REGGIO CALABRIA L’operatività del clan reggino dei Borghetto-Latella, decapitato dall’inchiesta coordinata dalla Dda di Reggio Calabria nel corso dell’operazione “Garden”, aveva raggiunto anche la Capitale. Il trait d’union sarebbe, in particolare, Armando Catanzariti, classe ’70 di origini reggine, stabilmente residente a Trevignano Romano, finito in carcere nel blitz della GdF. Ne sono convinti gli inquirenti della Procura antimafia reggina, tesi confermata anche dal gip del Tribunale di Reggio Calabria, Tommasina Cotroneo. I primi elementi indiziari sono stati raccolti a maggio del 2021 e, sin dal principio, fanno capire le grandi dimensioni del traffico di stupefacenti da Reggio Calabria alla provincia romana.
Così come è emerso dall’attività investigativa e così come riportato poi nell’ordinanza dal gip, Catanzariti, sotto la direzione di Antonino Idotta, classe ’72 anche lui tra le persone finite in carcere, si occupava in modo sistematico dell’occultamento e del trasporto della sostanza stupefacente, dalla Calabria alla provincia di Roma che poi spacciava sul territorio della Capitale. Catanzariti, inoltre, veniva aggiornato da Idotta in merito alla riscossione dei crediti nei confronti dei loro cessionari nonché in ordine ai rapporti con i loro fornitori. È una conversazione tra lo stesso Catanzariti e Antonino Idotta a fornire i primi spunti in occasione dell’organizzazione di un trasporto di droga. «(…) se noi la mettiamo già qua e là lasciamo nella macchina…». A parlare è Idotta che propone a Catanzariti di occultare la droga all’interno dell’auto, e quest’ultimo risponde: «(…) vediamo se c’è un sistema…». Lo stesso Idotta, poi, prima chiede che un tale Nicola non venisse messo al corrente e non voleva neanche che l’argomento fosse affrontato in presenza della sua fidanzata. «(…) perché quando c’è lei non parliamo, che non veda niente e non capisca niente, salgo il giorno prima, e andiamo… eh così andiamo direttamente».
Gli affari legati al traffico di droga tra Reggio Calabria e Roma e la sinergia criminale tra Catanzariti, Idotta e Mento, trovano conferma poi poco più di un mese dopo. È il 16 giugno 2021 quando gli inquirenti captano un dialogo ritenuto «importante». I tre, infatti, discutono anche in modo esplicito dei loro traffici in corso con chiaro riferimento all’acquisto effettuato di 200 grammi di cocaina, alle forniture in atto e da fare, ai soldi da recuperare, alla sostanza da portare immediatamente a Roma e smerciare a cura di Catanzariti nonché dei successivi viaggi nella Capitale con trasporto delle successive forniture. «(…) Io sono qua al magazzino. Ora passa Pasquale di lì e ti prende» dice Idotta a Catanzariti. «Eh… non puoi passare direttamente a prenderlo? Vi vedete all’H24». Qualche ora dopo, Idotta contatta Catanzariti per informarlo di essere appena arrivato: «Oh, qua sono ora, sono arrivato che ho perso tempo là con quel cristiano…». L’incontro avverrà qualche minuto più tardi e gli inquirenti riescono a registrare gran parte delle conversazioni. «… siamo andati da quello della cosa (…) e gli ha detto io domani te la porto, e ora gli ho detto: l’amico mio è partito ora a chi glieli do io 200 grammi?». A parlare è ancora Antonino Idotta mentre spiega di essersi recato da un fornitore insieme a Mento. Anche Catanzariti, a sua volta, aggiorna il gruppo, facendo riferimento ad un certo Nino. «(…) poi mi ha chiamato, sono passato dalla villetta e mi ha chiamato Nino (…) se non se l’è venduta un poco gli ho detto la prendiamo la prossima settimana…».
Nel corso della conversazione intercettata dagli inquirenti, è Catanzariti a chiedere poi delucidazioni sul prossimo trasporto di droga che avevano acquistato. «(…) tu dici che la settimana prossima saliamo questa invece di prenderla?» chiede a Idotta che risponde che avrebbero dovuto saldare il debito che avevano nei confronti del fornitore. «(…) gli chiudiamo il conto a quello là, così io che faccio? La settimana prossima, quando tu mi dai, io me li prendo questi che gli do del magazzino…». I due più tardi vengono raggiunti da Giovanbattista Mento, anche lui finito in carcere, mentre Catanzariti continua a sollecitare Idotta sull’invio di droga nella Capitale. Finito il confronto, Catanzariti si allontana momentaneamente, lasciando da soli Antonino Idotta e Giovanbattista Mento. Prima, però, è Idotta ad invitarlo a far presto così, una volta tornata, avrebbe potuto occultare la droga che tenevano ancora in casa. «(…) questa qua ci conviene che non la posiamo qua, la posiamo direttamente lì sopra ora…».
