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Processo “Rimpiazzo”, gli incroci tra il pentito Raffaele Moscato e Domenico Maduli

Conclusa la requisitoria del procuratore generale Amorosi nel processo d’Appello. Ecco le richieste

Pubblicato il: 28/11/2023 – 16:47
di Paola Militano
Processo “Rimpiazzo”, gli incroci tra il pentito Raffaele Moscato e Domenico Maduli

VIBO VALENTIA «Signor Moscato, lei conosce bene, Maduli Domenico? Si ricorda se si è mai recato da Maduli per chiedergli di cambiare alcuni assegni?», «Si, Dottore». Il collaboratore di giustizia, Raffaele Moscato – sollecitato dalle domande di Roberto Amorosi, sostituto procuratore generale di Catanzaro – conferma di conoscere il titolare di Pubbliemme (oggi Diemmecom) ed editore del gruppo LaC. Non solo, sostiene di essere entrato in contatto con l’imprenditore vibonese.
In aula, il 13 novembre 2023 nel processo scaturito dall’operazione “Rimpiazzo” celebrato in Corte d’Appello a Catanzaro che vede tra gli imputati anche Nicola Barba «persona vicina» a Maduli, il collaboratore ripercorre i fatti accaduti in relazione al presunto incontro con l’imprenditore vibonese. Che nel procedimento è parte civile.
Raffaele Moscato, ex killer del clan dei “Piscopisani”, collabora con la giustizia dal marzo del 2015. Ai magistrati ha confessato di aver commesso numerosi reati: «gambizzazioni, rapine, estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, omicidi e tentati omicidi».

Il racconto del pentito

«In pratica è stata venduta una macchina (…) dal momento che Rosario Fiorillo era stato tratto in arresto per un’estorsione (…) aveva mandato imbasciata di vendere questa macchina, che era si trattava di un Porsche 4S. Ha venduto questa macchina ad un professore credo di San Gregorio d’Ippona e gli ha fatto cinque assegni di 10 mila euro l’uno postdatati». Il racconto prosegue. «Uno di questi assegni è capitato a me dicendomi di andare da Mimmo Maduli, a Vibo Marina, e di favorirci a cambiare questo assegno, in quanto pure Rosario Fiorillo si trovava detenuto e quindi ci servivano i soldi, di favorirci di cambiarci questo assegno».
La circostanza era stata anche cristallizzata, nel corso di una conferenza stampa datata 9 aprile 2019, dall’allora capo della Squadra mobile di Vibo Valentia Giorgio Grasso: impegnato ad illustrare i dettagli dell’operazione “Rimpiazzo” della Dda di Catanzaro. Grasso si sofferma sulla sfrontatezza del clan dei Piscopisani. «L’imprenditore Maduli era vittima di estorsione dai Mancuso, da Pantaleone “Scarpuni”. Ad un certo punto un esponente dei Piscopisani chiede a Maduli il cambio di un assegno di 10mila euro provento della vendita di un’auto. Maduli rifiuta di cambiare questi soldi ritenendo di essere protetto dai Mancuso». Alcuni dei Piscopisani incontrano – quello che Grasso definisce «il socio di Maduli», cioè Nicola Barba – «lo schiaffeggiano e lo convincono a chiedere a Maduli il cambio di questi soldi facendogli credere che fossero per i Mancuso. In realtà – ha aggiunto Grasso – quei soldi sono andati ai Piscopisani. Da quel momento Maduli ha pagato i Piscopisani e dopo i primi 10mila euro ci sono stati anche altri 5mila euro».
Tornando al racconto in aula, Moscato sostiene di conoscere Nicola Barba e conferma i rapporti di quest’ultimo con Maduli. «Barba Nicola era vicino a Maduli in quel periodo che c’ero io e…si diceva pure in giro che era anche socio di Maduli in quanto lo proteggeva pure da… da eventuali criminali che si avvicinavano o se la faceva con Maduli praticamente in quel periodo Barba Nicola su Vibo Marina». Sul punto l’avvocato di Nicola Barba, Diego Brancia, chiede delucidazioni sulla protezione criminale e Moscato conferma: «(..)uno può pure pensare questo se succede qualcosa, che mi vogliono estorcere i soldi, di qua e di la, può intervenire Nicola Barba». Il legale insiste sul punto e chiede al teste di essere più specifico. Questa la risposta di Moscato: «Allora, praticamente Barba Nicola non nasce imprenditore, non nasce che ha un’agenzia di pubblicità importante su tutto il livello internazionale, Barba Nicola era uno della famiglia Barba di Vibo che facevano usura, estorsioni ed erano legati al clan Lo Bianco da anni e anni e anni! Un Maduli penso che a Barba Nicola non se lo tiene perché è bello e perché ci ha i baffi! U Maduli si lu tiene che se ci ha qualche problema può utilizzare a Barba Nicola (…) Infatti I’estorsione che abbiamo preso sempre per tramite Barba Nicola I’abbiamo presa! Quindi il Maduli si è interfacciato sempre per questioni illegali con…Barba Nicola. Questa è la risposta».

