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l’indagine

«Ve lo potete fumare». Il via libera di Nicolino Grande Aracri all’omicidio di Giuseppe Bruno

Dai dissidi sul controllo del territorio ai “richiami” del boss, infastidito per la disobbedienza e il mancato rispetto degli “ordini”

Pubblicato il: 13/11/2023 – 17:00
di Giorgio Curcio
«Ve lo potete fumare». Il via libera di Nicolino Grande Aracri all’omicidio di Giuseppe Bruno

CATANZARO Un omicidio brutale, eseguito nella notte del 18 febbraio del 2013, a Squillace, archiviato però perché gli inquirenti non erano riusciti a risalire all’autore. Ora, dopo oltre dieci anni, la Procura di Catanzaro, con la richiesta vergata al sostituto procuratore Debora Rizza, avrebbe individuato quello che è considerato il presunto responsabile dell’agguato che è costato la vita ai coniugi Giuseppe Bruno e Caterina Raimondi. Si tratta di Francesco “Ciccio” Gualtieri, classe ’80, già in carcere a Terni, considerato un esponente della cosca di ‘ndrangheta Catarisano, operante nei territori di Roccelletta di Borgia, Borgia e zone limitrofe.

L’esecuzione

Nove i colpi sparati con un Ak-47, poi ritrovato abbandonato nei pressi del luogo del delitto, al torace, all’addome e alle gambe all’indirizzo di Giuseppe Bruno, altri invece hanno colpito la moglie alla testa, davanti all’ingresso della loro abitazione. Quella di Bruno e Raimondi è stata una vera e propria esecuzione, un omicidio efferato e maturato nel contesto della criminalità organizzata del territorio e nell’ambito di una faida interna per la supremazia ed il controllo delle attività illecite e per non aver rispettato i diktat imposti da chi, quell’area, la governa perché superiore e più potente come il boss Nicolino Grande Aracri. Al momento del suo omicidio, infatti, Giuseppe Bruno era reggente del sodalizio di ‘ndrangheta omonimo operante a Vallefiorita, all’esito della faida che aveva interessato il territorio dell’hinterland catanzarese ed in particolare l’area intorno alla cittadina di Roccelletta di Borgia, nel corso della quale era emerso il gruppo Catarisano su quello antagonista dei Cossari.

Lo scenario criminale

Uno scenario criminale peraltro già cristallizzato dalla sentenza del Tribunale di Catanzaro del 2010 che aveva riconosciuto «le dinamiche del gruppo Cossari e il contesto delle dinamiche che avevano visto le frange contrapposte alternarsi sul controllo del territorio» scrive il gip Gilda Danila Romano nell’ordinanza «all’indomani della uccisione del precedente reggente della cosca Giacobbe, Salvatore Pilò». Morte che aveva suscitato le istanze di predominio di «Massimiliano Falcone e Giuseppe Cossari i quali, unitamente a Giulio Cesare Passafaro e Rosario Passafaro, si erano imposti sul territorio dei comuni di Catanzaro, Borgia e Roccelletta di Borgia». Così come ricostruito dalle inchieste precedenti e riportato dal gip nell’ordinanza, nel 2006 «Falcone ha iniziato a contrapporsi ai fratelli Passafaro» per raggiungere da solo il comando e soprattutto il controllo economico della zona grazie alla “fiorente” attività estorsiva «che il Falcone avrebbe voluto accentrare interamente su di sé». Tentativo però bruscamente interrotto con il suo omicidio per i quali vengono arrestati e processati Francesco Gualtieri e Salvatore Abbruzzo. Le due fazioni che in tal modo si sono create avrebbero avviato un periodo di scontro per il controllo del territorio, suddiviso fra il comune di Borgia, facente capo ai Catarisano, con gli appartenenti già coinvolti nell’operazione “Jonny” e il comune di Vallefiorita facente capo al reggente, Giuseppe Bruno.

