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L’intervista

Lavoro sommerso, Marino: «In Calabria c’è complicità dei clan»

Oltre un quinto dei lavoratori sono in nero. Così l’economia si “regge” anche sull’occupazione irregolare. Il docente: «È fattore quasi strutturale»

Pubblicato il: 28/11/2023 – 11:49
di Roberto De Santo
Lavoro sommerso, Marino: «In Calabria c’è complicità dei clan»

REGGIO CALABRIA In una regione record per lavoratori irregolari e dove conseguentemente il peso dell’evasione contributiva è massima, la lotta al “nero” diviene strategica in Calabria per il sistema economico complessivo. Contribuendo da un verso alla crescita della ricchezza diffusa e dall’altra alla tenuta dei conti previdenziali che si trasformeranno – in futuro – in redditi pensionistici. Incrementando così la capacità di spesa delle famiglie calabresi erosa dall’impennata dei prezzi di beni e servizi di prima necessità e dalle fiammate inflazionistiche che hanno colpito pesantemente i loro redditi.
I numeri infatti indicano che la Calabria continua a detenere la maglia nera per lavoratori irregolari. Stando ai dati dell’Istat, infatti oltre due persone su dieci sono dipendenti fantasma. Un dato, ben 9 punti in più della media nazionale. Così come, il peso dell’economia sommersa dovuta all’impiego di lavoro irregolare: con l’8,3% la Calabria detiene il dato record in Italia. Numeri che dimostrano plasticamente come quella del contrasto al lavoro nero debba divenire una priorità immediata nelle strategie di politica economica. Non solo per ripristinare principi di legalità, ma per rilanciare l’economia dai fondamentali. Ne è convinto anche Domenico Marino, professore ordinario di Politica economica all’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria. Secondo il quale il fenomeno del lavoro irregolare sarebbe spinto anche dalla criminalità organizzata. 

In Calabria si concentra quasi il 4% dei lavoratori irregolari in Italia (Fonte. Mef)

Professore, a cosa è dovuto l’alto tasso di lavoro nero che si registra in Calabria?
«
L’alto tasso di lavoro nero in Calabria costituisce un grave problema e un vincolo allo sviluppo ed è causato dalla sinergia negativa di più fattori: una forte economia informale radicata, un’ elevata disoccupazione, la debolezza delle istituzioni e l’influenza della criminalità organizzata. Infatti, la presenza dell’economia informale in Calabria è una pratica storica, dove le attività non regolamentate e non dichiarate al governo sono non solo tollerate, ma addirittura riconosciute come meritorie nella mentalità degli agenti economici e, pertanto, difficili da cambiare. La regione soffre di uno dei tassi di disoccupazione più alti in Italia, spingendo molti a cercare lavoro in nero come unica soluzione per sopravvivere. Questa situazione è aggravata dalla presenza e dal controllo del territorio da parte di organizzazioni criminali, che possono influenzare l’economia locale e incoraggiare pratiche illegali come il lavoro nero. Inoltre, la debolezza delle istituzioni statali che si manifesta nella scarsa applicazione delle normative sul lavoro e nell’alto tasso di evasione fiscale genera un sistema di convenienze nell’operare nell’economia informale, contribuendo a perpetuare questo problema. In alcune aree della Calabria, lavorare senza contratto oppure evadendo le tasse è considerato normale, se non necessario, date le difficoltà economiche generali. Questi fattori, insieme a sfide come la bassa crescita economica e un sistema educativo e di formazione professionale inadeguato, alimentano il persistente problema del lavoro nero in questa regione».

Uno dei settori più interessati al lavoro nero è l’agricoltura

Il fenomeno è talmente diffuso in Calabria da considerarlo quasi strutturale del sistema produttivo. Come se fosse necessario per garantire la sostenibilità economica delle imprese calabresi. C’è una connivenza da parte degli imprenditori?
«Sì, vero. Il lavoro nero in Calabria può essere visto quasi come un elemento strutturale del sistema produttivo, quasi fosse necessario per mantenere la sostenibilità economica delle imprese locali. Questo fatto non solo riflette la difficile situazione economica e occupazionale della regione, ma suggerisce anche un certo grado di accondiscendenza da parte degli imprenditori. In un contesto dove le opportunità di lavoro regolare sono limitate e la pressione economica è alta, le imprese possono ricorrere al lavoro nero come un modo per ridurre i costi e sopravvivere in un mercato competitivo. Questa pratica può essere vista come una risposta pragmatica, sia pure illegale, alle sfide economiche, soprattutto tenendo conto della forte presenza di economia non regolare. Una debole efficacia delle norme repressive e la mancanza di incentivi per regolarizzare il lavoro contribuiscono a rendere il lavoro nero una pratica diffusa e quasi fisiologica per molte imprese in Calabria».

