LAMEZIA TERME «Come sto? Sto un po’ come tre anni fa al momento della tragedia, perché il 26 ottobre c’è stata una sentenza che non ci ha soddisfatto. Mia sorella è stata massacrata».
Maria Giulia Scalone non ha nascosto la sua rabbia e il suo dolore durante la lunga e toccante intervista andata in onda su L’altro Corriere Tv (canale 75) nel corso di “Telesuonano”, il programma di approfondimento condotto da Danilo Monteleone e Ugo Floro. Ha raccontato con la forza e la dignità che la contraddistinguono, la storia drammatica di sua sorella Loredana Scalone, vittima appena tre anni fa di femminicidio. Una storia di cui il Corriere della Calabria si è già occupato (leggi qui) evidenziando l’indifferenza dei media nazionale che proprio in quel periodo, era il novembre del 2020, avevano concentrato tutta la loro attenzione sulle vicende legate al Covid e non solo. Il 26 ottobre scorso la Corte d’Assise di Catanzaro ha condannato Sergio Giana, di Badolato, reo confesso, a 25 anni di reclusione, non accogliendo la richiesta della Procura che aveva chiesto l’ergastolo. Un delitto orrendo, efferato, di una donna di 51 anni uccisa da un uomo sposato di 37, che non ha accettato il suo rifiuto. Quel giorno a Pietragrande, Giana ha inferto a Loredana 28 coltellate uccidendola, per poi occultare il suo cadavere tra gli scogli e tornare il giorno dopo per ripulire la scena del crimine. Loredana era originaria di Girifalco, ma si era trasferita a Stalettì. Una famiglia numerosa la sua, sei sorelle e un fratello. Era una mamma, con un matrimonio alle spalle. Si era innamorata di Sergio Giana, mai avrebbe pensato che quella passione potesse portarla alla morte. «L’ergastolo richiesto dal Pubblico ministero – ha evidenziato Maria Giulia Scalone – era la pena più giusta secondo noi, sia perché hai ucciso una persona, e poi perché hai tolto una sorella, una madre a nostra nipote, una nonna ai nostri nipotini. Una donna buona, onesta, fiduciosa».
Quando racconta la sorella, Maria Giulia non parla mai al passato, come se Loredana fosse accanto a lei: «No, assolutamente no – ha confermato Maria Giulia –. Forse sembrerò pazza, ma io ci parlo, quando la mattina mi alzo, la guardo nelle foto e le dico buongiorno, le accendo le lucine. Lei era una maniaca della pulizia e quando faccio qualcosa la guardo e le dico “sì, lo so, sto imbrogliando, però dai, non ridere”. Le parlo anche quando vado al cimitero a trovarla. Ma anche quando parliamo tra noi sorelle, diciamo “se ci fosse lei a quest’ora faremmo così”, però mai ne abbiamo parlato al passato. Loredana è una donna molto solare, è una donna che ha sofferto nella vita, alle spalle ha un matrimonio finito, che non è stato un grande matrimonio. Anche se quando si è sposata sembrava la principessa del ballo, era coccolata da quello che poi sarebbe diventato suo marito. Però quel sogno si è spezzato presto. Durante la vita matrimoniale ha lavorato tantissimo facendo la collaboratrice domestica, crescendo i figli di lui e crescendo a sua volta la bambina che hanno avuto, la nostra nipotina che adesso ha 30 anni ed è già anche lei mamma. Laura, nostra nipote Laura. Quando ha deciso di porre fine al matrimonio era autonoma, forte. Nel paese in cui viveva, Stalettì, la conoscevano tutti. Loredana era una grande lavoratrice e al tempo stesso una grande sognatrice, una donna romantica. Sognava il grande amore, come lo sogniamo tutti».
