello di Michele, Salvatore De Luca, ha partecipato a un importante summit di ‘ndrangheta.
«Lei se lo ricorda sui cugino Michele De Luca?», viene chiesto successivamente ad Antonio Grande Aracri, «gli hanno fatto questa interdittiva antimafia proprio perché hanno una parentela con voi». «E’ giusto secondo te?», risponde Grande Aracri. «Se c’è per esempio un “malamente” in famiglia», continua l’uomo, «vengono e ci prendono a tutti…perché? Lui è per i fatti suoi, io sono per i fatti miei». (fra.vel.)

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