LAMEZIA TERME «Siete voi che avete spinto le persone ad emigrare e a lasciare la propria terra. Se andiamo a guardare bene le storie del colonialismo internazionale, questi Paesi che oggi portano le persone a migrare, sono stati tutti colonizzati ufficialmente. Hanno preso la libertà, ma non sono affatto liberi. Se a tutto ciò aggiungiamo il cambiamento climatico e le guerre etniche e religiose la cui responsabilità in molti casi sono degli Stati Uniti per interessi mondiali, allora arriviamo a capire perché le persone sono spinte a migrare. La gente che scappa non si sente sicura nel proprio Paese. Ed è questo che si chiede, maggiore sicurezza». Naima Fadin è una mediatrice culturale del progetto Sai di Miglierina. Nel corso dell’ottava puntata di “Calabria dell’altro mondo”, programma di inchiesta condotto da Danilo Monteleone, in onda sull’Altro Corriere tv (canale 75), ha spiegato in maniera semplice e chiara il fenomeno delle migrazioni. Un fenomeno per niente nuovo ma sempre attuale. Un fenomeno motivato da moltissime ragioni che si ripropongono ciclicamente e che in Europa più che essere valutato come un’opportunità di crescita, viene visto da tempo con timore, nella maggior parte dei casi a causa delle informazioni sommarie e superficiali che condizionano non poco i giudizi delle persone. Pensiamo ad esempio al popolo arbereshe che si è localizzato nell’Arberia di Calabria. Cittadini che fuggivano da una condizione di vita difficilissima, e cioè dal tentativo dell’Impero Ottomano di sottomettere le terre d’Albania private del loro eroe nazionale, Giorgio Castriota Scanderbeg. A distanza di secoli l’Arberia è una diventata una straordinaria risorsa per la nostra regione. Ma si potrebbe andare oltre Oceano è parlare degli Stati Uniti d’America, più precisamente New York, in cui l’arrivo di numerose culture di lingue diverse non ha prodotto disordine, ma un’autentica ricchezza sociale e culturale.
Negli ultimi anni in Italia, sul tema delle migrazioni, si sono costruite, spesso con successo, le campagne elettorali di alcuni partiti politici. Eppure, nel nostro Paese, i numeri che riguardano gli ingressi sono tutto sommato sotto controllo. Anzi, il calo demografico, richiederebbe un numero maggiore di migranti come forza lavoro in determinati settori produttivi.
Per tutte queste ragioni “Calabria dell’altro mondo” ha deciso di occuparsi più da vicino di migranti e migrazioni, osservando il fenomeno da una prospettiva diversa, raccontando le esperienze di approdo, di accoglienza e soprattutto di integrazione realmente riuscita. Lo ha fatto analizzando l’area centrale della Calabria attraverso il lavoro di una associazione di promozione sociale tra le più note, la “Comunità Progetto Sud” a Lamezia Terme, e poi ancora raggiungendo il Sai di Miglierina, piccolo centro della provincia di Catanzaro, dove per “Sai” si intende l’ultimo approdo del percorso di accoglienza iniziato con i cosiddetti Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). E poi ancora spazio alle esperienze di microimprenditorialità che consentono ai migranti di liberarsi dal giogo del bisogno innanzitutto economico per trovare il loro posto in Calabria.
«Dal suo arrivo in avanti il migrante trova tutto difficile – sottolinea sempre Naima Fadim – a partire dalla lingua. Non si sente compreso. Arriva con delle grandi aspettative, ha la speranza che possa subito iniziare a lavorare, ma non è così. La maggior parte delle persone che arrivano, hanno delle storie e per loro non è affatto facile. Dalla religione, all’alimentazione, i problemi sono numerosi e la paura di perdere ognuno la propria identità li spinge a chiudersi. Grazie a una buona mediazione qui riusciamo a farli aprire e a fargli comprendere le leggi del Paese che li ospita, che sono completamente diverse dalle loro».
«La politica da noi non va bene – dice nel corso della nostra inchiesta Edi Guidara, ospite del Sai di Miglierina – e non si vede un bel futuro per i nostri bimbi, la vita non è come da voi, è troppo difficile e non si trova una soluzione». La famiglia di Edi è composta da sei persone, oltre alla moglie in casa ci sono quattro bambini. «Eravamo tutti sulla barca per raggiungere l’Italia – ricorda – e grazie a Dio siamo arrivati sani e salvi. Così come mio fratello con la famiglia e altri amici con diversi bambini. Qui a Miglierina abbiamo trovato una buona accoglienza, persone brave che ringrazio di cuore».