Un desiderio che, dopo il fallimento del suo matrimonio, sembrava essere a un passo dalla realizzazione. «Pensava di aver trovato in questa persona il famoso principe azzurro – ha detto Maria Giulia – che poi principe non è stato. Lui inizialmente diceva di essere separato in casa, ma le separazioni in casa lo sappiamo come sono, sono né un sì e né un no, lasciano il tempo che trovano. E così, dopo qualche mese di relazione, la storia si è interrotta. Lei è andata avanti per la sua strada, continuando a lavorare e a prendersi cura della figlia, fino a quando, nell’estate del 2020, in pieno lockdown, in una video chat di gruppo che avevamo noi sorelle, ci dice che lui (Sergio Giana, ndr) si era lasciato con la moglie, stavano insieme e presto sarebbero andati a convivere. E così è stato. Però hanno convissuto poco. Abbiamo capito successivamente che la relazione si è interrotta dal numero di telefono cambiato, dall’account Instagram cambiato e dall’account di facebook cambiato. Poi successivamente la stessa Loredana ha informato una mia sorella della conclusione della relazione».
In molti casi, il cambio del numero di telefono e degli account social può significare che si vuole tenere a distanza una persona. Probabilmente Loredana avvertiva un pericolo. «Certo – ha affermato con certezza Maria Giulia Scalone –, mia sorella non voleva più avere niente a che fare con questa persona. Io non ne conosco i motivi. Sempre per il lockdown, ci siamo viste soltanto un giorno, a settembre. Lei in quella occasione mi ha detto “è finità, ma la vita va avanti”».
Ma qualcuno aveva percepito qualche stranezza in quell’uomo? Cosa si pensava in famiglia di quella relazione tra due persone di età differenti? «Io, lui (Sergio Giana, ndr) – ha continuato la sorella di Loredana Scalone – l’ho visto una sola volta, mi è sembrato una persona normale, niente ti faceva pensare che potesse arrivare a compiere quel gesto. Pensavamo che fosse finito tutto, fino alle 17.52 di quel giorno che non dimenticherò mai».
«Quel giorno – continua Maria Giulia Scalone nel suo racconto – mio nipote mi chiama per dirmi che hanno fatto denuncia di persona scomparsa ai carabinieri perché Loredana manca dal giorno prima. Io in genere guardavo quei programmi televisivi come “Chi l’ha visto” che parla di persone scomparse, o “Amore criminale”, ma mai avrei immaginato di potere essere coinvolta in qualche modo in vicende di quel tipo. Ho avvisato subito prima mio fratello e mio zio, a casa di quest’ultimo Loredana un paio di volte alla settimana svolgeva anche mansioni di collaboratrice domestica, perché lui viveva da solo con i suoi figli. E poi, io sono la più grande, ho avuto il brutto compito di avvisare tutte le mie sorelle e mio fratello che sono scesi subito a Stalettì per partecipare alle ricerche. Io sono rimasta a casa, con la speranza che qualcuno potesse chiamare per darci notizie di Loredana».
Quella telefonata arriva poco dopo la mezzanotte, tra il 24 e il 25 di novembre. «Mio zio, singhiozzando, mi dice “l’abbiamo trovata, l’hanno trovata, era negli scogli”. E in quel momento ho pensato subito che Loredana avesse litigato con Giana. Ero sicura che le fosse con Giana, per il semplice fatto che mio nipote sapeva dove lavorava ed è andato a chiedere lì informazioni, dopo essere passato da casa. Questo significava che lei non era rientrata. Sono andati dai datori di lavoro di mia sorella i quali hanno detto che c’era “questo” che aspettava che finisse di lavorare. Quindi sai…due più due. Ho pensato, avranno litigato, l’ha spinta. Una cosa accidentale ho pensato in quel momento. Ho chiamato di nuovo le mie sorelle per dirgli che Loredana era stata ritrovata morta tra gli scogli, ma ancora non sapevamo niente di più. Ci sono volute diverse ore – ha continuato Maria Giulia – per capire quello che effettivamente era successo. Poi, fortunatamente, tutto si è visto attraverso le telecamere di questa discoteca a cielo aperto che era in quella zona. Loro (Loredana e il suo assassino, ndr) si vedono entrare e lì è successa una mattanza. Lui l’ha colpita per 28 volte in tutto il corpo, davanti, dietro, le mani. L’esame autoptico della dottoressa Aquila parla di ferite da difesa di arma passiva e attiva, termini che ho dovuto imparare a capire. Ha cercato di scansare i colpi. Poi, da quello che è venuto fuori, lui l’avrebbe pressa dai capelli e sbattuta ripetutamente con la faccia contro gli scogli e infine l’ha strangolata. Ma non si è fermato lì. Perché poi lui l’ha spogliata completamente e l’ha buttata sotto alla terrazza di Pietragrande, coprendola con un tappeto, un pezzo di moquette che ha rimediato lì dalla discoteca. Nel processo è venuto fuori che era coperta anche di calce perché ci hanno spiegato che questa calce serviva ad accelerare il processo di decomposizione».
