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il processo “reset”

Le «due anime» del crimine cosentino riunite in una Confederazione

La ricostruzione, in aula bunker, del maggiore dei carabinieri Giuseppe Sacco. «Attività di indagine partita dal procedimento Terra Bruciata»

Pubblicato il: 29/11/2023 – 13:47
di Fabio Benincasa
Le «due anime» del crimine cosentino riunite in una Confederazione

LAMEZIA TERME Nuova udienza del processo ordinario scaturito dall’inchiesta denominata “Reset” coordinata dalla Dda di Catanzaro contro la ‘ndrangheta cosentina. Nell’aula bunker di Lamezia Terme, dinanzi al tribunale di Cosenza in composizione collegiale (presidente Carmen Ciarcia) vengono escussi i testimoni dell’accusa, rappresentata in aula dai pm della Dda di Catanzaro Vito Valerio e Corrado Cubellotti.

Le due anime del crimine cosentino

Il primo ad essere escusso è il maggiore Giuseppe Sacco dell’Arma dei Carabinieri. «Erano in corso delle attività di indagine anche con la procura di Cosenza, sviluppate dai Carabinieri di Cosenza e dagli uomini della Guardia di Finanza di Cosenza, poi sono emersi elementi di legame con il crimine organizzato ed il fascicolo è passato alla Dda di Catanzaro», dice il teste. «Era stato preso in considerazione il “gruppo Porcaro“, dall’analisi di tutti gli elementi a disposizione è emersa una fotografia del quadro complessivo delle organizzazioni criminali su Cosenza e quindi una “Confederazione” tra più gruppi, con una suddivisione areale che faceva capo ad ogni referente». Secondo il maggiore sarebbero «due le anime, una degli “Italiani” con sottogruppi “Porcaro e D’Ambrosio” e una degli “Zingari” con la famiglia Abbruzzese».
Da quale procedimento è partita l’attività tecnica da voi svolta?, chiede il pm Cubellotti. Il teste fa riferimento al procedimento denominato “Terra Bruciata” «partito dalla procura di Cosenza nell’ottobre 2016 con le indagini delegate al comando carabinieri di Cosenza nord e alla Guardia di Finanza. Una indagine volta a contrastare il narcotraffico sia a Cosenza che nell’hinterland bruzio». I carabinieri nella loro attività tecnica hanno intercettato, tra gli altri, Gaetano Bartone, Francesco Greco, Attilio Mustica, Massimo Benvenuto e Roberto Porcaro» e poi quando il fascicolo è passato alla Dda sono stati intercettati anche Armando De Vuono, Daniele Monaco, Antonio Russo, Massimo Russo, Maria Sposato, Aurelia Braccioforte, Danilo Turboli, Alberto Turboli definito dal teste «luogotenente di Porcaro», Sergio La Canna».

I fratelli D’Ambrosio e i contatti con altri gruppi

Nelle indagini svolte, il maggiore cita i nomi di Massimo D’Ambrosio e Adolfo D’ambrosio «che avevano contatti con altri esponenti storici come Di Puppo, sulla base di questi elementi emersi il fascicolo è successivamente passato dalla procura di Cosenza alla Dda di Catanzaro». Di questo contatto aveva avuto modo di riferire, nella precedente udienza, il colonnello Raffaele Giovinazzo. «Furono accertati dei contatti con personaggi di spicco della criminalità organizzata che non erano attenzionati dall’Arma dei Carabinieri ma bensì dalla Polizia di Stato». Giovinazzo si riferisce a «Michele Di Puppo». A questo punto, il pm Cubellotti chiede al teste di soffermarsi sul gruppo D’Ambrosio. «Le indagini partono dall’esercizio abusivo del credito», mentre sui soggetti verticistici «Massimo D’Ambrosio è referente fino a quando resta in carcere Adolfo». Che lascerà il penitenziario dove era recluso fino al 13 luglio 2019. Lo stesso sarà intercettato qualche giorno dopo, il 22 luglio, mentre è a colloquio con Massimo D’Ambrosio e Ivan Montualdista e si parla di approvvigionamento di denaro». Ci sono stati accertamenti sui contatti tra i D’Ambrosio e referenti di altri clan? Chiede Cubellotti. «Si – risponde il teste – rapporti tra i gruppi D’Ambrosio e il gruppo Di Puppo». Questi presunti contatti sarebbero avvenuti in una fase successiva ad alcune intercettazioni captate dagli investigatori e con protagonisti Ivan Montualdista e soggetti del gruppo Di Puppo».

Roberto Porcaro, prima «delfino» di Patitucci e poi reggente del clan

Al teste viene chiesto di associare i soggetti gravitanti nell’orbita criminale cosentina ai vari gruppi della presunta Confederazione di ‘ndrangheta. Vengono citati alcuni episodi: «un tentativo di estorsione nei confronti di un bar ad opera di Francesco Greco, un tentativo estorsivo nei confronti di una ditta di Rende perpetrata da Francesco Greco e Armando De Vuono e poi attività di usura con protagonista Giuseppe Russo e una vicenda di un debito specifico nei confronti di Alberto Turboli, Sergio La Canna e Rosetta Falvo: circostanze dai quali noi ricaviamo la posizione verticistica di Roberto Porcaro, quale referente di questo gruppo». Non solo, secondo il maggiore Sacco lo stesso Porcaro «ha svolto un ruolo ben superiore, quale reggente del clan degli “Italiani”, mentre prima era considerato «delfino» di Francesco Patitucci». (redazione@corrierecal.it)


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