COSENZA Premessa d’obbligo per i più giovani: Fausto Silipo, protagonista di questo articolo, è un catanzarese tifoso del Catanzaro. È stato un bravissimo difensore e poi allenatore, oltre che di Cosenza e Catanzaro (negli anni d’oro della serie A) che tra qualche giorno si affronteranno dopo anni nel cosiddetto derby di Calabria, anche di Crotone, Genoa, Palermo, Cremonese, giusto per fare qualche nome.
L’ho seguito per anni, da quando rischiò di portare il Cosenza in serie A, mettendo in mostra un calcio moderno e spettacolare (erano i primi anni ’90 e uno sfortunato autogol di Ciccio Marino contro una Cremonese dominata dall’inizio alla fine, troncò i sogni di gloria della piazza bruzia). C’era lui sulla panchina dei Lupi quando Massimiliano Catena siglò al “San Vito” un gol fantastico da trenta metri contro la Ternana. Quattro giorni dopo il talentuoso mediano romano rimase vittima di un incidente stradale vicino allo svincolo di Tarsia.
Ma Silipo è stato soprattutto una bandiera del Catanzaro, fascia di capitano sul braccio, serio, passionale, mai banale.
L’ho conosciuto una ventina di anni fa da cronista sportivo più o meno alle prime armi. Allenava il Rende e lì ho capito che oltre a un grande personaggio di sport, dietro quella figura slanciata, quei capelli da rocker anni ’70 leggermente lunghi (come li portava da ragazzo) e grigi, dietro quello sguardo antico, c’era una persona sensibile, profonda, gentile, di un’umanità difficile da trovare nel mondo pallonaro del nuovo millennio. L’allenatore catanzarese col tempo ha appeso gli schemi tattici al chiodo ed è diventato nonno a tempo pieno e scrittore a tempo perso. Ha pubblicato un libro (“C’era un ragazzo che come me”, Titani Editori) in cui racconta la sua storia, scrive poesie, ha la passione per la musica, dialoga idealmente sui social con “Nina“, diminutivo del nome di sua figlia, che altro non è che la sua passione, il pallone. Le racconta del suo passato, i suoi pensieri su questo presente di plastica e milioni di dollari e di euro che ha ucciso la magia dello sport più bello del mondo. Vive da quasi sempre a Roma, negli ultimi anni è stato commissario tecnico delle selezioni Under-16 e 17 della Lega Nazionale Dilettanti. Sul suo profilo facebook si descrive così: “Amo Catanzaro, adoro la Calabria, fiero di essere meridionale, sono orgogliosamente italiano”. L’ho chiamato a pochi giorni di distanza da un derby che ancora non sa se guarderà in tv. «Vediamo», mi dice, «non vorrei arrabbiarmi».
«Il nome di quel gruppo parla da sé, non ha bisogno di altre spiegazioni».
«Di Cosenza ho solo ricordi speciali, ottimi. Lì stavo vincendo un campionato dopo un percorso bellissimo e nessuno ci aveva chiesto la promozione. Abbiamo perso qualche colpo nel finale che ha pregiudicato tutto. Io a Cosenza ho fatto sia il calciatore che l’allenatore e della rivalità con Catanzaro non mi è mai importato nulla. Ho sempre avuto un’idea particolare, atipica, di questi generi di rivalità. Ci chiamavano terroni quando giocavamo contro le squadre del nord e io facevo la lotta, per me giocare col Cosenza o con il Catanzaro significava difendere la mia terra, non c’era alcuna differenza».
«Sì, già da piccolo ragionavo così. Ero fiero a 13 o 14 anni di far parte della rappresentativa regionale, perché giocavo per un’intera regione, per Cosenza, Catanzaro, Reggio, Lamezia, Crotone. Per me quella era la Nazionale. Non è un caso che poi io abbia giocato o allenato in tutta la Calabria, compreso a Palmi di cui ho ricordi fantastici. Crescendo ho sempre mal digerito l’astio che c’era tra le nostre squadre».
«Catanzaro è la mia città, spesso dico di avere i globuli gialli e rossi. I ricordi che mi legano alla squadra sono tanti. Ma la cosa che mi fa più piacere è che con la maggior parte dei calciatori di quegli anni, ancora mi sento, spesso ci vediamo, stiamo insieme, non è una cosa normale».
