REGGIO CALABRIA «Bisognerebbe andare oltre, trovare altre, altre soluzioni più (inc) (…) io sono sempre convinto che bisogna andare oltre…avete visto ora le ultime… gli ultimi sviluppi là… al Gebbione una volta non succedevano queste cose… questi imprenditori». Anche nelle carte dell’inchiesta “Garden” che ha colpito la cosca Borghetto-Latella si discute di una “problematica”, secondo quanto emerge in sempre più operazioni della Dda di Reggio Calabria, comune a più cosche di ‘ndrangheta: il timore per le denunce delle estorsioni ai danni degli imprenditori. Così come per l’inchiesta “Atto Quarto” in cui Totò Libri e Antonino Gullì, ritenuto suo braccio destro, parlando delle varie dinamiche criminali, si lasciavano andare ad evocazioni nostalgiche dell’epoca in cui era più “agevole” riscuotere il pizzo nel territorio reggino – «quindici anni fa», dicono «dove andavi andavi ti “calavunu” soldi» – anche per i Borghetto sembra essere la stessa cosa. Ed è così che in una conversazione captata dagli investigatori viene fuori l’argomento e si discute di un possibile cambio di strategia. Circostanza sottolineata in conferenza stampa anche dal procuratore Giovanni Bombardieri: «In una conversazione esponenti di spicco fanno commenti sulle denunce degli imprenditori, viene detto che era necessario cambiare approccio, trovare metodi diversi per imporre le proprie attività estorsive, per evitare le denunce degli imprenditori. Questo ci fa capire quanto denunciare sia importante, e che gli imprenditori non sono soli».
Gli esponenti di spicco in questione sono Cosimo Borghetto e Gino Molinetti. E’ il 25 febbraio 2020 e il loro incontro viene documentato. L’argomento più importante e centrale del dialogo era rappresentato «dalla necessità di rivoluzionare la strategia in ambito estorsivo, adottando cambiamenti in merito alle modalità operative delle ndrine, a cagione dell’intensificarsi delle denunce da parte degli imprenditori locali in ordine alle estorsioni subite». I due, secondo quanto emerge, «erano rimasti particolarmente colpiti dall’esecuzione (nel gennaio 2020) dell’ordinanza di custodia cautelare emessa nell’ambito dell’indagine “Heliantus”, a carico di affiliati alla cosca Labate di Gebbione. In quel contesto, infatti, alcuni imprenditori avevano ammesso di essere stati sottoposti ad estorsione, indicando mandanti ed esattori del pizzo.
A fronte dell’intraprendenza del Molinetti, che continuava ad esporsi in prima persona, Borghetto – si legge nelle carte dell’inchiesta – asseriva di volersi tenere defilato e di aver dato direttive affinché non venisse mai speso il suo nome in tali pericolosissime vicende estorsive: «Io non voglio sapere niente, (inc) per amore e per il bene dei figli (inc.) non mi nominate neanche io non voglio sapere niente (inc) io la mia vita». Borghetto sosteneva di essere stato avvicinato da qualcuno per la “messa a posto”, ma spaventatissimo dalle notizie che ormai circolavano circa il nuovo trend delle denunce sporte alla Procura della Repubblica, aveva declinato l’invito: «Eh perfetto… (inc) vanno i carabinieri… e che fanno si prendono nome e cognome di chi va, di chi lavora, dove comprano i materiali… (…) stanno lavorando (…) che vai e gli dici?.,, loro non appena mi ha visto a me, lui mi ha anticipato: “No, (inc) io sono venuto a dirvi”… io non voglio sapere niente… ogni volta ogni cosa (inc) io non voglio avere a che fare qua… hai capito? Ed è finita così…».
«Temutissima», scrive il gip, la tendenza degli imprenditori locali a denunciare le richieste estorsive, circostanze che imponevano ai clan un cambio di rotta e la ricerca di quelle che Molinetti definisce «altre soluzioni»:
MOLINETTI: io sono sempre convinto che bisogna andare oltre… avete visto ora le ultime… gli ultimi sviluppi là… al Gebbione una volta non succedevano queste cose… questi imprenditori
BORGHETTO C: ah con questi (inc)
MOLINETTI: bisognerebbe andare oltre, trovare altre, altre soluzioni più (inc).
«Increduli in merito alla circostanza che questo cambio di passo potesse essere stato determinato dalla mancanza di paura delle conseguenze che avrebbero potuto patire ad opera della ‘ndrangheta, riconducevano il mutamento ad una nuova opera strategica degli inquirenti che sostanzialmente inducevano le vittime di estorsione a denunciare insinuando in loro il timore del sequestro di tutti i loro bene e della perdita dei patrimoni accumulati da anni e per anni». Molinetti e Borghetto ricordano inoltre con nostalgia «i bei tempi in cui gli imprenditori elargivano, senza battere ciglio, consistenti somme di denaro alle ndrine». E infine ritengono necessario un cambio di strategia. Nella nuova situazione ambientale, – scrive il gip – era quindi necessario – per la ndrangheta reggina – riorganizzarsi e trovare nuove e meno rischiose modalità operative. Cosimo Borghetto proponeva a tal fine una riunione di vertice, per decidere il da farsi e scongiurare azioni che avrebbero potuto mettere a rischio la loro stessa esistenza ‘ndranghetistica: «l’alternativa, dunque, a questo cambio di passo non era giammai quella di abdicare alle azioni estorsive, ma quella di adottare delle contromisure previa riunione tra i vertici». (redazione@corrierecal.it)
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