Jannik Sinner, l’eroe italiano del tennis, non è mai stato tanto legato alla Calabria come negli ultimi giorni. I motivi sono misteriosi e per certi versi imprevedibili. A unire per prima il suo nome alla nostra regione è stata la sindaca di San Giovanni in Fiore – nonché presidente Anci Calabria e della provincia di Cosenza – Rosaria Succurro, che, “così, de botto, senza senso”, nella serata del 19 novembre scorso ha offerto al giovane talento altoatesino la cittadinanza onoraria della sua città. La notizia ha sbalordito non poco, più che altro per il paragone, apparso ai più azzardato, tra Sinner e l’abate e teologo Gioacchino da Fiore. Una esternazione finita di diritto nella rubrica di satira del Sole 24 ore “Cattivissimo lui“, di Francesco Prisco che si è chiesto «Cosa c’entra Sinner con la Calabria?».
Nell’attesa di trovare una risposta definitiva al dilemma Sinner-Gioacchino, ci ha pensato Vincenzo Vivarini a riproporre il paragone, stavolta meno pretenzioso, tra il tennista dai capelli rossi e un pezzo di Calabria, precisamente il suo Catanzaro che ieri ha battuto il Cosenza nel derby del pallone più sentito a queste latitudini. «Voglio una squadra alla Sinner, concentrata e dal sangue freddo», aveva affermato alla vigilia del confronto tra due realtà da sempre rivali e diverse nelle ideologie. E proprio mentre l’Italia di Sinner iniziava la sua scalata alla conquista della Coppa Davis dopo 47 anni di attesa, il Catanzaro costruiva la sua scaltra strategia per sconvolgere i piani del Cosenza. La partita, che si giudichi da destra o da sinistra, non ha brillato. I due gol arrivati in apertura dei due tempi, hanno destabilizzato non poco i ragazzi di Fabio Caserta che, però, almeno dopo il vantaggio di Iemmello (attaccante-tifoso che, esultando alla Totti – “Vi ho purgato ancora” sulla maglietta – sotto la curva dei sostenitori rossoblù, ha confermato il suo odio viscerale nei loro confronti), hanno provato a reagire tramite il palleggio. Arma, questa, che invece ha messo un po’ da parte la squadra di Vivarini, furba nell’attuale una strategia meno arrembante e spettacolare del solito, ma più equilibrata. E, forse, è stata proprio questa la svolta dell’incontro: chi, da aspettative iniziali, doveva fare gioco, ha lasciato l’iniziativa agli avversari, per poi colpirli di rimessa. Il fatto è che i Lupi, palo di Tutino a parte che avrebbe potuto riaprire la partita, non sono riusciti a rendersi mai, o quasi mai, pericolosi. Ha vinto, dunque, il “sangue freddo” delle Aquile, proprio come chiedeva Vivarini. Per il resto rimane il rammarico per ciò che sugli spalti poteva essere e non è stato: alla coreografia, come da tradizione sfottente, e al calore dei sostenitori giallorossi, i tifosi cosentini hanno replicato, causa restrizioni imposte dalla Prefettura, non proprio ad armi pari. L’ennesima occasione sprecata per offrire alla Calabria un derby meno incatenato e dal sapore antico. Sarà per la prossima volta, forse.
L’amarezza (ai limiti del surreale) finale è dedicata ai due tifosi della Vibonese aggrediti da un gruppo di sostenitori catanzaresi a pochi passi dallo stadio. Stavano dirigendosi in auto al “Ceravolo” per assistere al derby quando sono stati letteralmente presi d’assalto dalla furia giallorossa che ha scambiato la sciarpa rossoblù della Vibonese che esponevano sul parabrezza, con quella del Cosenza. Sono finiti al pronto soccorso con qualche lieve ferita, mentre il mezzo sul quale viaggiavano “spediti” ha subito qualche danno in più. (f.v.)
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