VIBO VALENTIA Regge in parte l’impianto accusatorio della Distrettuale antimafia di Catanzaro nel processo “Petrolmafie”, nato dall’inchiesta omonima, nota anche come “Rinascita 2” per via dell’importanza strategica della lotta alla criminalità organizzata. Un verdetto, quello emesso dal Tribunale collegiale di Vibo Valentia (Gianfranco Grillone presidente, Laerte Conti e Alessio Maccarrone i giudici) che soddisfa in parte l’accusa. A sancirlo sono i numeri: sulle 59 richieste di condanne avanzate dai pm della distrettuale antimafia Andrea Mancuso, Antonio De Bernardo e Andrea Buzzelli nella requisitoria, sono in tutto 35 quelle condivise dai giudici mentre le assoluzioni sono 23. In alcuni casi anche pesanti.
A reggere sono soprattutto le accuse nei confronti del boss indiscusso della ‘ndrangheta vibonese, Luigi Mancuso, già coinvolto in “Rinascita-Scott”. Trent’anni inflitte allo “Zio Luigi” così come per l’imprenditore, Giuseppe D’Amico. Il suo nome salta fuori durante l’indagine dei Carabinieri del Ros mentre intercettano Pietro Giamborino, imputato nel processo “Rinascita-Scott” e condannato a 1 anno e 6 mesi di reclusione. Seguendo lui, infatti, i militari arrivano all’imprenditore di Piscopio tra quelli indicati dal collaboratore di giustizia, Raffaele Moscato, quali «ditte compiacenti» che beneficiavano dell’«aggiudicazione di lavori ad imprenditori vicini ai Piscopisani» e che «poi pagavano la mazzetta ai Piscopisani dopo aver chiuso i lavori».
Giuseppe D’Amico è fratello di Antonio, condannato oggi a 18 anni e 10 mesi di reclusione. Il primo è il genero di Francesco D’Angelo, detto “Cicciu a Mmaculata”, chiamato in causa da svariati collaboratori di giustizia in qualità di “vecchio capo locale di Piscopio”. Il secondo, invece, ha sposato una Gallace, figlia di Salvatore Gallace, assassinato a marzo del 1993, e sorella di Francesco Gallace, assassinato a ottobre del 2003 nella cosiddetta “strage dell’Ariola”, uno dei vari episodi omicidiari che caratterizzarono la cruenta contrapposizione tra la cosca Loielo e la cosca Maiolo per l’ottenimento del predominio nelle serre vibonesi. Raffaele Moscato racconta che Giuseppe D’Amico era ben inserito in un sistema di controllo, da parte delle cosche, dei lavori pubblici presenti sul territorio. Legato ai Piscopisani forniva loro regalie di vario genere: fornitura gratuita di gas e carburante; prestito di somme di denaro, che in alcuni casi non veniva restituito; prestito di autovetture, utilizzate anche per commettere reati; regali di orologi di valore. Non solo. Avrebbe anche investito 50mila euro per acquistare, unitamente ad accoscati dei Piscopisani, una partita di 10 chili di cocaina, oltre a fornire la propria auto per trasportare droga in Sicilia.
Cugino degli imprenditori D’Amico è Salvatore Solano, ex presidente della Provincia di Vibo Valentia e sindaco di Stefanaconi. Secondo la Dda di Catanzaro, Solano avrebbe «beneficiato dell’endorsement dei cugini, in particolare di Pino D’Amico, impegnato a procacciare voti per il cugino Solano nei Comuni di Vibo Valentia, Capistrano, Filandari, Francica, San Nicola da Crissa e Tropea». I giudici di Vibo hanno escluso l’associazione mafiosa del sindaco di Stefanaconi, condannandolo solo ad un anno ma con pena sospesa oltre ad una multa di 50 euro. Ridimensionata, rispetto alla richiesta della Dda, la pena per Francesco Mancuso: 10 anni e 2 mesi sui 24 chiesti dall’accusa. Così come per Silvana Mancuso, condannata a 12 anni e due mesi sui 25 richiesti.
Smontato, infine, il castello accusatorio nei confronti dei due presunti broker: Francesco Porretta e Irina Paduret, assolti entrambi nonostante i 16 anni richiesti dai pm. La prima, classe ’86 della Moldavia, il secondo classe ’76 di Milano. Entrambi erano accusati di essere una broker operante nel territorio milanese, legati ad Antonio Prenesti – condannato oggi a 15 anni – e in contatto con Giuseppe D’Amico, Luigi e Silvana Mancuso, considerati anello di collegamento tra la cosca Mancuso ed importanti fornitori – italiani e stranieri di carburante, mettendo a disposizione del sodalizio il loro patrimonio di conoscenze – tecniche e commerciali – e le loro entrature nel settore della commercializzazione del carburante, per consentire al sodalizio il reperimento di nuovi canali di approvvigionamento – anche con modalità illecite – così accrescendone la forza economica e criminale e la capacità di infiltrazione nello specifico settore di interesse dell’organizzazione. Accuse però che, in primo grado, non hanno retto. (g.curcio@corrierecal.it)
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