Nel frattempo, Idotta e Mento erano impegnati alla preparazione di alcune dosi e gli inquirenti, anche in questo, così come riportato nell’ordinanza firmata dal gip, riescono a captare tutto. Mento eseguiva passo passo tutti gli ordini di Idotta: prende la droga, poi i contenitori in plastica e la pellicola trasparente per il confezionamento e, insieme ad Idotta, preparava poi gli ovuli di cocaina, disponendo che solo parte della sostanza detenuta fosse suddivisa in dosi mentre l’altra restasse intera. «(…) una volta che siamo qua li prepariamo, ne facciamo un paio perché tu non ne ha (…) facciamo ora tre pezzi, devo prendere tre pezzi di quelli e metterli qua». Concluso il confezionamento delle dosi, gli indagati intercettati ne contano 10, fa ritorno Catanzariti che, come promesso, si reca insieme a Idotta ad occultare lo stupefacente. I due, a bordo dell’autovettura di Catanzariti, vengono fermati dai militari poco più tardi e trovati in possesso di 19 grammi di cocaina suddivisa in due ovuli avvolti ognuno in un tovagliolo di carta di colore bianco, dove all’interno contenevano ognuno una bustina in cellophane trasparente contenente sostanza stupefacente verosimilmente del tipo “cocaina” di cui una del peso di 9,5 grammi e l’altra del peso di 9,8 grammi, per un peso complessivo di 19,3 grammi». Catanzariti, al momento del controllo, si trovava alla guida dell’autovettura e ha tentato di uscire repentinamente dall’abitacolo, lanciando due involucri di cui uno contro un albero, l’altro in un terreno lì vicino.
«Non posso fare niente perché sono, ormai sono troppo in evidenza…». Nel corso dell’attività investigativa, gli inquirenti ricostruiscono la grande esperienza e conoscenza di Catanzariti nel settore del traffico degli stupefacenti. È lui stesso ad evidenziare come la sua utenza «fosse molto diffusa nel contesto dello spaccio, esponendolo al pericolo di interventi delle forze dell’ordine» scrive il gip. È sempre Catanzariti stesso a confessare di «avere la disponibilità di un quantitativo di stupefacente che stava per buttare» scrive ancora il gip, temendo che la persona che stava accedendo alla sua abitazione fosse un appartenente alle Forze dell’Ordine. «(…) io mi sono alzato subito – dice in una conversazione – per andare a buttarla poi mi sono voltato e ho visto che era lui e non l’ho buttata». È poi Idotta ad assicurare Catanzariti che si sarebbe messo in contatto con i fornitori della zona jonica per effettuare un approvvigionamento di droga. «(…) me la vedo io, chiamo subito io (…) hanno coca ne hanno, ora dove la prende questo ragazzo qua, ma ne hanno assai ne hanno per loro, ne hanno quattro/cinquecento chili… tra l’altro possono fare il prezzo…». In una conversazione, infine, Catanzariti cerca anche di reclutare Nicola Ielo per effettuare il traporto di droga. «(…) ma tu sei incensurato Nicola?» gli chiede. «Ma te la senti di salire qualcosa? Pure la macchina preparata…». Al “no” ricevuto come risposta, Catanzariti si dispera: «Mannaia la miseria, se ero incensurato io sai che facevo?». E Ielo replica: «(…) lo faccio per i miei figli, voglio essere una persona seria, siccome sono stato giustificato, diciamo condannato per certe cose non voglio, voglio dire lo facevo con Nino, senza offendere per te…».
La discussione intercettata dagli inquirenti continua tra Idotta e Catanzariti. I due affrontano molti dei temi legati al traffico di droga nella Capitale, ma anche le ambizioni del gruppo criminale per cercare di “prendere” gran parte delle piazze di spaccio romane lasciate “vuote” dalle recenti operazioni delle forze dell’ordine. «(…) non c’è nessuno che, non c’è nessuno di questi che ci sono qua, di quelli che ci sono qua, tra albanesi, rumeni, la portano tutti Nino, però quella che ho portato io qua non c’è nessuno che può competere (…) vanno tutti a Roma e la vogliono vendere a cinquanta, poi arrivano qua e la vendono a ottanta e hanno raddoppiato (…) quindi alla fine dei conti queste sono tutte cose di seconda scelta». E poi Catanzariti parla delle “piazza di spaccio” della Capitale. «(…) e poi c’è una piazza grossa che è dove c’è Radio Vaticana, là a coso a Cesano, due albanesi (…) sì da qua se tu zona Nord fino a Firenze tutti solo albanesi, ma è tutta dozzinale, non è che è… se riusciamo a prenderci la piazza non c’è nessuno… Gli unici sono in fermo, c’è un tizio con i Casamonica… Casamonica tutti salati, non ci sono, non c’è più nessuno… quindi la piazza è rimasta agli albanesi…». Poi affronta il problema del trasporto: «(…) sì si può mettere pure nelle ruote che cammini adesso, si può mettere pure nei cosi, sotto il tettuccio, ma se non sono incensurati…». Infine, è Idotta a parlare dei fornitori: «(…) me la vedo io, chiamo subito io “sono Nino” e lui gliela portava zingaro, lui gliela dava agli zingari (…) gli Africoti io non me li fido…». E ancora: «(…) ne hanno quattro cinquecento chili, hanno cento, tra l’altro possono fare il prezzo perché quattrocento chili anche se guadagnano mille euro al chilo guadagna quattrocentoventi perché gliela vendono a meno di trentatré (euro al grammo ndr) fanno piovere e nevicare poi nello stesso tempo e far uscire il sole». (g.curcio@corrierecal.it)
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