LAMEZIA TERME «Lei è il primo testimone di giustizia a Lamezia Terme. Nessuno con tutti gli omicidi che ci sono stati, nessuno ha mai visto niente». Inizia così il racconto dell’esperienza di don Giacomo Panizza, fondatore di Comunità Progetto Sud e portavoce di Alleanza contro la povertà in Calabria, a Lamezia Terme. Un racconto che è andato in scena su “Nuovi eroi”. La trasmissione di Rai3 ha ripercorso la storia del parroco antimafia insignito dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella del titolo di commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Una storia iniziata nel Bresciano in un piccolo quartiere del comune di Pontoglio. «Quarterazzo è un vicolo vicino la piazza centrale del paese – racconta Panizza -. Lì nel vicolo eravamo tanti bambini e bambine. Siamo nati tutti immediatamente dopo la guerra, soltanto due sono nati nel 1945, tanto che uno essendo nato il 25 aprile lo hanno chiamato Italo Libero».
In soccorso del racconto di don Panizza, “Nuovi Eroi” ha raccolto anche la testimonianza di qualche vecchio amico: «Eravamo una ventina di ragazzi e siamo cresciuti assieme», dice ai microfoni della trasmissione Carlo Calabria, compagno di giochi di don Panizza.
Ricordi indelebili. «Giacomo quando ha finito le elementari è andato a lavorare, si è fatto sei anni di fabbrica». Un’esperienza citata dallo stesso don Panizza. «A Pontoglio c’erano tante fabbriche e lì mi hanno insegnato a lavorare con il tornio, con le frese. Costruivamo i calibri, le piastre. Erano strumenti di precisione. Anche se lavorare nella fabbrica ti portava a divenire anche tu un modellino, un qualcosa che serviva alla fabbrica».
E i ricordi si sovrappongono, nel sacerdote in prima linea contro le cosche lametine. «La testa è quella del lavorare, lavorare tu, non delegare». E nel racconto del suo amico emerge già una caratteristica del parroco: «Dico che Giacomo aveva qualcosa in più di noi». Sono gli anni Sessanta ed il Paese sta cambiando profondamente, non c’è solo la fabbrica, si va consolidando una nuova consapevolezza sociale che salvaguardi gli ultimi. È la stagione delle proteste che si diffondono ovunque in Italia. «Oggi li chiamano gli anni caldi – ricorda don Panizza -. Chiamano lo sciopero per le maternità per le ferie. Lo sciopero era fatto così: non si faceva entrare nessuno e si litigava».
Poi una circostanza unica che fa incrociare l’allora operaio Panizza con eventi che hanno scolpito la storia del Paese. «Era a piazza della Loggia, quando è scoppiata la bomba», rivela l’amico bresciano. Ma il futuro fondatore della Comunità Progetto Sud era presente ovunque ci fosse il bisogno. Già in quegli anni. «Era lì per parlare, per capire. Per cui stava maturando qualcosa. Era un vulcano che stava esplodendo».
Poi la chiamata alle armi per adempiere alla leva militare, allontana don Panizza dalla fabbrica e dalle lotte sociali. In quegli anni matura una scelta radicale. «Dopo il militare – racconta il sacerdote – tutti noi ci sposavamo. Io ho fatto un paio di mesi a non dormire a far finta che quello che avevo in testa non ero io». È la scelta di vita di prendere i voti e dedicarsi alla vita sacerdotale. Una scelta che ha lasciato molti increduli, tra cui la fidanzata del tempo di Panizza. «Per salutarci siamo andati in un parco – ricorda quella occasione – lì ci siamo dati l’addio. Il giorno dopo il parroco mi ha accompagnato al Seminario e ha detto: “Questo giovane vuole studiare da prete”».
Nel novembre del 1968 entra nel Seminario di Brescia e da inizio alla sua seconda vita. «Ero lì in prova, era il padre spirituale che mi vagliava che mi poneva tante domande per valutare la mia decisione. Mi hanno dato da fare una tesina sull’handicap e la Chiesa, e per questo ho iniziato a girare il Mondo». Nei sui giri don Panizza si imbatte nella Calabria dove sarebbe dovuta sorgere una Comunità per disabili. «In Calabria non c’era nulla se non istituti dove ti portavano dentro a 13-14 anni – racconta – e si rimaneva dentro fin quando non si moriva». E così inizia la sua storia in terra calabra, dove viene inviato dal vescovo dopo l’ordinazione.
A Lamezia Terme fonda nel 1976 la Comunità Progetto Sud. «Quando Giacomo arrivò qui la prima reazione fu di curiosità – ricorda Giacinto Gaetano cofondatore della Comunità – nel vedere un giovane sacerdote non locale con un accento bresciano circondato da un gruppo di persone in carrozzina che non si nascondevano ma che andavano in giro per la città».
