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Bonavota, Razionale, Lo Bianco e Vacatello: condanne più pesanti per i boss del Vibonese

Confermato in larga parte il castello accusatorio della Dda per i capi cosca. Evidenziata la “pervasività” della organizzazione criminale vibonese

Pubblicato il: 20/11/2023 – 19:27
di Giorgio Curcio
Bonavota, Razionale, Lo Bianco e Vacatello: condanne più pesanti per i boss del Vibonese

LAMEZIA TERME Clan di ‘ndrangheta decapitati e pene severe per i boss delle ‘ndrine vibonesi. La sentenza di primo grado del processo “Rinascita-Scott” emessa questa mattina nella gremita aula bunker di Lamezia Terme ha, di fatto, inferto un durissimo colpo alle cosche e alle articolazioni sul territorio. Primo obiettivo dell’inchiesta del dicembre 2019 coordinata dalla Dda di Catanzaro. I giudici del Tribunale di Vibo Valentia, rivedendo in alcuni casi al ribasso (ma di poco) e confermando in altri le richieste di condanna, hanno inflitto decine di anni di carcere ai capi di quelle espressioni criminali che, per anni, hanno soffocato il territorio della provincia vibonese, attraverso intimidazioni, vessazioni e minacce, combattendo in molti casi anche tra di loro per spartirsi il territorio all’ombra del clan Mancuso di Limbadi.

I Bonavota 

Condanne pesanti per i Bonavota, a cominciare da Domenico Bonavota. Insieme al fratello Pasquale ed allo zio materno, Domenico detto “Micu I Mela” Cugliari, è considerato un elemento di vertice della cosca Bonavota articolazione di ‘ndrangheta operante nel territorio comuni di Sant’Onofrio, Stefanaconi, Pizzo Calabro, Filogaso e Maierato, con influenze anche in Liguria, Piemonte e nel Lazio. E oggi i giudici del Tribunale di Vibo Valentia lo hanno condannato a 30 anni di carcere proprio insieme allo zio al quale, invece, sono stati inflitti 22 anni e 6 mesi. Considerato il capo dell’ala militare della potente famiglia di Sant’Onofrio, ha alle spalle una condanna all’ergastolo al termine del processo “Conquista” per l’omicidio di Domenico Di Leo e, come il fratello, era sfuggito all’arresto a dicembre 2019, ma è stato poi catturato ad agosto 2020. Altra dura condanna è quella inflitta, poi, a Nicola Bonavota: 26 anni per quello che è considerato, come i fratelli Domenico e Pasquale «uno dei soggetti maggiorenti» del clan omonimo. Nicola Bonavota è già stato condannato a trent’anni a luglio del 2022 per l’omicidio di Domenico Belsito, avvenuto nel 2004 a Pizzo, nel Vibonese. Trent’anni rimediati insieme a Francesco Fortuna mentre fu assolto proprio il fratello, Pasquale.

Condannato l’ex super latitante

Durissima la condanna emessa anche nei confronti del fratello Pasquale: 28 anni. L’ex super latitante è considerato «interno» al locale di Sant’Onofrio con un ruolo di vertice era stato catturato il 24 aprile di quest’anno, l’ultimo boss di ‘ndrangheta in fuga fino a quel momento e superlatitante inserito nella lista del ministero dell’Interno. Dell’erede alla guida del clan Bonavota, nato a Vibo Valentia il 10 gennaio di 49 anni, si era persa traccia dal 28 novembre del 2018. Pasquale Bonavota era riuscito a sfuggire allo storico blitz “Rinascita-Scott” scattato all’alba del 19 dicembre del 2019. «Chiedo scusa al Tribunale per la mia lunga assenza ma che sia chiaro non ero latitante, ero innocente». Così parlava Pasquale Bonavota in aula la sera del 18 maggio scorso. Le sue erano spontanee dichiarazioni al termine dell’udienza del processo Rinascita Scott e in fase di requisitoria. «Non ero latitante, ero innocente» diceva Bonavota.

Il boss di Vibo Marina

Condanna a trent’anni di carcere per Antonio Vacatello. Il classe ’64, infatti, è considerato il capo ‘ndrina di Vibo Marina, collegata con quella di Zungri al cui vertice c’è Giuseppe Accorinti. In passato il boss è stato condannato dalla Cassazione perché avrebbe minacciato attraverso il metodo mafioso il testimone di giustizia di Pizzo, Francesco Vinci. Inflitti, poi, 28 anni di carcere per Vincenzo Barba noto come “il musichiere” a capo della ‘ndrina “Lo Bianco-Barba” insieme a Paolino Lo Bianco, cl. ‘63, figlio di Carmelo, il boss deceduto a Parma nel 2014, detto “Piccinni”, ritenuto dagli inquirenti boss indiscusso dell’omonimo clan e “patriarca” dell’omonima cosca operante sin dagli anni ’70 nella città di Vibo Valentia. L’erede è stato condannato oggi a trent’anni di carcere. Mano pesante dei giudici anche per Domenico Camillò (cl. ’94) noto come “Mangano” e condannato a 26 anni di carcere. Condannato 24 anni di carcere anche Antonio La Rosa, boss dell’omonimo clan di Tropea con poteri estesi anche a Ricadi e in costante collegamento con la cosca Mancuso di Limbadi. Stessa pena inflitta anche a Francesco Barbieri (cl. ’65) noto come “Carnera” o “Ciccione”, considerato il capo della ‘ndrina di Cessaniti.

Gli altri boss

È stato condannato invece a 28 anni e 4 mesi Salvatore Morelli “l’americano”. Il classe ’83, catturato nel 2021 dopo un periodo di latitanza, è considerato il capo della cosca Pardea, con un passato tra le fila dei Piscopisani e poi nel gruppo di Andrea Mantella, legato anche agli esponenti del clan Lo Bianco. Altro boss condannato a trent’anni è Saverio Razionale, boss della ‘ndrina di San Gregorio d’Ippona, classe ’61. Saverio Razionale è stato, ed ha continuato a essere un boss anche dopo l’ultima, irrevocabile sentenza nei suoi confronti. L’accusa, durante le udienze, ha parlato di una sorta di direttorio criminale nel quale Razionale è capo, organizzatore del sodalizio, partecipe ad un vero e proprio cartello ‘ndranghetistico trasversale rappresentativo delle locali di ‘ndrangheta della provincia di Vibo Valentia. Razionale sarebbe legato a filo doppio con il boss del luogo Rosario Fiarè, ed è ritenuto dagli inquirenti personaggio scaltro, intelligente e capace di creare attività commerciali ed investire anche fuori regione, specie a Roma. Nella capitale – secondo quanto emerge dalle intercettazioni – l’uomo si era affidato al nipote Gregorio Gasparro, soprannominato “U Rizzu”. Le condanne in primo grado, dunque, confermano in larga parte il quadro accusatorio e l’imponente inchiesta della Dda di Catanzaro e consegno un territorio ridisegnato rispetto al passato. L’occasione per «rioccupare» quegli spazi lasciati vuoti, così come tante volte sia Nicola Gratteri che il procuratore di Vibo, Camillo Falvo, hanno ricordato. (g.curcio@corrierecal.it)

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