I disaccordi all’interno del gruppo 

Le preoccupazioni e disaccordi dei vari gruppi criminali iniziano ad emergere già dal 2 agosto del 2012 nel corso di un incontro tra Giuseppe Bruno, Nicolino Grande Aracri, Pasquale Barbaro e Rocco Mazzagatti (esponente dell’omonimo sodalizio di Oppido Mamertina), Antonio Grande Aracri ed altri soggetti non identificati. Tema della discussine, fino alla determinazione omicidiaria, è proprio la gestione del denaro ottenuto con le estorsioni da Giuseppe Bruno nell’area di sua competenza, nonché il sospetto che quest’ultimo trattenesse per sé il denaro destinato, invece, al sostentamento economico dei detenuti, appartenenti alle famiglie mafiose che operavano sotto l’egida di Nicolino Grande Aracri.

I sospetti su Giuseppe Bruno

Nel corso di quell’incontro era apparso sospetto «l’atteggiamento di prudenza che adottava lo stesso Bruno dinanzi alla proposta fattagli da Grande Aracri, di allargare la sua competenza territoriale anche sulla zona di Soverato ma anche dinanzi alla ulteriore proposta, quella di compiere un atto intimidatorio nei confronti di una ditta di Crotone in servizio nel suo territorio. Grande Aracri, inoltre, avrebbe spinto Bruno a porre sotto estorsione una discoteca a Montepaone. A questa proposta, Bruno avrebbe risposto di aver “ceduto” il posto ad un tale Romolo Villirillo che si era presentato come suo portavoce, consegnandogli anche 5mila euro, scatenando però il disappunto di Grande Aracri che, invece, aveva proprio diffidato Villirillo da compiere estorsioni in quella zona. Nicolino Grande Aracri, biasimando il comportamento di Bruno, si era così convinto che l’unica soluzione per fermarlo era l’eliminazione fisica. «(…) è giusto che dovete sostenere le famiglie… “per prima cosa dovete sostenere le famiglie di quelli che sono carcerati!” gli ho detto, perché se voi… mettiamo che vi prendete i soldi e non li date ai carcerati… è una cosa bruttissima (…) i soldi prima alle famiglie dei carcerati e poi quello… se rimane a noi prendiamo e ne mangiamo … se non ne rimane non ne mangiamo niente!».

Il lasciapassare di Nicolino Grande Aracri

Passano le settimane ma l’atteggiamento di Bruno non cambia, una situazione che spazientisce Nicolino Grande Aracri, chiamandolo al suo cospetto. «(…) hanno fatto questo patto? E il patto lo deve mantenere (…) ma se non mantiene il patto, lo chiamiamo e gli diciamo e glielo dico io. Lo chiamiamo e gli diciamo “vedi che tu il patto non lo stai mantenendo”, eh eh scusa…». Si alternano, quindi, momenti in cui si vuole attendere e valutare, auspicando una presa di coscienza di Bruno sui suoi doveri di fratellanza con le altre cosche. Ma, davanti ad altri episodi e la prepotenza dello stesso Bruno di fronte ad un imprenditore, senza ridimensionarsi neanche dopo un espresso invito di Abbruzzo, tutto fa convergere verso la punizione e quindi l’eliminazione di Bruno. «(…) se ragioniamo… io gli posso pure parlare» dice Nicolino Grande Aracri a Salvatore Abbruzzo in una conversazione. «(…) io gli posso pure parlare, se vuole capire capisce, se non vuole capire glielo fai capire…». E ancora: «(…) io l’approvo, io non vi posso dire… però se qualcuno come questo soggetto che cerca di essere un megalomane diciamo, che cerca di essere un… vuole fare il capo supremo, è una cosa che non può andare (…) noi siamo tutti uguali qua, non ce ne sono persone più alte, più basse…». Salvatore Abbruzzo racconta, poi, altri aneddoti che depongono a sfavore di Giuseppe Bruno, così da spingere Grande Aracri ad invitarli a vagliare la sua buona fede e, in mancanza, ad eliminarlo. «(…) volete scandagliare che questo i soldi glieli porta o non glieli porta e magari poi si perdono?» chiede Grande Aracri ad Abbruzzo che risponde: «Eh». «Compa’ – replica il boss Grande Aracri battendo le mani – ve lo potete pure “fumare”» (g.curcio@corrierecal.it)

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