Il corpo di Loredana Scalone è stato ritrovato dopo l’interrogatorio svolto dagli inquirenti a Giana, che inizialmente ha tentato di negare, per ammettere poi ciò che aveva fatto. «Sì – conferma Maria Giulia – è stato mio nipote a segnalare Giana ai carabinieri che sono subito andati da lui e dalla moglie. È stato fatto un ottimo lavoro investigativo».
Una vicenda triste, perché consumata nel giorno dedicato alla riflessione sulla violenza nei confronti delle donne: il 25 novembre. Nonostante ciò, l’assassinio di Loredana non ha avuto l’attenzione mediatica che meritava, “colpa” del Covid e della morte di Diego Armando Maradona che in quei giorni stavano riempendo i telegiornali e i giornali nazionali. «Io ricordo – ha affermato Maria Giulia Scalone – che ne parlarono il 25 novembre, la foto di Loredana campeggiava su tutti i notiziari anche se è stata uccisa il 23. La Rai fece un servizio coinvolgendo mio fratello proprio lì dalla discoteca di Pietragrande, un servizio che doveva andare in onda il 26 di novembre. Quando stava per partire questo servizio, a un certo punto il presentatore, il giornalista, disse: “un attimo, un attimo, è arrivata una notizia”. In quel momento ho pensato “ne hanno ammazzato un’altra”. Invece no, era morto Maradona. Ora, pieno rispetto per il calciatore, chi lo tocca, per carità. Però voglio dire… allora, le giornate dedicate alle donne, le panchine rosse, le manifestazioni, le scarpette rosse, i simboli a che servono? In una giornata così, il servizio non è andato mai più in onda. In una giornata del genere, tu dai spazio solo alla morte di Maradona e Loredana non esiste più».
Insomma, una storia emarginata, dimenticata, anche durante le fasi processuali, rispetto ad altre vicende molto simili trattate dai media con morbosità. «Abbiamo fatto solo un breve servizio per Raitre nazionale – ha detto ancora Maria Giulia – con il giornalista Cecconi, che è stato, se non mi sbaglio, verso la fine di settembre. Poi Raitre regionale, il giorno della sentenza, era lì con noi. Qualche articolo di giornale e basta».
Tornando ai momenti che hanno caratterizzato la drammatica fine di Loredana Scalone, c’è, come in molti femminicidi, uno stesso filo conduttore: la donna che si allontana da quello che percepisce non essere l’uomo che credeva e dopo un estremo tentativo di riconciliazione, si accetta un ultimo appuntamento. «E’ ciò che è accaduto a mia sorella – ha sottolineato Maria Giulia –. Penso proprio sia stato questo, un appuntamento concordato per chiarire non so che cosa, ma doveva essere l’ultimo appuntamento. Lei ci è andata, perché Loredana è così. Loredana non ha mai fatto del male a nessuno, è stata uccisa forse per troppa ingenuità, non ha visto segnali, perché sicuramente se avesse visto qualcosa non sarebbe andata».