«Va prendi i soldi da… da Maduli e portali qua»

L’escussione di Moscato prosegue e il sostituto Procuratore Generale chiede conto di presunte estorsioni perpetrate da Nicola Barba a Domenico Maduli. Si tratta dell’episodio citato, nel 2019, dall’allora capo della Mobile Grasso. «Praticamente Barba Nicola in un incontro, mi sembra che nellecampagne di Piscopio, non mi ricordo, che non voleva cedere per quanto riguarda I’estorsione; perché sono stati fatti pure dei danneggiamenti per Maduli. Ha preso pure due schiaffi da Francesco Scrugli e gli ha detto “Va prendi i soldi da… da Maduli e portali qua”, nel senso per fare I’estorsione, per chiuderla. Barba Nicola ha chiuso le estorsioni il periodo di Natale di 10 mila euro e li ha mandati al cugino Franco Barba, che all’epoca se non erro era ai domiciliari, agli arresti domiciliari. E quella sera, che era sotto Natale, sono andato io a prendere questi 10 mila euro da… da Franco Barba, che gli aveva portato il cugino Nicola Barba i soldi dell’estorsione di Mimmo Maduli, questi 10 mila euro. Si».
Anche in sede di controesame, sostenuto dall’avvocato Brancia, Moscato conferma l’episodio. «Mi ricordo me l’hanno raccontato il fatto degli schiaffi e che praticamente si doveva mettere a posto, nel senso che la doveva finire a dire di no a…Nel senso doveva ascoltare punto e basta». E l’avvocato: «Cioè Nicola Barba la doveva finire e dire di no del… per i soldi di Maduli? Il collaboratore di giustizia prende la parola: «Anche per… non si doveva mettere in mezzo per i soldi di Maduli, anche perché all’epoca, se non erro, avevano avuto pure problemi con Franco Barba, che sarebbe il cugino là con i Piscopisani, c’erano stati dei problemi pure con lui».
Il controesame prosegue e Moscato – sollecitato dal legale – ritorna sulla richiesta estorsiva perpetrata ai danni dell’imprenditore vibonese: «Io non mi sono rivolto a Nicola Barba personalmente in quanto era socio di Maduli in quanto era una persona vicina e doveva capire che Maduli aveva “u caccia i sordi”, questo era il ragionamento e il succo alla fine». Il legale di Barba sollecita il collaboratore a compiere un ulteriore flashback: Ricorda se poi questa somma venne concretamente consegnata e dove venne consegnata? «A casa di Franco Barba, consegnata da lui personalmente nelle mie mani». Ricorda se ci furono altre tranche di somme di denaro consegnate dal Maduli? Insiste il legale e Moscato: «D’estate a me mi aveva detto che non… non si erano fatti pagare su quanto riguarda le estorsioni di Maduli. Ci dovevano essere delle… dei periodi, a Natale, estate, Pasqua (…) Però mi ricordo che poi è arrivata l’estate e non… è andato Battaglia a parlare, una cosa del genere, con la fidanzata di Maduli, che mi sembra che era la figlia di Pippo Falduto, con Maduli stesso e si erano messi d’accordo, comunque avevano chiuso tutto… tutto senza estorsione e senza niente». Nella fase di controesame, l’avvocato chiede lumi sulla reazione di Maduli dinanzi alla richiesta estorsiva. Moscato cita un episodio. «Praticamente il periodo dell’assegno di Maduli (..) mi fa salire sul piano di sopra vado la e gli faccio: “Mimmo, mi manda Sarino e dice se ci puoi favorire in quanto Rosario è detenuto e ci servono pure per le spese per gli Avvocati, questo e quell’altro, che gli servono se gentilmente ci puoi cambiare ’sto assegno di 10 mila euro, che si è venduta la macchina solo che I’assegno è postdatato e se ci puoi favorire”. E Maduli avrebbe risposto: «Io assegni non gliene cambio, perché a loro non li voglio favorire; che se ti serve qualsiasi cosa a te, soldi o qualsiasi cosa (…) ti favorisco senza problemi». Il collaboratore si sofferma sulla reazione dell’imprenditore e sospetta della presenza di una microspia nel suo ufficio. «Nella mia testa ingenua subito ho pensato che c’era una microspia perché Maduli non mi poteva mai rispondere una cosa del genere, dice soldi non gliele do, questo e quell’altro, perché l’avrei buttato subito a mare, non era quello là il problema!». «Però l’ambasciata era arrivata che lui sosteneva che i soldi specialmente ai Piscopisani non li avrebbe sostenuti, perché diceva cosi. Questo qua era il succo dell’incontro e quindi non ci ha… non ci ha favorito quegli assegni».

