REGGIO CALABRIA Un «fattuale attivismo» della cosca Borghetto-Latella e una «posizione apicale» per i fratelli Cosimo ed Eugenio detto “Gino” Borghetto, esercitata «dopo la loro scarcerazione ed anche durate lo stato di detenzione, all’interno del Gotha della ‘ndrangheta reggina». Nelle 1800 pagine di ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Tommasina Cotroneo su richiesta del procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e dell’aggiunto Walter Ignazitto, nell’ambito dell’operazione “Garden”, viene messo nero su bianco ed esaminato il ruolo di quelli che vengono definiti «’ndranghetisti di vecchia data». Da «“costola” della grande famiglia dei Libri», Cosimo e Gino Borghetto vengono descritti dai collaboratori di giustizia, «unitamente al cognato Paolo Latella, come storici “capi famiglia” della cosca egemone nei quartieri Modena e Ciccarello». La cosca Borghetto, per decenni non del tutto autonoma in quanto «articolazione satellite» della storica cosca Libri, ha acquisito nel tempo sostanziale autonomia strutturale e funzionale, conquistando a sé, con le modalità tipiche delle associazioni mafiose, il controllo assoluto dei quartieri reggini di Modena, Ciccarello e S. Giorgio Extra. Una egemonia esercitata grazie al rapporto di collaborazione con altre cosche e il connubio stretto con la comunità rom, dimostrata dall’inchiesta della Dda reggina che questa mattina ha portato all’arresto di 27 persone. I reati contestati, a vario titolo, agli indagati sono associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco, spaccio e traffico di sostanze stupefacenti e usura.
Le molteplici fonti di prova, si legge nell’ordinanza – indicano i due indagati come «uomini dotati di cariche altissime ed interfacciantesi con uomini del calibro di Carmine De Stefano, Totò Libri, Ciccio Russo, Gino Molinetti nonché convocati per dirimere controversie o dipanare matasse intricate inerenti al comando di locali rimaste acefale (come nel caso del Locale di Gallico, sul quale i Molinetti, stanchi dello strapotere dei De Stefano, avevano puntato le loro mire) o all’assetto di divisione territoriale inerente al mandamento del centro reggino». A questo si aggiungono gli esiti intercettativi del procedimento Malefix, poi confluito nel processi Epicentro, inerenti ai dialoghi tra soggetti di elevatissimo spessore criminale come Alfonso Molinetti, Giorgino De Stefano e Luigi Molinetti i quali hanno «restituito continui ed importantissimi riferimenti ai fratelli Gino e Cosimo Borghetto ed all’altissima considerazione nei quali costoro erano tenuti nel panorama ‘ndranghetistico di livello superiore». I capicosca del clan Borghetto vengono addirittura definiti “la corona della nostra testa” dall’esponente di un’altra famiglia mafiosa.
Nella carte dell’inchiesta Gino Borghetto viene definito come il «referente assoluto della ‘ndrangheta calabrese in ambito carcerario tanto quando era detenuto in Reggio Calabria, tanto quando era detenuto a Voghera». Si trattava di un «riconoscimento di ndrangheta”, che determinava a suo carico «onori ed oneri, con gravose responsabilità nel dirimere conflitti, ma che gli consentiva financo di inviare messaggi e direttive da un carcere all’altro, oltre che di conferire cariche e doti mafioso».
Cosimo Borghetto – si legge nelle carte dell’inchiesta – aveva avuto in passato «un ottimo rapporto con Carmine De Stefano, tanto che il primo, poteva contare – al pari degli altri esponenti della ndrangheta reggina – su una quota della bacinella destinata ai detenuti e gestita promiscuamente dalle varie ndrine della federazione mafiosa del mandamento di Reggio Centro». Ciononostante Cosimo Borghetto, quando era insorta la controversia monitorata dal procedimento “Malefix”, non aveva spalleggiato Carmine De Stefano, per due motivi di fondo: «sia per il suo speciale legame con Gino Molinetti, sia perché mal digeriva la tendenza espansionistica del De Stefano (il quale si era spinto sino ad intromettersi in vicende estorsive che, per ragioni territoriali, sarebbero state di competenza della cosca Borghetto».
Tanti gli aspetti illustrati ci sono le indagini relative all’assegnazione delle doti di ‘ndrangheta: «Nelle conversazioni si parlava di assegnazioni da parte dei vertici della cosca di doti che facevano riferimento a vecchie qualificazioni», ha spiegato il procuratore Bombardieri.
Dai racconti dei collaboratori di giustizia emerge sul punto la figura di Cosimo Borghetto, descritto come personaggio di elevatissimo spessore ‘ndranghetistico, viene indicato come «”completo”, cioè collocato al livello più alto nelle gerarchie di ‘ndrangheta, addirittura superiore a quello di Mammasantissima». «Il gruppo Borghetto – evidenziano gli investigatori – si è rivelato custode delle più allarmanti tradizioni di ‘ndrangheta e il suo capo, Cosimo Borghetto, ha dimostrato di possedere un altissimo rango criminale, tale da consentirgli di procedere a nuove affiliazioni e di conferire agli accoscati “doti” idonee al riconoscimento di una apicale collocazione nel locale organigramma mafioso». (redazione@corrierecal.it)
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