CATANZARO Le cure palliative restano un nervo scoperto del sistema sanitario nazionale. Poche strutture garantiscono il servizio in Italia e l’assistenza in diverse regioni resta una pia illusione. Su tutte brilla in negativo la Calabria.
Il caso di Indi Gregory, la bimba inglese di 8 mesi affetta da una grave patologia mitocondriale, morta al Queen’s Medical Centre di Nottingham, ripropone di attualità un tema che vede il Paese nettamente in ritardo. L’Italia si era fatta avanti per ottenere il trasferimento della piccola e sottoporla a cure palliative all’ospedale Bambino Gesù di Roma, ma i giudici britannici, nonostante l’opposizione dei genitori, hanno disposto diversamente ed hanno deciso che i macchinari che tenevano in vita Indi fossero staccati.
Una vicenda che però pone interrogativi sull’efficienza in Italia di un sistema di assistenza che dovrebbe entrare nella sfera dei diritti garantiti ai cittadini dalla nostra Costituzione, ma che appare lontano dall’essere tutelato. Nonostante i numeri di quanti ne avrebbero bisogno: nel Paese si stima che siano quasi 600mila persone all’anno.
Ebbene, secondo gli ultimi dati del ministero della Salute, che ha compiuto il monitoraggio sulle cure palliative, circa una persona su tre è sprovvista di assistenza anche per i soli pazienti oncologici.
Stando a quei dati, le lacune riguardano non solo la popolazione anziana, ma anche appunto i minori come la piccola Indi. Appena il 18% dei bimbi, in numeri assoluti circa 30mila, ottiene assistenza specifica in Italia.
E se il Paese, su questo terreno dei diritti resta indietro, c’è un’intera fetta dell’Italia che fa ancora peggio. Visto che ci sono diverse realtà che non hanno attivato neppure la rete per le cure palliative pediatriche. In tutto sono otto le regioni sprovviste tra cui oltre la Calabria ci sono l’Abruzzo, il Lazio, le Marche, la Puglia, la Sardegna, l’Umbria e la Valle d’Aosta.
Come in una sorta di tutele distribuite solo a macchia di Leopardo così l’Italia resta indietro nonostante sia stata la prima in Europa a varare una legge-quadro per riconoscere il diritto alla misurazione e al trattamento del dolore, al trattamento delle sofferenze di paziente e familiari, alla formazione dei professionisti e a un’organizzazione secondo reti cliniche.
Si tratta della legge 38 del 2010, che è stata definita una vera e propria «conquista di civiltà» perché avrebbe dovuto garantire appunto al malato e alla sua famiglia principi fondamentali. Su tutti quello del rispetto della dignità e dell’autonomia della persona malata.
Ma stando al rapporto del ministero della Salute riferito al triennio 2015-2017 e presentato nel 2019 in Parlamento (ultimo agli atti), emergerebbero diverse criticità. Tra cui appunto, l’assenza di Reti di cure palliative e terapia del dolore pediatriche in diversi territori.
Come quello calabrese. Un vulnus che si somma ad altre criticità, tanto da spingere i decisori politici a dettare una road map per incrementare i servizi destinando risorse. Sia nel testo del Pnrr che nella legge di Bilancio 2023, si indica la necessità di potenziare la rete delle cure palliative per raggiungere, entro il 2028, il 90% della popolazione interessata soprattutto attivando servizi domiciliari. Un obiettivo decisamente ambizioso, se allo stato attuale appunto nel Paese si riesce a dare una risposta a circa un terzo di chi avrebbe bisogno di quella assistenza.
E la Corte dei Conti, nella sua delibera del gennaio scorso, che ha relazionato al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali ha rilevato che restano «significative differenze geografiche nei servizi territoriali, come quelli per le cure palliative ai malati di tumore». A significare la difficoltà di garantire quei diritti a tutta la popolazione
Sono sempre i giudici contabili in quella relazione a tracciare il quadro di criticità nel sostegno ai pazienti che avrebbero bisogno di cure palliative. Un quadro che vede proprio la Calabria in grandi difficoltà.
In particolare, rileva la Corte dei Conti, sull’indicatore relativo al «numero di deceduti per causa di tumore assistiti da reti di cure palliative sul numero di deceduti per cause di tumore, i punteggi più bassi si concentrano» al Sud. Con la Calabria che risulta terzultima (17,12) preceduta solo dal Molise (14,84) e dal Lazio (1,73). Distanti anni luce dai risultati conseguiti dalle quattro regioni più virtuose in materia di cure palliative garantite ai pazienti oncologici come il Veneto (84,10), l’Emilia Romagna (82,14), la Puglia (72,03) e la Lombardia (71,03).
Altri dati utili a comprendere il basso livello di assistenza ai pazienti bisognosi di cure palliative in Calabria, proviene dall’ultima relazione dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). Nell’ “Istruttoria sullo stato di attuazione della legge 38/2010 in materia di rete delle cure palliative”, emerge che la Calabria risulta inadempiente per diversi servizi non attivati. Se la Regione è tra quelle che hanno istituito la rete di cure palliative prendendosi in carico anche pazienti oncologici, dall’analisi, non esiste nelle cinque Aziende sanitarie provinciali una rete locale di cure palliative e conseguentemente non risultano presenti la “Carta dei servizi via web”, né uno “Spazio web dedicato alle cure palliative”, come neanche un Piano annuale di sviluppo formativo delle competenze e “Percorsi di cura dedicati alle cure palliative”. Nel capitolo riferito alla Rilevazione territoriale della rete delle cure palliative in Calabria, non risulta neppure attivato il servizio di cure domiciliari dedicate ai pazienti bisognosi di cure palliative e dunque né equipe mediche a domicilio né medici di medicina generale che garantiscono il servizio. Oltre all’assenza di una rete di cure palliative per minori che comporta di conseguenza l’impossibilità del servizio sanitario regionale di prendersi in carico i piccoli pazienti non oncologici. In Calabria risulta allo stato istituito l’organismo di coordinamento regionale con la nomina del referente calabrese.
Mentre è assente la piattaforma informatica regionale in materia di cure palliative così come non sono stati attivati corsi di formazione specifici per i professionisti.
Allo stato attuale in Calabria, stando ai dati contenuti nel sito della Federazione cure palliative, risultano presenti sei hospice che garantiscono cure palliative. Cinque private e solo una pubblica. Quest’ultima la “San Giuseppe Moscati” si trova a Cassano allo Jonio e garantisce servizi in day hospital, in ambulatorio oltre ad avere 10 posti letto in degenza. Le altre cinque strutture tutte private hanno a loro volta altri 10 posti letto ciascuno.
Dunque complessivamente in Calabria esistono 60 posti letto per sopperire a tutte le esigenze dei pazienti – si stima 15mila casi l’anno – che finiscono per sovraffollare conseguentemente la rete ospedaliera calabrese.
Una serie di inadempienze, per la verità che accomunano diverse regioni e che rendono meno amara la constatazione dei ritardi che esistono nell’applicazione di una legge che sarebbe dovuta servire a rendere più civile la sanità territoriale in Italia, distinguendosi per “umanità” delle cure. Dati e numeri che dimostrano come, al di là di eccezioni, il caso di Indi Gregory non sarebbe stato gestito al meglio in Italia, rimanendo impossibile in Calabria, dove a causa dell’assenza di un servizio per minori, la gran parte dei piccoli con le loro famiglie sono costrette a spostarsi in altre regioni per ottenere quel diritto. (r.desanto@corrierelcal.it)
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