La versione di Rosario Battaglia

Terminati l’esame e il controesame di Moscato, in aula chiede di prendere la parola l’imputato Rosario Battaglia. Le sue, sono dichiarazioni spontanee. «Volevo dichiarare su quanto ha detto prima Moscato, fare dei chiarimenti su quello che ha detto la signora Falduto Maria Grazia che è stata sentita in primo grado a Vibo Valentia. Ecco, volevo fare dei chiarimenti». Il racconto si riferisce al presunto mancato pagamento di alcuni lavori eseguiti dallo zio di Battaglia negli uffici di Maduli. «Allora, la signora Falduto ha dichiarato che con me ha avuto soltanto un incontro e questo è vero. Lei allora dichiarò che eravamo io, Maduli, il compagno e la signora Falduto; invece ha omesso altre due persone che non le ha dette ed era il fratello della signora Falduto, Leonardo e mio zio Carnovale Rocco (…) Che aveva un… ha ancora tutt’oggi un’impresa di impianti elettrici. Negli anni il signor Maduli non ha pagato mio zio tutto il lavoro che era stato svolto ed era la somma di 16-17 mila euro; sono state portate anche le fatture in primo grado davanti al Tribunale di Vibo Valentia e la signora Falduto e il signor Maduli hanno omesso la presenza sia di mio zio Carnovale Rocco e sia di… il fratello, il cognato di Maduli. Quindi I’incontro c’è stato una sola volta con la signora Falduto, a parte il caffé che si prendevano tutti i giorni, che prendevamo tutti i giorni nel mio bar, a trenta metri di distanza dal loro ufficio, in primo grado hanno detto che non conoscono loro questo bar! Tanto è vero che questo incontro è stato per far avere i soldi a mio zio, che poi a tutt’oggi i soldi mio zio non l’ha avuti; L’incontro era solo per questo, non 10 mila euro, no estorsione, no qua e non altro!».

Le richieste della procura

Il filone ordinario del processo “Rimpiazzo”, celebrato in Appello, si avvia a conclusione. Al termine della requisitoria, il sostituto procuratore generale di Catanzaro Roberto Amorosi dinanzi alla Corte presieduta dal giudice Giancarlo Bianchi (a latere Maria Rosaria De Girolamo e Assunta Maiore) ha invocato reiterato le pene del processo in primo grado per i seguenti imputati: Nazzareno Colace (11 anni la richiesta), Giuseppe Lo Giudice(5 anni e 4 mesi), Michele Silvano Mazzeo (12 anni),Nazzareno Pannace (17 anni), Francesco Romano (17 anni); Giuseppe D’Angelo (15 anni), Ippolito Andrea Fortuna (9 anni), Giuseppe Brogna (12 anni), Angelo David (16 anni), Michele Rinaldo Emilio Staropoli (10 anni), Giuseppe Salvatore Galati (16 anni), Benito La Bella (20 anni), Francesco Felice (19 anni), Pantaleone Mancuso(12 anni), Domenico D’Angelo (12 anni), Francesco Popillo (17 anni), Nazzareno Galati (22 anni e 6 mesi), Pierluigi Sorrentino (17 anni), Rosario Battaglia (30 anni), Stefano Farfaglia(13 anni e 6 mesi).
Chieste le condanne anche per quegli imputati assolti dal Tribunale di Vibo, nel precedenze giudizio. Si tratta del finanziere Giovanni Tinelli (3 anni), Luigi Francesco Zuliani, (6 anni); Gianluca Rosario Tavella (8 anni); Annarita Tavella (2 anni); Simone Prestanicola (3 anni); Tommaso Lo Schiavo (4 anni);Michele Fortuna (10 anni e 10 mesi); Nicola Barba (8 anni); Francesco Tassone (16 anni); Raffaella Mantella (2 anni) e Maria Concetta Immacolata Fortuna 11 anni. Il sostituto procuratore generale ha rinunciato invece a proporre appello nei confronti di Mariano Natoli.

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