Ciò che emerge, ascoltando Maria Giulia Scalone, è la compostezza con cui racconta la vicenda di sua sorella. «Noi come famiglia – ha tenuto a precisare – non abbiamo mai desiderato vendetta, abbiamo solo desiderato giustizia. Non abbiamo mai criticato l’avvocato difensore, perché fa il suo lavoro. Penso che dare in escandescenza, dire la parola in più, non sia né positivo, né elegante, perché parlano i fatti. C’è stato un evento tragico, terribile. Non voglio fare delle differenze tra omicidi, sia chiaro, ma a volte penso che con un colpo di pistola si muore all’istante, ciò che è stato fatto a Loredana, invece, è più grave. Non c’è un giorno della mia vita, da quando è successa questa tragedia, in cui non pensi alla sofferenza che Loredana ha patito. Se ti tagli con un coltello ti fai male, no? Pensa quella donna da sola quanto ha potuto soffrire, quanto ha potuto urlare? Nessuno era lì a darle una mano. A volte rischi di impazzire a pensare a queste cose».
La morte tragica di Loredana Scalone ha portato la sua famiglia ad impegnarsi nella lotta contro ogni forma di violenza. «Insieme alle mie sorelle, quelle che stanno a Firenze, ci siamo associate ad Artemisia, che è un’associazione impegnata nel contrasto ad ogni forma di violenza su donne, bambini e adolescenti. Nel nostro piccolo, cerchiamo di fare la nostra parte perché qualcosa cambi. Noi parliamo sempre delle leggi, ci sono, ma poi a un certo punto arrivano queste pene molto strane».
I numeri dei femminicidi in Italia, in particolar modo in Calabria, ancora oggi sono altissimi nonostante una campagna di sensibilizzazione costante sui media nazionali. «Sulla base della mia esperienza – ha affermato Maria Giulia Scalone – credo sia importante sensibilizzare i ragazzi in modo che crescano con la cultura del rispetto. Inutile negarlo, viviamo in una società maschilista. Bisogna sensibilizzazione ed educare i ragazzi al rispetto della donna, partendo dalle famiglie fino ad arrivare alle agenzie educative, la scuola. Si deve dare dare anche un segnale: se tu compi un’azione del genere, la pena ce l’hai ed è importante. Perché se io so che vado a uccidere una donna e ho lo sconto di pena, la semi-infermità, l’infermità, assolto per eccesso di gelosia, allora ci ammazzano tutte».
I femminicidi spesso sono accompagnati da quello che viene definito un raptus, una follia omicida. Nel caso di Loredana, l’arrivo nella discoteca, le telecamere, la colluttazione, le 28 coltellate, la copertura del corpo, la calce, il tentativo di sviare le indagini, lasciano pensare a tutt’altro. «E’ andato anche con sei litri di candeggina a pulire – ha ricordato Maria Giulia –, no, tutto questo non è un raptus, è un’altra cosa. Quando ti porti un’arma dietro, di quale raptus stiamo parlando?
Nella relazione del medico legale, spicca un parere molto qualificato della dottoressa Antonella Spacca, che è una psicoterapeuta, un’esperta del settore. Dice che Giana sapeva quello che faceva, il 23 novembre del 2020, “e aveva piena conoscenza delle sue azioni, tanto da rendersi conto di dover prendere dei provvedimenti”. «E’ il perito nominato dalla Corte – ha specificato la sorella di Loredana Scalone – non è di parte. Il nostro timore era proprio che Giana potesse essere riconosciuto non in grado di intendere e di volere e quindi la facesse franca. Nel momento in cui tu hai una perizia in cui si legge a chiare lettere che il soggetto in questione è in grado di intendere e di volere, mi chiedo: cosa serve di più per dare l’ergastolo? Noi eravamo sicuri che la richiesta del Pubblico ministero venisse accolta». Invece Giana è stato condannato a 25 anni di reclusione. «Aspettiamo le motivazioni – ha proseguito Maria Giulia – solo lì capiremo qual è stato il ragionamento del giudice. Quando ho sentito 25 anni, ho detto d’istinto: nemmeno un anno a coltellata. Che poi vai anche a pensare che tre anni già li ha fatti. Poi con gli sconti di pena, la buona condotta, eccetera, tutto si riduce ulteriormente. Questa è la sentenza di primo grado e noi ci siamo messi nelle mani della giustizia. Anche se questa sentenza non ci ha soddisfatto pienamente, per noi non è venuta meno la fiducia verso le istituzioni. Nel modo più assoluto. Andiamo avanti, faremo le dimostrazioni che potremmo fare, se sarò chiamata andrò nelle scuole, se ci saranno manifestazioni da fare, ci sarò insieme alle mie sorelle e a mio fratello, noi le faremo. La voce di Loredana deve essere ascoltata. Io sul mio profilo facebook non faccio altro che parlare di questa storia e nei commenti c’è solo una parola: “vergogna” per la sentenza».
