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Dalla “stagione dei sindaci” alla politica commissariata, i 30 anni del municipalismo tradito

Cosenza ricorda Mancini mentre all’Unical si discute sul perché il dissesto finanziario e i tagli da Roma mettano sempre più a rischio i servizi

Pubblicato il: 06/12/2023 – 10:09
di Eugenio Furia
Dalla “stagione dei sindaci” alla politica commissariata, i 30 anni del municipalismo tradito

COSENZA In un piovoso pomeriggio dicembrino può succedere che un seminario all’Unical e un anniversario nel centro storico raccontino tre decenni di politica, attraverso i numeri da un lato e l’amarcord dall’altro: mentre il capoluogo bruzio si interroga sulla fattibilità del Comune unico (che unisca Rende e Castrolibero a Cosenza), i protagonisti del decennio di Giacomo Mancini sindaco (1993-2002) hanno ricordato il vecchio leone socialista dandosi appuntamento nei soffitti affrescati dell’Arcivescovile, non potendolo fare – ancora per poco – in quella Casa delle Culture che della rinascita di fine XX secolo di Cosenza fu uno dei simboli oltre che traino.
Il tributo è ancora più attuale se si pensa al dibattito, stavolta nazionale, sul premierato e dunque sulla personalizzazione del leader: un processo iniziato già con la cosiddetta “stagione dei sindaci” che ebbe proprio in Mancini un esponente la cui visibilità fu seconda solo a quella dei Bassolino e dei Rutelli? Parallelismo azzardato, eppure è uno dei temi che carsicamente tornano nel dibattito organizzato oggi pomeriggio dal Club Telesio, con uno dei decani del giornalismo cosentino, Antonlivio Perfetti – passato con il suo “Contropiano” dalla fissità della tv locale a Instagram – a pungolare gli attori di quella stagione.

