È possibile ricreare nell’idea e nella tradizione quella madrepatria rimasta lontana? Si, se esiste un altrove che sa accogliere anche l’altro sentire, l’altro esistere. È possibile sì, ancora possibile, se si approda e poi si abita in questo autentico dove che, da terra fertile delle proprie radici, diventa terra d’ospitalità, di un’altra lingua, di un altro costume, di altri riti. Questa terra è l’Arberia di Calabria, è quella parte d’Occidente nella quale viene a compiersi l’altra parte dell’Oriente, ne accoglie usi, costumi, riti e atmosfere. E se da cosa nasce cosa, se dall’accoglienza deriva resilienza, la narrazione diventa terreno in comune, e il viaggio è davvero unico.
“Le storie albanesi di Calabria” sono questo viaggio, un racconto inedito sui “tesori della cultura arbëreshë, solo a tratti contaminata da quella calabra”, sono un andare delicato nel sentimento di queste culture, nel loro essere presenza pur essendo altrove, qui et nunc, sono un racconto che diventa valore, cogliendo i luoghi della contaminazione che si è fatta patrimonio di territorio e sapere. Immagini e testimonianze, di luoghi e persone, di riti e canti, di musiche e profumi, per definire la trama di un documentario coinvolgente, quasi immaginifico, che, puntata dopo puntata ha tracciato i confini di una Calabria delle tradizioni inaspettate.
Si parte da Lungro, nel cosentino, è sede dell’Eparchia, è il cuore della religiosità arbëreshë e delle funzioni in rito greco-bizantino, sono piene di sacralità. E a proposito di riti, quello pagano del mate, affonda le radici nel flusso migratorio che ha portato anche molti arbëreshë di Lungro in Argentina, incoraggiando le occasioni di convivialità.
Così a Lungro, nella casa del Mate, ogni pomeriggio ci si ferma per rinnovare l’usanza del tipico tè sudamericano, lo offre Anna Stratigò, ai visitatori e in segno di pace.
Si arriva a Civita, è il paese delle case antropomorfe e dell’antico ponte sospeso nel vuoto, è avvolto da uno scenario modellato dalla natura nel corso dei millenni. Le Vallje di Pasqua incantano invece per i vistosi abiti in raso ed oro, sono ornati con preziosi ricami, indossati dalle donne, che insieme agli uomini, intonano canti epici e d’amore. Enzo Filardi, che è anche compositore di musica arbëreshë, illustra una proposta gastronomica legata al territorio ed ai prodotti locali, una bontà che svela l’autenticità delle tradizioni culinarie Arbëreshë: basta assaggiare il suo “Cavatello con erbetta del Pollino d’Amaranto”. Nella Casa della Magara, l’accoglienza è il fare nostalgico di Antonella Vincenzi, che coinvolge con una narrazione piacevole e affascinante.
I sapori semplici e robusti, i canti e le rapsodie, il senso dell’ospitalità, sono esperienze uniche, ma il viaggio continua, diventa ancora più immersivo e identitario, abbraccia lo spirito di appartenenza arbëreshë, che può essere cucito anche sugli abiti, è tra i simboli di un sentimento identitario.
A Santa Sofia c’è persino chi realizza le statue del presepe con gli abiti tipici arbëreshë. Le immagini di queste storie ne rendono di autentiche prospettive.
A San Benedetto Ullano il paesaggio urbano è legato all’arte attraverso una connessione indissolubile con la cultura arbëreshë, ne è espressione quel museo diffuso delle Porte Narranti, le porte “vecchie” del centro storico: come affreschi raccontano le antiche gesta o di tesori bizantini, tra storia, cultura e identità.
Il viaggio nelle “storie albanesi” è anche nel tempo della ricorrenza: sempre a queste latitudini, prima dell’alba della Domenica delle Palme, si commemora la resurrezione di Lazzaro con le “Kalimere di Passione”, canti popolari ben auguranti, rimasti quasi inalterati nel tempo.
San Demetrio Corone: anche qui la Settimana Santa è il periodo solenne dell’anno, ed è qui che ha sede il Collegio Italo-Albanese di Sant’Adriano, un importante organismo religioso e culturale per la conservazione del rito orientale, delle tradizioni e del patrimonio identitario arbëreshë.
È questo il luogo di S. Nilo da Rossano, che vi fonda il suo ascetario, divenuto poi cenobio, accanto ad un piccolo oratorio, già esistente, e dedicato ai Santi asiatici Adriano e Natalia: un autentico capolavoro di virtuosismi spirituali. A Frascineto è possibile meravigliarsi alla vista del ricco patrimonio iconografico, teologico e liturgico. Le icone sono molto di più che un semplice dipinto: sono opere artistiche dal forte carattere religioso, apprezzate in tutto il mondo, è qui che la profonda spiritualità accompagna l’abilità tecnica.
Lo sguardo documentaristico sulla comunità di Acquaformosa, rivela infine l’originale e incantevole narrazione del matrimonio arbëreshë: dalla vestizione, allo scambio degli anelli di fidanzamento, dall’incoronazione degli sposi, fino alla “rottura” del bicchiere e alla processione in chiesa: le cerimonie liturgiche sono orientali, quelle popolari identitarie, e sono entrambe decisamente suggestive.
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