COSENZA C’è un incontro, registrato a casa dell’ex reggente del clan degli “Italiani” Francesco Patitucci, datato 3 marzo del 2020, giudicato interessante dal punto investigativo. L’episodio viene citato dal pm della Dda di Catanzaro, Vito Valerio, nel corso dell’udienza del processo con rito abbreviato scaturito dall’inchiesta “Reset“. Al summit partecipano anche Renato Piromallo e Salvatore Arillo, «la moglie di Gianfranco Bruni va da Francesco Patitucci, con l’intento di chiarire alcune incomprensioni, di chiedere rassicurazioni sugli stipendi». Non è solo la richiesta di sostegno economico al boss ergastolano ad attirare l’attenzione di chi indaga, ma il momento nel quale la circostanza si verifica, quando «è pendente il procedimento a carico di Gianfranco Ruà e Gianfranco Bruni del duplice omicidio Lenti-Gigliotti». L’interesse di Francesco Patitucci, imputato nel medesimo procedimento e «l’unica cosa che gli sta a cuore ovvero l’esito di questo processo per duplice omicidio, perché di qui la differenza ad una condanna verosimilmente all’ergastolo, piuttosto che una condanna per 416 bis nel processo “Reset” che fondamentalmente gli sposterebbe poco in termini di trattamento sanzionatorio».
L’accusa illustra, in aula, la presunta strategia messa in piedi dallo stesso Patitucci deciso a «far rendere dichiarazioni auto ed etero accusatorie in corso di processo agli altri due ergastolani Bruni e Ruà con l’intento di svilire la partecipazione di Francesco Patitucci in questo omicidio e di consentirgli di evitare la condanna». Che tradotto gli consentirebbe «di continuare ad essere capo in libertà della Confederazione di ‘ndrangheta che gli viene contestata».
Con la chiusura dell’inchiesta “Reset”, infatti, viene contestato ai boss ergastolani Gianfranco Ruà e Gianfranco Bruni il favoreggiamento nei confronti del presunto capo delle cosche “confederate” Francesco Patitucci. Ruà e Bruni avrebbero reso, secondo l’accusa, in Assise, lo scorso anno, false dichiarazioni sul duplice omicidio di Marcello Gigliotti e Francesco Lenti, avvenuto nel febbraio del 1985 a Rende. Ruà e Bruni, «nel corso del processo», avrebbero resto «dichiarazioni escludenti la responsabilità» di Patitucci, aiutandolo a «eludere le investigazioni circa il suo coinvolgimento nella vicenda omicidiaria». In particolare, Ruà in una udienza del marzo 2021, «in sede di confronto» con l’altro imputato Franco Pino, ex capomafia di Cosenza, avrebbe reso «dichiarazioni mendaci». Pur autoaccusandosi, «per la prima volta dopo la sua condanna in primo grado», di aver partecipato al duplice omicidio, avrebbe alterato «la ricostruzione dei fatti e l’individuazione dei soggetti coinvolti» per «accapponare «dalla medesima accusa Francesco Patitucci». (f.b.)
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