«Sì, viene spesso anche lui quando ci troviamo. Con Massimo ho sempre avuto un bel rapporto, lo conosco bene».
«Siamo stati in squadra insieme e poi l’ho allenato, era un grande uomo. La sua morte prematura l’ho vissuta con grande dolore. Eravamo molto legati e parlavamo spesso della rivalità che c’era tra Catanzaro e Cosenza, ogni tanto ci ridevamo su, anche se comprendevamo l’agonismo delle tifoserie. Ricordo che quell’anno, quando abbiamo giocato insieme, ho avuto un problema con l’automobile e lui per un periodo mi è passato a prendere nella mia casa del mare a Soverato. Saliva da Stilo e andavamo insieme a Cosenza».
«Non voglio parlare male del calcio di oggi, non mi va di passare per quello che ormai è fuori dal giro e critica tutto. Però non so che farci, non riesco più ad appassionarmi e i motivi penso siano facili da immaginare. È un mondo diverso da quello che ho lasciato, un tempo c’era più cuore mentre adesso contano solo i soldi. Ciò che è peggio è che non vedo spiragli di luce».
«Tutino so che è un bravissimo calciatore, ma non lo conosco come Iemmello, che è mio concittadino e ritengo sia fortissimo. Uno che per le doti tecniche che ha avrebbe potuto e dovuto avere una carriera migliore, sicuramente da serie A. A volte mi fa arrabbiare quando lo vedo giocare, perché penso che abbia un po’ sprecato il suo talento. Mi sarebbe piaciuto giocarci insieme o allenarlo, magari per aiutarlo a fare meglio. Senza presunzione, ovviamente, anche perché attualmente è guidato da un tecnico bravissimo come Vivarini».
«Più che positivo. L’ho conosciuto, sento come parla e lo considero un grandissimo uomo, ancor prima che un grande allenatore, che per me, poi, è la cosa che conta di più. A Catanzaro sta facendo un ottimo lavoro, sia dal punto di vista tecnico che umano».
«Ho visto qualche partita e devo dire che fa giocare bene le sue squadre. È un calabrese che sa il fatto suo, ha le idee chiare».
«Sarà una bella partita perché entrambe le squadre amano giocare a pallone, a viso aperto, non sono attendiste. Sono molto vicine in classifica. Forse il Catanzaro ha qualcosina in più del Cosenza, ha ottime individualità e i giocatori si conoscono tutti molto bene. Ma in un derby più succedere di tutto. Insisto su Iemmello, se si accende lui il Catanzaro può ambire al salto di qualità».
«Spero trionfi il gioco, l’agonismo e tutto ciò che riguarda il campo. Per il resto, spero che sia una giornata di sport. Mi fa arrabbiare pensare all’opposto, ecco perché forse non la vedrò in tv. Io sono Catanzarese, tifo Catanzaro, ma vorrei che vincesse soprattutto la Calabria. Ho giocato un paio di derby, sia da una parte che dall’altra e non è mai successo nulla di grave. Voglio pensare che andrà così anche stavolta».
«Con lui avevo un rapporto speciale e non ho mai voluto parlare tanto di quella giornata triste, perché ancora oggi mi fa male. Massimiliano era un ragazzo educato, attaccato alla maglia, a me, ai compagni. Il nostro è stato un rapporto intenso, capivo già allora di avere davanti una persona di spessore nonostante la giovane età, e non è retorica, non lo dico solo adesso che non c’è più. Ho mantenuto i contatti con la mamma, una bella persona, anche se adesso ci siamo un po’ persi per colpa mia. La notizia della sua morte è stata uno shock che mi porto ancora dentro».
«Vero».
«Ma Claudio è di un altro livello, non è come gli altri. E i tifosi lo sanno, è uno dei più amati in Italia. Al di là del valore dell’allenatore, lui è soprattutto un grande uomo e questo fa la differenza. Tempo fa ha ripreso i suoi tifosi che insultavano gli avversari, dimmi chi altro si comporta così».
«Una grande emozione e ringrazierò sempre il presidente Ceravolo per avercela fatta vivere. Quel giorno io e miei compagni decidemmo di marcare a turno Pelè quindici minuti ciascuno. Quando toccò a me, lui non segnò. Ma fu solo fortuna. Alla fine perdemmo 7 a 1 con una sua doppietta».
«Senza alcun dubbio. Il più forte in eterno. Chi non lo ha visto giocare non potrà mai capire».
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