REGGIO CALABRIA «Lo ammazzo io, non mi interessa se non raccoglie i soldi». «”Ah così vai avanti, mi devi dare altri 480 entro domani, entro venerdì”. Senti mi ha detto: “ah non mi fare seccare ah sennò ti prendo il negozio” mi ha detto». Calcoli e minacce nelle carte dell’inchiesta “Garden” della Dda di Reggio Calabria, che ha portato all’arresto di 27 persone. Sono diverse le conversazioni captate dagli investigatori nelle quali si fa riferimento ai prestiti di denaro che la cosca Borghetto-Latella elargiva a imprenditori che finivano così nella rete dell’usura. Un vero e proprio sistema – scrive il gip – «utilizzato al fine di rimpinguare le casse associative e implementare la forza economica della cosca». In un caso specifico protagonisti in una conversazione che diventa molto accesa sono Paolo e Angelo Latella, padre e figlio, e Gino Borghetto, «tutti insieme discettavano sui prestiti di denaro effettuati e sugli interessi reclamati come fosse un affare comune a tutti e di interesse collettivo è la ulteriore riprova della circostanza che anche le condotte di usura», come peraltro sostenuto da diversi collaboratori di giustizia, «fossero un terreno di operatività della cosca e poste in essere al fine di favorirne resistenza e la forza economica».
In un caso specifico, come emerge nelle carte dell’inchiesta, oggetto delle conversazioni tra i Latella e Borghetto è un imprenditore che continua ad essere vessato con prestiti usurari. Nel caso di specie – scrive il gip – «la natura usuraria degli interessi, oltre che emergente dal condivisibile calcolo effettuato dagli inquirenti e di cui sopra si è detto, emerge in modo lapalissiano». A fronte della dazione di novantamila euro nel dicembre 2019, Angelo e Paolo Latella «pretendevano interessi e vantaggi usurari per 36mila euro. Capitale ed interessi/vantaggi avrebbero dovuto essere restituiti in tre tranches, di cui la prima, trentamila euro, da versare nel mese di aprile, la seconda, dell’importo di trentaseimila euro, da versare nel mese di giugno e la terza, di trentamila euro, da versare nel mese di agosto oltre alla consegna di un’autovettura di valore almeno pari a trentamila euro». A Gino Borghetto, che allo stesso imprenditore aveva prestato, la somma di trentamila euro dovevano essere restituiti «con interessi, pari a cinquemila euro, in appena tre mesi con un importo di tremila euro a settimana. Un vero e proprio sistema – sottolineai il gip – «ai quali erano stabilmente dediti i Latella e Gino Borghetto», che utilizzavano l’indotto dell’usura».
Come emerge dalla conversazione, l’imprenditore vittima del sistema avrebbe dovuto corrispondere ai Latella anche un’auto. Ma i toni, dopo i ritardi nella restituzione del denaro, si accendono. Il richiamo alla pazienza – invocata da Borghetto – innervosiva Angelo Latella che rivendicava l’oggetto dell’accordo: «Ma ti devi rendere conto pure che lui mi doveva regalare la macchina inc i soldi in una volta…», ipotizzando, in modo provocatorio, di chiedergli il doppio del capitale in virtù del ritardo accumulato: «Mi deve ritornare il doppio, perché io quei soldi li investivo, e li raddoppiavo». Nel mentre Borghetto tentava di rasserenare il nipote, evidenziando come il tasso di interesse applicato fosse pari al 20% atteso che prevedeva, oltre alla consegna immediata della somma di 30mila, l’applicazione degli interessi sull’importo restante di 60mila euro e, come regalo, la dazione di un’autovettura:
BORGHETTO Eugenio: vedi che il 20 (venti) il tasso è giusto… quindi quando volete voi…
LATELLA Paolo: E ora ti dico una cosa…
BORGHETTO Eugenio: E’ come ti dico io, lui ti dà 30 (Trenta)…
LATELLA Angelo: Eh…
BORGHETTO Eugenio: Giusto? Poi ti deve dare gli interessi di 60 (Sessanta), hai capito? Più la macchina:, la macchina lasciala inc…
Nonostante le rassicurazioni dello zio, l’insofferenza di Angelo Latella per il ritardo aumenta, ed è qui che si palesano i propositi ritorsivi verso l’imprenditore: «Lo ammazzo io, non mi interessa se non raccoglie i soldi… (…) Si, zio, allora qua non è il fatto di dare, di non dare soldi, qua è allora non, essendo che non, uno non lo affoga, non lo ammazza, (…) Non gli taglia un braccio, non gli taglia una gamba, allora senti una cosa, come vuoi fare? In quanto me li vuoi tornare questi soldi?» dice Angelo Latella. E più tardi il padre, Paolo Latella aggiunge: «Allora lo devo affogare?». (redazione@corrierecal.it)
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