Ma c’è anche il silenzio dei lavoratori. Sono vittima di un mercato del lavoro che non offre altre possibilità?
«Il silenzio dei lavoratori in Calabria, specialmente dei migranti impiegati nel lavoro nero, è abbastanza comprensibile perché riflette la loro vulnerabilità in un mercato del lavoro asfittico e difficile. Molti di questi lavoratori si trovano intrappolati in un sistema dove le alternative legali e sicure sono scarse o impossibili da ottenere a causa della loro condizione di irregolari. Ma non solo i migranti, anche i lavoratori calabresi spesso accettano lavori in nero non per scelta, ma per necessità, a causa della mancanza di opportunità lavorative regolari. Il silenzio può essere interpretato come una conseguenza della rassegnazione che deriva dall’accettazione forzata della realtà, poiché parlare o denunciare le condizioni di lavoro irregolari potrebbe comportare la perdita del lavoro stesso, senza la prospettiva di trovare alternative migliori. Inoltre, la paura di ritorsioni, soprattutto in un contesto dove la criminalità organizzata può avere un’influenza significativa, contribuisce a mantenere i lavoratori in uno stato di silenzio. Per i migranti, la situazione è ulteriormente complicata dalla loro posizione legale e dalla possibile mancanza di una rete di supporto sociale. La paura di essere espulsi o di perdere il permesso di soggiorno può impedire loro di rivendicare i propri diritti o di cercare aiuto. In questo scenario, il silenzio dei lavoratori diventa una testimonianza della loro vulnerabilità e della necessità di un cambiamento strutturale nel mercato del lavoro in Calabria per garantire opportunità e protezioni adeguate a tutti».

I controlli sui posti di lavoro restano il vero tallone d’Achille del sistema di contrasto al sommerso

Alla base della difficoltà a ridurre il fenomeno, ci sono solo l’esiguità dei controlli?
«La difficoltà nel ridurre il fenomeno del lavoro nero in Calabria non è attribuibile unicamente a scarsi controlli, anche se questi giocano un ruolo significativo. L’approccio nei confronti del lavoro nero e/o sommerso scivola da derive repressive a momenti di buonismo in cui viene presentato quasi come fisiologico al sistema economico. La distinzione precedentemente fatta fra sommerso di necessità e sommerso di sfruttamento e di convenienza deve essere tenuta presente. L’impresa familiare che non registra un collaboratore compie sicuramente un’azione illegale, tuttavia la mera repressione avrà in questo caso il solo risultato di far morire l’impresa. Questa impresa va piuttosto aiutata a seguire un percorso di regolarizzazione. Diversa è la situazione in cui il sommerso viene trasformato in sistema e diventa uno strumento intollerabile di oppressione sociale e dumping sociale nei confronti di quegli imprenditori che rispettano i diritti sociali e le regole del mercato. Esso assume il volto becero del caporalato, dello sfruttamento degli extracomunitari irregolari, delle morti bianche. In questo caso la risposta repressiva forte dello Stato è l’unica forma di intervento possibile e necessaria».

