COSENZA «Le parole fanno più male delle botte». L’ultimo messaggio scritto da Carolina Picchio, la prima vittima ufficiale di cyberbullismo in Italia, prima di togliersi la vita nel gennaio del 2013 danno il senso profondo di quanto il fenomeno sia psicologicamente devastante per chi lo subisce. Soprattutto per i giovanissimi, come Carolina che, ad appena 14 anni, ha scelto di lanciarsi dalla finestra della sua casa a Novara non riuscendo a sopportare l’umiliazione subita da quelle immagini diffuse in modo virale sui social.
Un fenomeno che, nonostante il varo di una specifica legge nata nel 2017 per contrastare proprio il cyberbullismo, è cresciuto a dismisura di pari passo con la diffusione capillare dei mezzi di comunicazione online e dell’utilizzo delle piattaforme social da parte anche di giovani in età preadolescenziale. Almeno a giudicare dai dati contenuti nella sesta rilevazione del Sistema di Sorveglianza HBSC Italia (Health Behaviour in School-aged Children – Comportamenti collegati alla salute dei ragazzi in età scolare) e diffusi recentemente.
Nel report coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità insieme alle Università di Torino, Padova e Siena, con il supporto del Ministero della Salute e la collaborazione del ministero dell’Istruzione e del Merito e tutte le Regioni e Aziende sanitarie locali, emerge infatti, che il cyberbullismo nei ragazzi di età compresa tra gli 11 ed i 13 anni ha visto un’impennata fortemente associata alla diffusione dei social network. Stando l’indagine, un adolescente su due in quella fascia di età si procura intenzionalmente ferite e contusioni contro il 33% delle vittime di bullismo.
Un tasso che fa comprendere come il bullismo via social media colpisca ancor di più degli atti di violenza “tradizionali” compiuti da bande di bulli o bulle ai danni delle loro vittime.
Un’accelerata impresa anche e soprattutto nella stagione del Covid che, stando sempre alla ricerca, avrebbe costretto migliaia di giovanissimi a rimanere incollati agli schermi di pc, tablet e smartphone. Incidendo, complice anche una sorta di anonimato da tastiera, sulla condotta distorta dell’uso delle nuove tecnologie a danno dei soggetti più fragili. Da qui dunque la crescita dei casi di cyberbullismo.
Secondo l’associazione “Terre des Hommes”, il bullismo e Cyberbullismo rimangono una delle minacce più temute tra gli adolescenti, dopo droghe e violenza sessuale. Ne sarebbero vittima il 61% dei giovani. Il timore maggiore proviene dal “revenge porn”, e a terrorizzare sono soprattutto le ragazze. Un mondo di sopraffazioni “virtuali” che si trasformano però in vere e proprie trappole reali per chi le subisce.
Anche la Calabria, seppure in misura ridotta, sta registrando una recrudescenza del fenomeno. Secondo i dati raccolti nella XIV edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio, Save the Children stima che siano il 14,5% gli adolescenti vittime di episodi di cyberbullismo nella regione.
Ma quel che stupisce nella nuova edizione dell’associazione dal titolo emblematico “Tempi digitali”, è la presenza massiccia dei giovani calabresi – anche giovanissimi – davanti agli schermi dei telefonini. Se in Italia il 65,9% usa lo smartphone tutti i giorni, in Calabria la percentuale sale al 71%.
In gran parte per viaggiare su internet visto che è il principale mezzo per navigare in rete. Oltre 7 bambini ed adolescenti calabresi su dieci (esattamente il 71,3%) nell’età compresa tra i 6 e i 17 anni utilizza internet tutti i giorni. Un dato che se incrociato a quello dell’uso distorto dei social media, dimostra la pericolosità del viaggiare in rete in una fascia di età giovanissima.
Infatti i dati raccolti da Save the Children, indicano che il 14,9% di ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 15 anni, mostrano un uso problematico delle reti sociali. Un dato che pone la regione al secondo posto in assoluto in un Paese dove la media tra gli adolescenti che hanno riscontrato problemi a seguito dell’utilizzo della rete è pari al 13,5%. Numeri che dovrebbero portare a far riflettere famiglie ed istituzioni nell’alzare il livello di attenzione sui disagi che stanno alla base spesso, di comportamenti distorsivi e lesivi degli altri.
È la sistematicitàdegli attacchi la caratteristica principale del cyberbullismo. Un fenomeno che per Angela Costabile, professore ordinario di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione all’Unical, può divenire «un incubo silenzioso» per chi lo subisce. La docente dell’Università della Calabria, punta il dito contro chi assiste in silenzio agli episodi e così facendo «diventa “complice” del cyberbullo».
Professoressa, il cyberbullismo sta coinvolgendo anche la Calabria. A che punto è lo studio del fenomeno nella regione?
