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Focus | Intervista

Carrieri: «Pensioni adeguate? In Calabria c’è il rischio di non poterle garantire»

Il docente dell’Unical disegna gli effetti per la regione, di denatalità e bassi redditi: «Occorre la base occupazionale»

Pubblicato il: 04/12/2023 – 7:30
di Roberto De Santo
Carrieri: «Pensioni adeguate? In Calabria c’è il rischio di non poterle garantire»

RENDE Promuovere la produttività e l’occupazione. È questa in sintesi la ricetta che individua Vincenzo Carrieri, professore ordinario di Scienza delle Finanze all’Università della Calabria, per contrastare il fenomeno del calo delle pensioni. Per il docente Unical, in Calabria «il rischio di non poter garantire pensioni adeguate a causa di pochi contributi versati esiste». Da qui la necessità intravista da Carrieri, di intraprendere interventi urgenti per «ampliare la base occupazionale».

In Calabria si registra un numero maggiore di pensionati rispetto ai lavoratori attivi

Professore, la Calabria si caratterizza per un alto numero di pensionati. A cosa è dovuto il fenomeno?
«
È vero, tutte le province della Calabria rientrano tra le “famose” 39 province italiane in cui si registrano più pensionati che lavoratori attivi. A Reggio Calabria, addirittura, ci sono 67 lavoratori attivi ogni 100 pensionati. Questo fenomeno è dovuto principalmente a due fattori. Il primo è legato all’invecchiamento della popolazione, causato dalla diminuzione contemporanea della natalità e dall’aumento dell’aspettativa di vita, e riguarda l’intero Paese. Nel Sud, però, si verifica anche un alto tasso di migrazioni interne dei giovani verso il nord del Paese, il che contribuisce ulteriormente a squilibrare il rapporto tra lavoratori e pensionati».

Che impatto ha questa caratteristica sull’economia reale calabrese?
«Il fatto che nella nostra regione ci siano più persone inattive che attive è una spia preoccupante dello stato della nostra economia e della nostra società e riflette i bassi livelli di occupazione e di emigrazione, spesso qualificata, dei giovani verso il nord del Paese. Questo squilibrio genera poi una forte dipendenza dalle pensioni come fonte di reddito all’interno delle famiglie meridionali, in particolare in Calabria. In queste aree, le famiglie svolgono un ruolo chiave come ammortizzatori sociali. La percentuale di individui adulti che ancora risiedono nella famiglia d’origine è infatti molto elevata nel nostro Paese, e nel Sud in particolare. L’età media in cui i giovani lasciano il nucleo familiare d’origine è la più alta d’Europa, intorno ai 30 anni circa».

I dati indicano che le pensioni sono particolarmente basse in Calabria. A cosa ascrivere questa peculiarità?
«Il dato risente del minor numero di contributi versati, dovuto a redditi annuali, salari settimanali e settimane lavorate più bassi nel settore privato, come indicato nell’ultimo rapporto annuale dell’Inps. A ciò si aggiunge anche una quota maggiore di pensioni assistenziali nel Sud. Si osserva anche un’elevata disuguaglianza nei redditi tra il settore pubblico e privato, soprattutto nel Mezzogiorno. Sempre secondo il rapporto dell’Inps, il premio retributivo per lavorare nel settore pubblico rispetto a quello privato si attesta in media all’8% in Italia. Tuttavia, tale premio si riduce al solo 3% nel Nord, ma è di circa il 23% nel Mezzogiorno».

Le pensionate in Calabria percepiscono molto meno dei colleghi

E vi è una netta differenza di genere. Le donne percepiscono ancor di meno dei colleghi. La discriminazione sui salari finisce per penalizzarle?
«Certo, il tema della discriminazione salariale è il più evidente, ma ci sono anche altri fattori da considerare. A parità di età e di settimane lavorate nell’anno, le donne ottengono effettivamente redditi più bassi, soprattutto nel settore privato e nel Sud. In media, la penalizzazione risulta essere del 6,9% nel settore privato e dell’1,9% nel settore pubblico rispetto agli uomini. A ciò si aggiungono, però, altri elementi svantaggiosi. In primo luogo, le donne ricorrono più frequentemente al lavoro a tempo parziale per conciliare il lavoro con le responsabilità familiari. Secondo i dati dell’ultimo rapporto dell’Inps, la quota di lavoratori a tempo parziale è circa l’8% tra gli uomini, ma supera il 30% tra le donne. Inoltre, le donne fanno più frequentemente ricorso alle pensioni anticipate, utilizzando il regime “opzione donna” introdotto nel 2004, che prevede un assegno pensionistico inferiore di quasi il 40% rispetto alla media».

Nel futuro aumenterà il numero di persone con baby pensioni per la trasformazione del sistema solo su base contributiva. Ed in una regione con alto tasso di precariato intravede il rischio di un maggiore impoverimento delle famiglie?
«Il termine baby pensioni è un po’ improprio in quanto evoca il sistema pensionistico agevolato per i dipendenti pubblici che ha permesso a centinaia di migliaia di dipendenti statali di andare in pensione in media intorno ai 40 anni di età. Con i requisiti pensionistici attuali questo rischio non esiste più. Certamente però si assiste alla crescente difficoltà di accantonare un monte contributivo adeguato. La caduta della produzione industriale a favore della cosiddetta “terziarizzazione” dell’economia, insieme alle riforme di liberalizzazione del mercato del lavoro, hanno prodotto delle carriere contributive irregolari ed interrotte con periodi frequenti di disoccupazione, alternati a periodi di occupazione precaria. A ciò si aggiunge il problema della crescita salariale troppo bassa in Italia, dovuta a una produttività stagnante. Secondo gli ultimi dati disponibili, la produttività italiana, intesa come Pil per ora lavorata, cresce ai livelli più bassi tra i paesi Ocse,  ad eccezione della Grecia. In termini di crescita della produttività, la nostra regione è addirittura ultima tra le regioni italiane. Pertanto, in presenza di questi scenari, il rischio di non poter garantire pensioni adeguate a causa di pochi contributi versati esiste».

Cosa è possibile mettere in campo per prevenire le difficoltà future delle famiglie?
«Anche se è una sfida molto complessa, il modo più efficace per evitare queste difficoltà consisterebbe nel promuovere l’occupazione e la produttività, specialmente nel Sud del Paese. La sostenibilità del nostro sistema pensionistico, c.d. “a ripartizione”, è in ultima analisi vincolata a queste due dinamiche. Per quanto riguarda il primo aspetto, è necessario adottare misure per incrementare l’occupazione tra le donne e per integrare i migranti nel tessuto produttivo. Abbiamo, in sostanza, un urgente bisogno di ampliare la base occupazionale, soprattutto, nelle regioni del Mezzogiorno, anche perché eventuali benefici di politiche a favore della natalità non si concretizzerebbero in tempi brevi. La sfida della produttività appare invece ancora più complessa perché dipende da molti fattori strutturali».

La Cittadella ” Jole Santelli” sede della Regione Calabria

E in questo senso, la Regione potrebbe intervenire con misure specifiche?
«Le politiche redistributive dipendono in larga parte dall’amministrazione centrale, mentre il ruolo delle amministrazioni locali è certamente più limitato. Tuttavia, la Regione può intervenire ad esempio sull’efficienza burocratica ed il sistema dei trasporti – solo per citarne alcuni – che sono fattori estremamente importanti per la produttività come ci suggerisce la letteratura economica. Come già accennato, la produttività favorisce la crescita economica e contribuisce in modo determinante anche alla sostenibilità del sistema pensionistico». (r.desanto@corrierecal.it)

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