BRESCIA Che i clan di ‘ndrangheta, negli anni, si siano sempre più radicati al Nord e in Lombardia è un dato cristallizzato dalle ultime inchieste. È qui, in una terra ricca, che le ‘ndrine hanno allungato i tentacoli ed era a Sermione, comune sul Lago di Garda e dove gli esponenti del clan Megna avevano esteso i loro interessi, in particolare in un villaggio turistico.
Così come riportato stamattina dal Corriere.it, mentre il proprietario, ormai da mesi, è ai domiciliari nell’Alto mantovano, un’attività all’interno del camping è stata raggiunta da un’interdittiva antimafia e il Comune ne ha chiesto, tramite un’ordinanza, la chiusura. Secondo quanto è emerso, infatti, l’idea della ‘ndrangheta era quella di realizzare a Sirmione, non distante da Desenzano, una casa del gioco d’azzardo. Un progetto, però, caduto nel vuoto grazie agli inquirenti. L’attività dove sarebbe dovuta sorgere una mega sala slot è stata raggiunta da un’interdittiva antimafia. O meglio, l’interdittiva (firmata dal Prefetto di Mantova) riguarda un market all’interno del camping del Basso Garda. Così il Comune di Sirmione, dopo aver svolto le verifiche del caso in Prefettura, ha emanato un’ordinanza nella quale ha chiesto «la cessazione immediata dell’attività di esercizio di media o grande struttura di vendita del market».
La mafia aveva individuato il lago come luogo ideale per espandere i propri affari illeciti nel gioco legale o illegale. «Un settore — scrive il gip calabrese Antonio Battaglia — verso il quale la cosca Megna ha manifestato un particolare interesse è quello della gestione dei video giochi elettronici, ovvero del cosiddetto “gaming”, che ha costituito un fertile terreno per conseguire facili guadagni, anche attraverso mirati accordi con esponenti di altri territori che hanno consentito al sodalizio di estendere i propri ambiti in zone diverse da quelle di ordinaria competenza». La presenza della ‘ndrangheta sul Garda non è affatto una novità. Fino a qualche anno fa, ad esempio, in una villa di via Galilei a Padenghe (oggi finita all’asta e acquistata da una coppia bresciana) gli esponenti dei clan dell’ndrangheta stringevano accordi con esponenti della Sacra Corona Unita e supportavano la latitanza del boss Giuseppe Pesce dell’omonima famiglia di Rosarno.
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