«Il cyberbullismo è un fenomeno del quale ci stiamo occupando da circa 15 anni. Abbiamo iniziato a livello europeo con colleghe e colleghi con i quali avevamo già avviato ricerche e interventi sul bullismo. In quel periodo i cellulari erano diffusi per lo più intorno all’età adolescenziale e i danni maggiori riguardavano la presa in giro “sistematica”, per esempio di aspetti fisici o caratteristiche individuali, l’impersonation (cioè assumere l’identità dell’altro) o anche foto che potevano creare imbarazzo. Oltre a raccogliere dati per conoscere il fenomeno abbiamo collaborato con la Polizia (che allora si chiamava delle Poste e Telecomunicazioni) con la quale abbiamo tenuto seminari soprattutto nelle scuole secondarie di II grado e anche in Università per iniziare a sensibilizzare sui rischi del fenomeno e sul fatto che chi si rendeva protagonista poteva avere implicazioni penali. In quei primi anni abbiamo collaborato molto con le scuole (anche a livello nazionale) e creato quindi attività di formazione per insegnanti. Intanto si sono verificati anche in Italia fenomeni molto gravi quali suicidi o situazioni di forte disagio come risultato di azioni di cyberbullismo tanto da arrivare all’emanazione di una legge ad hoc per tutelare le vittime».
Dal vostro osservatorio, ci sono delle caratteristiche diverse in Calabria rispetto ad altre parti d’Italia?
«Per l’esperienza maturata già con il bullismo e poi con il cyberbullismo i fenomeni hanno dappertutto (e abbiamo anche la comparazione con altre nazioni) le stesse caratteristiche, una delle quali è la sistematicità. Non si tratta infatti di un singolo episodio di prevaricazione in presenza o online ma di continui e ripetuti attacchi. Nel caso del cyberbullismo poi il tutto avviene in qualunque luogo e momento della giornata (e della notte), davvero un incubo silenzioso e raggiunge in pochi secondi moltissime persone».
I dati di Save the Children indicano che ad essere prese di mira sono soprattutto le ragazzine. Dunque vi è sempre una componente di violenza di genere?
«Quanto evidenziato nei dati recenti rientra in fenomeni attivi da qualche anno come il sexting sui quali si ha al momento la massima attenzione perché intanto coinvolgono persone sempre più giovani (da 14-16 anni di qualche anno anni fa agli 11-12 anni oggi) e manifestano linguaggi e azioni molto aggressivi e spesso caratterizzate da sessismo».
Spesso questo fenomeno avviene all’interno delle scuole tra compagni. Come giustificare questa caratteristica?
«Il fenomeno in ogni caso (anche il bullismo) riguarda un sistema di relazioni (patologico, asimmetrico) tra persone che si conoscono in molti casi. A questo proposito l’attenzione va focalizzata sui cosiddetti spettatori, infatti i dati mostrano che in un gruppo bullo (o bulla) possono essere 1-2, vittime 3-4 e il resto rimane “a guardare” o a supportare il bullo. Nell’online si va oltre perché si condivide e si diventa quindi “complici” del cyberbullo. Ciò però non è per nulla chiaro per tanti giovani ma anche per gli adulti».
La diffusione di telefonini anche nella fascia di giovanissimi, può facilitare un corretto uso delle tecnologie e una sua distorsione?
«Sono stati pubblicati da poco i primi dati sugli effetti dell’uso di schermi nei primi anni di vita e dovrebbero produrre una riflessione ampia tra gli adulti. La passivizzazione prodotta dagli schermi determina una deprivazione sensoriale evidente anche dalle immagini del cervello. In uno studio condotto su bambini in età prescolare, chi utilizzava a lungo gli schermi aveva punteggi più bassi in abilità linguistiche e in genere in abilità cognitive».
Cosa è possibile fare per prevenire fenomeni come questi che sono devastanti per le vittime?
«In prima istanza anche in base a quanto detto prima l’uso dei cellulari o tablet deve avvenire non prima di un certo livello di età. Gli anni prescolari ma anche quelli della scuola primaria sono dedicati a esplorazione, conoscenze del mondo e curiosità. Inoltre noi come adulti dobbiamo attivare meccanismi di controllo: che uso, figli e allievi fanno dei media. Sappiamo realmente quanto tempo trascorrono davanti agli schermi o sui social e che materiale producono o si scambiano?».
E quale ruolo può esercitare la scuola?
«Molto spesso gli insegnanti sono gli adulti che, per vari motivi (come corsi, seminari incontri con esperti), hanno maggiore conoscenza reale dei media e del loro uso e abuso. Per questo possono pertanto aiutare gli altri adulti (genitori) a muoversi verso la consapevolezza ed un uso “critico” e adeguato, non patologico, dei media per loro e per i loro figli. L’istituzione scolastica inoltre, come già detto per il bullismo, avvia campagne di sensibilizzazione sul cyberbullismo perché, ci tengo a sottolinearlo, il lavoro più importante, deve riguardare gli “spettatori”. Cioè chi realmente può aiutare la vittima ad uscire da questa situazione drammatica». (r.desanto@corrierecal.it)
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