«Sicuramente il fenomeno dei migranti è un fenomeno internazionale – afferma Marina Galati della “Comunità Progetto Sud” – e non è nuovo. Noi calabresi lo conosciamo bene per averlo vissuto molto da vicino. Ma ancora in tanti non sanno, per esempio, che ci sono molti popoli vicini all’Africa che accolgono i migranti. Io conosco bene la realtà dell’Uganda, un piccolo territorio che accoglie milioni di profughi. Questo per dire che non si tratta di un fenomeno esclusivamente italiano o europeo, ma riguarda tutta la comunità internazionale. Un fenomeno complesso perché dietro c’è la ricerca di dignità umana, di una qualità della vita migliore o, semplicemente, di sopravvivenza. La Calabria è un territorio soprattutto di approdo per chi arriva dal Mediterraneo, senza dimenticare la via Balcanica. Qui abbiamo visto tantissimi naufraghi, i migranti arrivano sulle nostre coste in diverse modalità. La Calabria ha risposto attuando numerose forme di accoglienza, tenendo sempre presente che molte di queste persone non restano nella nostra regione, visto che cercano di raggiungere i parenti che sono in Europa o in altre città in cui possono trovare una migliore qualità della vita».
«Appena giungono in accoglienza, le persone sono molto sofferenti, si portano dietro gravissimi traumi – spiega invece Serena Peronace, psicologa del Sai di Miglierina – soprattutto se arrivano dagli sbarchi o dai grandi centri collettivi. In questi casi è importantissimo farli sentire al sicuro, a casa, promuovendo dei colloqui o degli strumenti di lavoro sul corpo. I traumi riguardano sia ciò che hanno subito nel Paese di origine che durante il viaggio, nei Paesi di passaggio. In particolare, chi viene dalla Libia è pluritraumatizzato. Noi abbiamo quindi un ruolo fondamentale per creare serenità, equilibrio e benessere psicofisico».
«Ci occupiamo dell’accoglienza intesa non solo come accoglienza materiale ma anche come predisposizione di progetti individualizzati –evidenzia la coordinatrice del Sai di Maglierina Sara Scerbo Rombiolo –, quindi costruiti insieme ai beneficiari, sulla base dei loro bisogni, in maniera globale in termini di assistenza sociale, sanitaria, psicologica, di mediazione linguistica-culturale e tutto ciò che concerne la parte legale e burocratica».
Rosanna Liotti è la responsabile tratta della “Comunità Progetto Sud”. «Quando parliamo di tratta di esseri umani – dice – parliamo dello spostamento con la forza, con l’inganno di persone che da un territorio vengono spostate in un altro ai fini di sfruttamento, che può essere sessuale, lavorativo, di accattonaggio ecc. Occuparmi di queste vicende spesso può risultare frustrante perché, soprattutto nell’ambito della tratta, accade che quando riesci ad avvicinare le persone e a fare emergere il fenomeno e chiedi se vogliono accedere al programma e uscire da questa situazione di sfruttamento, accade spesso che le persone si rifiutano perché hanno paura delle ripercussioni, non tanto per loro, ma per le famiglie che vivono nei Paesi di origine. Alla base del nostro lavoro c’è sempre la volontà della persona che non puoi mai forzare. La soddisfazione quando riesci a salvare anche una sola persona è grande, ma è ovvio che si vorrebbe fare molto di più».
A Sambiase di Lamezia Terme è stato aperto nel mese di agosto un market multietnico da un ragazzo proveniente dalla Nigeria che ha avuto la possibilità di avviare la sua attività grazie a una rete che lo ha sostenuto e anche grazie a un progetto finanziato dal Pon inclusione dell’Ue che si chiama “Resto in campo”, in cui la Comunità Progetto Sud è ente capofila. «Grazie a questo progetto – racconta ancora Rosanna Liotti –si è data la possibilità di avviare delle startup sul territorio regionale». «Ho fatto tante cose – spiega Stanley Aiya Aizobua, il titolare del market –, ho lavorato in tante aziende, ma non ero soddisfatto. Ecco perché ho avviato questo progetto».
“Calabria dell’altro mondo” si è occupata anche del recente accordo tra Italia e Albania per una sorta di esternalizzazione dell’accoglienza per un numero significativo di migranti. Qual è il parere di chi opera direttamente nel settore? «Si stratta di soluzioni che sono già fallite in partenza in passato – afferma ancora Marina Galati della “Comunità Progetto Sud”. Questo fenomeno di delocalizzare le accoglienze o le strutture fuori dall’Europa, non ha portato a nessuna soluzione. Le stesse proposte che oggi si stanno facendo in Albania, con le naturali differenze, sono state già attuate in Libia, in Tunisia, in Turchia e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Piuttosto sono servite a distrarre la cittadinanza dal problema reale. Problema che potrebbe essere affrontato in tantissimi altri modi, innanzitutto non pensando all’immigrazione come a un’emergenza, ma come un evento di questa epoca e un fattore di sistema che può essere in qualche modo organizzato, governato e programmato. Certo, non è facile, ma è possibile».(redazione@corrierecal.it)
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