REGGIO CALABRIA Dati parziali, o addirittura mancanti, per certi versi fuorvianti. Il fenomeno dei femminicidi in Italia non è tracciato in quanto manca una vera e propria banca dati. Quelli raccolti dall’Istat e che ogni anno vengono ripresi soprattutto con l’avvicinarsi della Giornata contro la violenza di genere il 25 novembre sono classificati come “omicidi di donne”, quindi non nello specifico come “femminicidi”, fenomeno che ha una propria connotazione. Lo ha messo in particolare evidenza Antonio Gioiello, psicologo e psicoterapeuta in prima linea nella difesa dei diritti delle donne vittime di violenza. Presidente dell’associazione Mondi Diversi che gestisce a Corigliano Calabro il Centro antiviolenza Fabiana e due case rifugio, Gioiello ha presentato a Reggio Calabria, nel corso di un incontro promosso dalla Coop Sociale Soleinsieme, i dati della sua ricerca sui femminicidi in Italia tra il 2018 e il 2022. Un lavoro che ricostruisce la trama che unisce le storie delle vittime e pone tra l’altro la necessità di prevedere nell’ordinamento penale il reato di femminicidio.
Cosa s’intende per femminicidio? Perché si viene uccise? Perché si muore? E dei bambini e bambine loro figli/e chi se ne occupa? Queste le domande a cui si è cercato di rispondere nel corso dell’incontro a cui hanno preso parte anche Giusi Nuri, presidente della Coop Soleinsieme, Lucia Lipari, vice presidente del Centro Comunitario Agape e componente dell’osservatorio regionale contro la violenza di genere, Angela Martino, assessore alle politiche di genere del Comune di Reggio Calabria, Gemma Sorgonà segretaria Cgil per l’Area Metropolitana.
“Il femminicidi in Italia. Cinque anni all’inferno” è risultato di una ricerca di cinque anni, durante la quale – racconta Gioiello ai microfoni del Corriere della Calabria – ha incontrato diversi ostacoli. «Ho raccolto le storie di tutte le donne che sono state vittime di violenza e che in molti casi si sono concluse con il femminicidio, cercando di capire cosa porta un uomo a uccidere o a condurre alla morte una donna, la propria moglie, la propria fidanzata o l’ex partner. In questa ricerca ho cominciato a mettere insieme dati, notizie, informazioni e ho scoperto una serie di cose per me sorprendenti: una di queste è che non esiste una banca dati ufficiale. Noi fra poco verremo inondati dei dati da parte dell’Istat, ma tutti questi dati non sono dati sul femminicidio, ma sono dati sulla uccisione di donne. La mancanza di distinzione tra quello che è un delitto generale e quello che è un femminicidio influisce su tutte le attività di prevenzione e di protezione delle donne».
Altro tema fondamentale analizzato dallo psicologo è il fatto che «il reato di femminicidio in Italia non esiste, ma esiste il reato di omicidio attraverso il quale vengono puniti gli autori di femminicidio. Ritengo – spiega Gioiello – che il reato di omicidio, così come esiste attualmente nel codice penale italiano, non sia sufficiente a contenere tutta la fattispecie dei reati di vittime di violenza sulle donne. Nella mia ricerca propongo che venga introdotto il reato di femminicidio, perché in molti casi vengono perseguiti in altra maniera, ad esempio come maltrattamenti. E poi – aggiunge Gioiello – ci sono casi veramente che vengono esclusi da qualsiasi valutazione: i casi di suicidio. Dovremmo introdurre una fattispecie che punisce gli atti di violenza che conducono alla morte delle donne. Questo indipendentemente dal fatto se per condurre alla morte significa un atto di omicidio volontario dell’autore, oppure sia un atto di violenza, di persecuzione, stalking, come in molti casi, che porta la donna anche al suicidio».
«Il fattore culturale è il fondamento, c’è una cultura suprematista maschile», sottolinea Gioiello che ha snocciolato i dati raccolti su tutto il territorio nazionale. Sulla base della sua ricerca sono le regioni del Nord quelle a più alto indice di femminicidi, in testa Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna, ma anche la Calabria è una delle regioni a più alto indice di femminicidio in Italia: «Ha una media superiore a quella della media nazionale».
Necessario dunque mettere in atto strategie e misure che possano arginare un fenomeno sempre in maggiore espansione: «La prevenzione del femminicidio – spiega Gioiello – parte da una rivoluzione culturale che non c’è, da una diffusione di servizi e di attività di prevenzione che non ci sono, è un sistema di protezione veramente efficace».
x
x