«Alcuni ragazzi in carrozzina – dice ai microfoni della Rai don Panizza – mi hanno chiesto di venire lì a spiegare come si fa a stare insieme, a cucinare insieme a lavorare insieme. E dirci che possiamo farcela insieme». Tra le testimonianze di quella avventura “Nuovi Eroi” ha raccolto anche quella di un’altra fondatrice di “Progetto Sud” Nunzia Coppedè: «Tutte cose molto nuove per persone che non uscivano mai. A me affascinavano». Il progetto parte con l’idea di lavorare assieme. «La chiave era l’autogestione – spiega don Panizza –. Abbiamo iniziato subito a lavorare il legno, il rame e l’ottone». Un’idea definita da Coppedè: «fondamentale. Ci dava la possibilità anche di mantenerci economicamente. Parlavamo di protagonismo, non di assistenza».
«Facevamo un sacco di cose – ricorda don Panizza – ed imparavano a capire che c’era un mondo e crescevano percependo che non avevano cambiato casa, ma avevano cambiato mondo».
Accanto al lavoro, don Panizza avvia una lotta per i diritti. Primo quello alla salute. Inizia così la battaglia per avere terapie specifiche gratuitamente. «Sono andato dai politici – svela don Panizza – e questi mi dicevano di no. E come nelle fabbriche abbiamo deciso di occupare la direzione dell’ospedale». Un’occupazione organizzata presidiando i varchi d’accesso con ospiti in carrozzina. «La polizia ha compiuto uno sbaglio – racconta ancora il parroco – quello di chiamare il vescovo: “Tu Giacomo che ci fai qui?”. “Io sono qui con loro che non gli danno le terapie”». E poi un’altra domanda del prelato: «Ne hanno bisogno o ne hanno diritto», una domanda a cui don Panizza risponde chiaramente: «Ne hanno diritto».
Da qui il vescovo si schierò con gli ospiti della Comunità e con don Panizza che riesce ad ottenere finalmente le terapie gratuite per tutti.
Un salto di qualità per la struttura fondata dal parroco venuto dal Bresciano che si trasforma in una realtà solida e che gli permette di aprirsi ad altri tipi di fragilità presenti nel Lametino. Tanto che gli viene concesso un altro spazio per poter adempiere alle altre funzioni. Ma non è un locale come un altro quello: è un appartamento confiscato alla ‘ndrangheta. «Il prefetto ci propone una casa confiscata alla mafia – ricorda don Panizza – al che c’è stato un silenzio. Poi Emma una ragazza in carrozzina che parlava a nome di tutti ha detto. “Noi vogliamo regalare a questa città il coraggio di avere meno paura, andiamo noi”». «Noi tutti l’abbiamo presa come un impegno molto importante – spiega Coppedè -, però c’è voluto un bel po’ di tempo per capire che sarebbe andato tutto bene».
Una volta accettato l’immobile confiscato iniziano i problemi. «La comunità “Progetto Sud” – spiega Giacinto Gaetano – entra nel mirino della cosca perché la particolarità di quell’immobile e che sorgeva a fianco della casa dove vive la famiglia del clan».
«Loro hanno sempre minacciato», dice don Panizza. Tanto da attaccare don Panizza con epiteti tra cui quello lanciato dalla “matriarca” del clan: «Tu sei ‘nu prieviti du diavulu nun sei nù prieviti di Gesucristu». Un messaggio che detto in pubblico sottolinea Gaetano, suona per qualcuno come «autorizzazione a fargli del male». «Dal carcere lametino sono arrivati a dirmi – racconta don Panizza – “Giacomo torna dalla tua mamma perché radio carcere dice che il prossimo omicidio a Lamezia Terme è il tuo». E dopo le minacce arrivano gli avvertimenti più diretti, come gli spari rivolti contro la sede della Comunità “Progetto Sud” e l’esplosione di una bomba davanti al centro minori stranieri fondato da don Giacomo. «L’impegno antimafia è “caduto” sulla Comunità, non se lo è cercato – spiega Gaetano -. Nessuno ha pensato di fare l’eroe dell’antimafia».
«Una volta mi chiama la polizia e mi viene detto “Venga da noi che è urgentissimo. O viene lei o veniamo noi a prenderla” – racconta don Panizza –. Mi hanno portato dove registrano le conversazioni e mi hanno fatto sentire che dicevano che mi avrebbero fatto saltare in aria a me e a tutti i miei collaboratori». Poi la firma chiesta per autorizzare l’uso di quella intercettazione che viene poi consacrata con una stretta di mano ed un’affermazione perentoria: «Lei è il primo testimone di giustizia a Lamezia Terme che firma una cosa contro i mafiosi».
Infine don Panizza ricorda il riconoscimento ottenuto dal presidente Mattarella in Quirinale con un aneddoto: «Mi hanno invitato a Roma, siamo entrati lì al Quirinale ed è stato bello, però ho dovuto comprarmi un vestito». «È stato bello perché abbiamo fatto una chiacchierata – dice don Panizza parlando dell’incontro con il Capo dello Stato -. Ci capivamo». (rds)
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