La stragrande maggioranza degli avvocati vengono e stanno dal e sul campo, nel senso che sanno collocarsi dove la professione li ha da sempre stabiliti, ossia accanto ai cittadini nella tutela dei diritti.
Una tale affermazione parrebbe assolutamente ultronea – e forse finanche ridondante – se non si assistesse,con sempre maggiore evidenza, ad una tendenza a rifuggire dall’esperienza propria dell’avvocato per trasformarsi in attori politici della giustizia piuttosto che lottatori nell’agone giudiziario.
Perché è lì che l’avvocato incarna la sua missione, attraverso il proprio contributo essenziale al diritto vivente, alla giurisprudenza ed al servizio dell’intelligenza della persona umana.
L’avvocato non ha bisogno di combattere collettivamente battaglie pubbliche per i diritti, perché già possiede lo strumento principe per far valere i diritti: e questo è costituito dalle norme dell’ordinamento e dal processo.
Anche se spesso può sembrare che sia Davide contro Golia, l’avvocato gode d’un arsenale di congegni, messigli a disposizione dalla legge,tali che egli può fare a meno di trasformarsi in politico e legislatore, occupando postazioni che, nella società, spettano ad altri.
La sua distesa pianura è già in sé “politica”, poiché il raggio d’azione della nostra amata Professione, ossia la giurisdizione (amplius), contiene tutte le lotte ed i combattimenti, tutti i confronti e gli scontri,tutte le competizioni ed i contrasti, tutte le discussioni nei più vasti campi della cultura e delle scienze umane, sociali, tecniche, giuridiche…e così via dicendo…, idonee a racchiudere ed anche a trasformare la realtà.
Ed invece, fatte salve poche ed apprezzabili eccezioni, si è nel tempo potuto osservare dagli avvocati un certo progressivo disinteresse attraverso il cimento giudiziario per il servizio verso la persona che entri in contatto col mondo della giustizia (complice in ciò anche la decisa introduzione nel sistema di strumenti disumanizzanti, come del resto anche in tanti altri settori della società…).
Ne vedo tanti di avvocati annoiati, pronti a virare (ovviamente non parlo degli “scalatori” di professione…perché quelli avvocati – per come penso si debba essere – non ritengo siano mai stati, apparendomi costoro alla stregua di svergognati opportunisti) verso approdi sideralmente distanti dalla missione che la nostra professione caratterizza.
E vedo pure tanti giovani che passano il loro tempo a cercare di farsi strada in associazioni forensi,camerille e parrocchie (di diversa estrazione), pur di apparire e -direbbe il mio Maestro – celebrarsi…
Cercano “medagliette” altrove senza considerare che si diventa avvocati sul campo,non con i curricula!
È infatti il “mercato” che Ti elegge e che Ti sceglie, non la pubblicità sui media e le passerelle organizzate dai soliti noti d’ogni tempo al mascherato fine di presentarsi al pubblico come i più capaci.
Addirittura – mi si dice – che vi sarebbero taluni attivamente impegnati, nel corso di pubbliche occasioni di formazione od aggiornamento professionale, in agiografie personali, non essendo neanche pervenuti a quella maturità professionale costituente il minimo indispensabile (e sopportabile dall’uditorio…) per raccontare incidentalmente qualcosa di sé.
Si è verificato – lo dico con amarezza – ciò che sentii dire alcuni anni fa da un tale:
I giovani avvocati hanno tanto da insegnare ai vecchi avvocati.
Francamente non pensavo che l’ostinazione unicamente diretta ad occupare posizioni cosiddette di “potere”, si sarebbe potuta trasformare in una simile aberrazione.
Avrebbe detto Nino Gimigliano: la rivolta delle cose!
Ma, aldilà di queste dolorose riflessioni, ciò che più mi preme dire è che la piega intrapresa conduce ad uno svilimento delle qualità salienti dell’avvocato.
Vi sono infatti molti avvocati che pensano che la “pubblicità è l’anima del commercio” e ciò tanto più oggi che la nostra professione ha imboccato malauguratamente una dimensione mercantile.
E, sebbene non vi sia nulla di male ad evidenziare,in un clima di sana competizione, i propri successi professionali, mi sento invece di contestare, con forza,il comportamento di chi cerca “scorciatoie” per affermarsi nella professione (evitando, per così dire, il confronto nel Foro).
Lo dico non per costoro (che tutti vedono e sanno valutare) ma per quei giovani colleghi i quali finiscono per credere che si può arrivare al successo professionale per vie diverse dal sacrificio e dal diuturno impegno sul campo.
La notorietà,infatti,non potrà mai sostituire la qualità!
E l’avvocato che cerca la qualità la cerchi dunque dove la vanno ricercando anche i clienti,ossia nelle aule di giustizia.
Se ne accorgono infatti -purtroppo troppo tardi – quei malcapitati che, sull’onda del quasi quotidiano martellamento mediatico, scelgono i protagonisti di turno, i “lanciatissimi” senza qualità: ce li ritroviamo questi sventurati a “piangere” per l’appello o la cassazione nei nostri studi di “vecchi avvocati”,alla penosa ricerca di una soluzione spesso impossibile a trovarsi.
Sia detto a chiare lettere – perché conosco le artate letture dei “miei polli” – :questo scritto,più generoso che acrimonioso, non si riferisce a nessuna persona in particolare ma soltanto ad una deplorevole deriva che,a mio giudizio,rischia di far degenerare la nostra bellissima professione.
*avvocato
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