Tra il Reventino e il Tirreno prima di approdare negli Emirati Arabi. I primi ricordi della sua infanzia sono legati a Soveria Mannelli, un paese bellissimo della Presila. «Profumi, colori, amici cari». E le estati, interminabili, ad Acquappesa Marina. «Il mare blu, il sole cocente e le grandi sbucciature sulle ginocchia per le cadute in bicicletta». Daniela Barese ha ereditato dal padre – napoletano – la passione per i viaggi e la storia, contemporanea soprattutto, la musica classica e l’arte («perché i viaggi cementano il rapporto in famiglia e ricaricano dalla routine della vita quotidiana»). «A 13 anni mi hanno messo su un aereo per un’esperienza di studio in UK, e lì in una classe con adolescenti più o meno della mia età e provenienti da diversi paesi europei, mi sono sentita a casa».
• CHI È Daniela Barese
La sua esperienza lavorativa da segretaria si è svolta principalmente nell’Azienda ospedaliero-universitaria senese: «Ho avuto l’onore di lavorare per due luminari, e stimati amici, del campo della ricerca scientifica. Grazie al prof. Antonio Giordano, ho lavorato per brevi periodi presso il suo Istituto di ricerca oncologica negli Stati Uniti. Per il dott. Michele Maio, immunologo, sono stata segretaria del Nibit, con il quale, al contrario, era il mondo a partecipare ai congressi internazionali organizzati a Siena». È stata anche assistente personale del prof. Cristiano Ciappei dell’Unifi, un’esperienza di un anno, «parentesi lavorativa felice» al rientro a Firenze da Bari, e prima del trasferimento a Dubai. «Attualmente le mie capacità di adattamento, la mia flessibilità ed organizzazione sono a disposizione della mia famiglia. Perché il mio prince charming (principe azzurro – ndr), anche lui nato con la valigia in mano, mi sta regalando amore, risate e innumerevoli traslochi – dice Daniela – . Viviamo per il momento a Dubai. I nostri figli frequentano una scuola dove sono presenti altri studenti provenienti da 180 nazioni, sono perfettamente bilingue inglesi e durante l’anno si festeggia Ramadan, Diwali e Natale con lo stesso entusiasmo. Abbiamo trovato qui “cuginetti” italiani, ed amici cari dai nomi impronunciabili in arabo, indiano, ma anche europei, brasiliani, mauritiano, sudafricano, giapponese etc. etc. Famiglie accomunate dalla stessa caratteristica: l’essere residenti/ospiti negli Emirati Arabi Uniti, con il partner in trasferta 3 settimane al mese e pronti a supportarci, a dare una mano all’occorrenza».
Quando e perché ha lasciato la Calabria?
«Nell’età giurassica ho lasciato la Calabria per motivi di studio. Sono la terza di tre sorelle, ed è stata naturale la scelta di seguirle a Siena, come tanti altri studenti fuori sede. In terra Toscana ho vissuto, studiato e lavorato, senza mai prendere la “c” aspirata… ho pur sempre la ‘nduja che mi scorre nelle vene!».
Rimpiange o le manca qualcosa?
«Vivendo all’estero si sperimenta quello che si chiama lutto migratorio, la nostalgia per i propri cari, il sapere di non poterli raggiungere nell’immediato in caso di bisogno. Sono stati proprio i miei genitori ad insegnarmi che casa è laddove c’è la famiglia, e il lavoro. E come loro prima di me, trasferitisi da Napoli a Soveria, poi Lamezia Terme, seguirò il mio prince charming ovunque. La felicità è un pranzo al sacco, si porta da casa».
Cosa salva della Calabria?
«Sono fiduciosa che le innumerevoli fantastiche persone che ci vivono, ed hanno successo professionalmente, possano continuare a migliorare ed esaltare il suo enorme potenziale».
Cosa non le piace del posto dove vive adesso?
«Dubai era inizialmente un villaggio di pescatori di perle, e in quasi 70 anni è diventata una città futuristica e in continuo divenire, sicura, civile, in cui convivono pacificamente tutte le etnie possibili ed immaginabili. Ha sicuramente dei difetti ma, qualsiasi critica, non merita una risposta».
Com’è strutturata la comunità dei calabresi nel luogo in cui vive?
«Non esiste una comunità di calabresi. Il 90% della popolazione di Dubai è formata da expat (immigrati, letteralmente “espatriati” – ndr), tra cui la comunità italiana nella sua interezza».
Qual è secondo lei la forza dei calabresi fuori dall’Italia?
«L’adattamento al cambiare delle situazioni».
Ci sono, al contrario, degli stereotipi che ci inchiodano a luoghi comuni non più attuali o comunque folkloristici e frutto del pregiudizio?
«La varietà culturale porta a tantissimi pregiudizi e abbinamenti, Colombia/droga, Russia/war, Italy/Italian Mafia. Tra persone intelligenti e open minded (di larghe vedute – ndr), per fortuna l’argomento non si solleva nemmeno per scherzo».
Tornerà in Calabria?
«Non vediamo l’ora di riabbracciare nonni e amici quest’estate, in vacanza, al mare!». (e.furia@corrierecal.it)
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