Fonte: Istat

Dunque c’è dell’altro?
«La questione della riduzione del sommerso è più complessa e radicata ed è influenzata da una serie di fattori interconnessi. Ad iniziare da un fattore culturale. La Calabria, in questo senso ha una lunga storia di economia informale e il lavoro nero è spesso visto come una parte normale dell’economia locale. Cambiare questa percezione culturale richiede tempo e sforzi significativi. Inoltre c’è un contesto di povertà e disoccupazione diffuso. Con questo quadro molte persone si rivolgono al lavoro nero come unica fonte di reddito. Senza alternative economiche valide, è difficile eliminare questa pratica. C’è anche da considerare la presenza di organizzazioni criminali che può influenzare le attività economiche locali, compreso il lavoro nero. Queste organizzazioni possono ostacolare gli sforzi di regolamentazione e controllo. E poi oltre ai controlli insufficienti, c’è anche un problema di efficacia e capacità delle istituzioni di far rispettare le leggi e di offrire alternative economiche e occupazionali. Senza contare che la burocrazia e i costi elevati associati all’assunzione legale possono scoraggiare gli imprenditori dall’assumere legalmente, preferendo il lavoro nero. E non per ultimo la bassa percezione del rischio di essere scoperti e delle conseguenze: sia i datori di lavoro, che i lavoratori possono essere più propensi a ricorrere al lavoro nero. La riduzione del lavoro nero in Calabria richiede un approccio olistico che affronti non solo l’aspetto dei controlli, ma anche le cause socioeconomiche, culturali e istituzionali che stanno alla base del fenomeno».


Quali misure dovrebbero essere attivate per contrastare efficacemente il lavoro nero che diviene anche essenziale per il recupero dei contributi previdenziali?
«Per contrastare efficacemente il lavoro nero in Calabria è fondamentale rafforzare i controlli e le ispezioni del lavoro, assicurando che siano frequenti, efficaci e ben mirati. Questo dovrebbe andare di pari passo con un incremento delle sanzioni per i datori di lavoro che impiegano lavoratori in nero, rendendo il rischio di tale pratica più alto rispetto ai benefici percepiti. Parallelamente, è importante migliorare l’accesso all’istruzione e alla formazione professionale, fornendo ai lavoratori le competenze necessarie per accedere a posti di lavoro regolari e di qualità. Si dovrebbero anche implementare politiche di incentivi per le imprese che assumono legalmente, come riduzioni fiscali o contributive, per rendere più conveniente l’assunzione regolare. Infine, per affrontare il problema alla radice, è necessario stimolare la crescita economica e creare più opportunità di lavoro regolare. Questo richiede investimenti, politiche tese a incentivare lo sviluppo economico e aumentare l’attrattività della regione per nuove imprese e un impegno coordinato e sostenuto nel tempo per cambiare, per promuovere un mercato del lavoro più equo e trasparente».

E la Regione può attivare iniziative?
«La Regione potrebbe avere la capacità di attivare diverse iniziative per contrastare il lavoro nero. Una strategia efficace potrebbe concentrarsi sul rafforzamento dell’economia regionale, creando un ambiente più favorevole per il lavoro regolare. Questo può includere il sostegno allo sviluppo di settori emergenti e la promozione dell’imprenditorialità, specialmente tra i giovani e le categorie più vulnerabili. Un altro aspetto fondamentale è l’investimento in formazione e istruzione. Programmi di formazione mirati possono dotare i lavoratori con le competenze richieste dal mercato del lavoro, aumentando la loro adattabilità. La Regione potrebbe anche lavorare per migliorare l’accesso e la qualità dell’istruzione, specialmente nelle aree più svantaggiate, per garantire che i giovani abbiano le competenze necessarie per entrare in un mercato del lavoro competitivo. Dovrebbe, inoltre, intensificare i controlli e applicare rigorosamente le normative esistenti con l’accompagnamento di campagne di sensibilizzazione per educare sia i datori di lavoro che i lavoratori sui rischi del lavoro sommerso e sui benefici del lavoro regolare. La Regione potrebbe anche implementare politiche di incentivi per le aziende che assumono in maniera regolare, come sussidi o agevolazioni fiscali, per rendere l’assunzione regolare più conveniente. Infine, è importante che la Regione lavori in sinergia attivando la concertazione con le organizzazioni sindacali, le associazioni di categoria e le altre istituzioni per creare un fronte unito contro il lavoro non regolare. Il contrasto al lavoro sommerso include anche il sostegno a programmi di integrazione per i lavoratori migranti, assicurando che abbiano accesso a opportunità di lavoro dignitose e legali. Attraverso un mix sinergico di politiche economiche, educative, legislative e di concertazione, la Regione può svolgere un ruolo cruciale nel ridurre il fenomeno del lavoro sommerso e promuovere un mercato del lavoro più equo, più sostenibile e più degno». (r.desanto@corrierecal.it)

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