A proposito di sentenza e di qualche passo prima della sentenza, all’inizio dell’anno gli avvocati di parte civile, tra cui Arturo Bova, avevano prodotto un’istanza alla Procura della Repubblica per la riapertura delle indagini relativamente alla possibilità che vi fossero stati dei complici di Giana nell’esecuzione del delitto. «Non so se Giana abbia avuto dei complici – ha ammesso Maria Giulia Scalone –. Certamente penso al dolo, all’occultamento. Giana è sposato ed è andato a casa, sporco dopo 28 coltellate inflitte e dopo aver preso un corpo per buttarlo di sotto. Se sei uscito vestito in un modo e ritorni a casa con un altro completo, tua moglie non ti chiede dove sei stato? Oppure se arrivi sporco di sangue, perché Giana era sporco di sangue, nessuno ti chiede niente? Noi non sappiamo se ci sono responsabilità per quanto riguarda l’omicidio, probabilmente sì».
A ciò va aggiunta anche la perizia del criminologo Truglia che, in sintesi, parla di gravi indizi sul coinvolgimento di almeno altri due soggetti che avrebbero aiutato Giana nell’organizzazione dell’omicidio e nell’occultamento del cadavere.
Loredana Scalone aveva una figlia, dei nipotini. Come stanno affrontando questa perdita? «Noi siamo sette fratelli – ha affermato la donna – ma nel mio paese viviamo solo io e mio fratello piccolo che ha l’età di mia figlia. Un’altra sorella, Ida, vive nella provincia di Cosenza, mentre una è all’estero e due sono a Firenze. Siamo sparsi purtroppo. Mia nipote non vive più a Stalettì, ma vive nella provincia di Reggio Calabria con il compagno e i bambini e non c’è proprio il tempo materiale per vederci, spesso il mio giorno libero non coincide con il suo ed è un peccato».
Negli ultimi anni non sono state poche le manifestazioni a Girifalco per ricordare Loredana e i femminicidi. «Noi di tutte queste panchine rosse in fila una accanto all’altra, non ne vorremmo vedere. Se si inaugura una panchina e perché speriamo sia sempre l’ultima. La comunità di Stalettì l’8 marzo del 2021 ha inaugurato la panchina e una targa in memoria di Loredana e di tutte le vittime di femminicidio. Ogni anno si organizzano queste manifestazioni, ogni anno ci sono le inaugurazioni delle panchine, ci mettiamo il fiocco rosso, ci mettiamo le scarpette rosse e poi siamo punto a capo».
Ma se oggi Maria Giulia Scalone avesse davanti a sé il giudice, non quello che ha emesso la sentenza, ma quello che dovrà emettere una sentenza, cosa gli direbbe? «Non gli direi di mettersi una mano sulla coscienza – ha detto la donna – perché è una frase fatta che lascia il tempo che trova, perché un giudice non può decidere secondo coscienza, ci sono leggi da applicare. Però, come ho già detto, 28 coltellate sul corpo di Loredana, sbattuta ripetutamente con la testa sugli scogli, privata di ogni indumento, sono fatti che parlano da soli. Quell’uomo ha cancellato la personalità di mia sorella. Se un omicidio del genere non è da ergastolo, allora ribadisco che ci possono uccidere tutte quante». (redazione@corrierecal.it)
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