Il dibattito su Giacomo Mancini: carisma e visione

L’elezione diretta dei sindaci e il nuovo municipalismo di Mancini: cosa resta (e cosa manca) dell’esperienza che trasformò il capoluogo bruzio in un laboratorio? Il dibattito ha inizio senza una delle figure (Arnaldo Golletti) che di quel laboratorio fu tra le più importanti, in rappresentanza di un gruppo di giovani esponenti della destra cittadina (Adimari, Falvo) che permisero di chiudere un accordo con cui scardinare i decenni del centrosinistra legato ai partiti tradizionali della Prima Repubblica. Tra gli aneddoti emersi, invece, c’è quello sul ruolo del senatore Ciccio Martorelli – storico esponente del Pci di cui giovedì 7 ricorreranno i 15 anni della morte – candidato “finto” con cui l’accordo era di non rivelare nulla fino a 24 ore prima della presentazione della candidatura di Giacomo Mancini.  
Il 5 dicembre 1993, giorno in cui di fatto nasce la prima sindacatura di Mancini, non è una data qualsiasi perché siamo nei mesi seguenti a Tangentopoli, con gli assetti che cambiano nei Comuni come l’anno prima erano mutati nelle due Camere elettive romane.
«Più che un testimone di quel periodo – esordisce Enzo Paolini, avvocato, già radicale e ai tempi in campo con la lista Cosenza Domani – mi sento il testimonial di un prodotto straordinario e irripetibile, non di  un sistema, quello della elezione diretta dei sindaci, che non ha funzionato, credo per un problema di classe dirigente». Sembra un paradosso fino a quando Paolini non spiega che «il sistema è stabile solo grazie al leader, alla sua autorevolezza al suo carisma alla sua storia; alla forza dei numeri e non del consenso» e qui arriva il primo riferimento nemmeno troppo indiretto al populismo meloniano.   
Paride Leporace parla da giornalista ma anche da candidato sindaco (con la radio comunitaria Ciroma) di quella partita che, trent’anni fa, vide 10 sfidanti: anche a dimostrazione di una grandissima voglia di partecipare lontanissima dall’attuale astensionismo imperante. Ricostruisce il contesto politico e giudiziario (Mancini fu processato a Palmi per presunti rapporti con le cosche e ci fu persino chi azzardò paragoni col processo siciliano di Andreotti) ma anche quello sociale di una città che si ritrovava in affollate assemblee al teatro dell’Acquario – altro monumento cancellato dal tempo – e tributava a una lista sinistrorsa e movimentista oltre milleduecento voti. «Il “potere alla città” di cui parlavamo allora è il civismo di cui si parla oggi» spiega Leporace, e la strategia di Mancini fu ispirata a un’altra parola poi entrata nel lessico quotidiano – «inclusione» – dei ceti deboli come dei quartieri periferici, centro storico e via Popilia su tutti, facendo leva sugli 800 miliardi del Piano Urban come sulla collaborazione dell’associazionismo e della Chiesa più illuminata. «Era quella una Cosenza in cui si registrava il fenomeno inverso rispetto all’emigrazione intellettuale dei giorni nostri – conclude Leporace – e tra i meriti di Mancini ci fu quello di coinvolgere i giovani nelle politiche culturali (riferimento a Invasioni, ndr) ma anche delle donne».
Pierino Rende, forte del lungo e prestigioso cursus honorum nella Democrazia Cristiana e di una riconosciuta «indipendenza intellettuale» anche dal potentato scudocrociato di cui pure faceva parte (lui della corrente Marcora fu tra i pochi cosentini non allineati sulle posizioni misasiane), cita un fondo proprio di Riccardo Misasi sul Mattino (“Pensaci, Giacomino”) sulla possibilità di vedere Mancini sindaco nella sua città. «Giacomo, che col Piano Vittorini e con intuizioni come viale Parco aggregò al centro i quartieri popolari senza creare nessuna “Vela” di Scampia, affronterebbe la sfida sulla città unica da par suo, non con metodo impositivo come si cerca di fare oggi. È un fatto, e ci sarà un motivo, al netto di dinamiche più generali, se Cosenza è passata da 102mila a 60mila abitanti mentre esperimenti precedenti come Lamezia Terme e la più recente Corigliano-Rossano rappresentano territori ben più popolosi»; Rende fa poi notare che l’idea non è del tutto inedita se si pensa alle Unioni dei Comuni vagheggiate a inizio Duemila.
Sulla «visione», altra parola abusata del politichese odierno, è d’accordo anche Mario Oliverio, l’unico sul tavolo a competere con lo stesso Rende se si parla di carriera politica, oltre ad aver accelerato, da presidente della Regione, proprio il processo di fusione di Corigliano-Rossano e Casali del Manco, nel cuore della Presila cosentina: «Il dibattito sul Comune unico è affascinante e imprescindibile ma dovrà essere partecipato e non calato dall’alto, i consigli comunali dovranno esserne protagonisti così come le comunità, coinvolte con referendum vincolanti. Non lasciamo alla destra una bandiera e una battaglia della sinistra». Poi il ricordo di Mancini («La sua idea di municipalismo era quanto di più distante dal campanilismo») e di un rapporto che, da segretario della federazione del Pds voluto da Massimo D’Alema, Oliverio dopo una prima fase di «lacerazioni» impostò all’insegna del dialogo; infine un aneddoto personale: nel 1992 un giovane Mario Oliverio entra per la prima volta in quella stessa Camera dei deputati che per la prima volta dopo mezzo secolo non vede il vecchio Giacomo Mancini seduto tra gli scranni, «una volta finita la seduta andai a chiamarlo dai telefoni fissi di Montecitorio per ringraziarlo, lui si commosse». Anche gli occhi di Oliverio si fanno lucidi e la voce flette, a differenza di quando chiude per dire che «se ci fosse Mancini, il nuovo ospedale e la metroleggera si sarebbero già fatti».

Tutti i volti di un decennio

In platea intanto si vedono esponenti socialisti ma non solo: Pino Tursi Prato – anche lui a suo modo decisivo con la Lista per Cosenza – e Salvatore Magarò, politici di lungo corso come Gianpaolo Chiappetta, la prima donna dirigente di Palazzo dei Bruzi, Antonella Molezzi, e qualche consigliere del decennio manciniano come Eugenio Barca o esponenti di vertice dell’ex Pci come Bruno Villella. Non poteva mancare Davide, l’autista di Mancini che a inizio giornata lo portava in giro per i quartieri a controllare che tutto andasse bene ma anche a raccogliere eventuali lamentele.
Giacomo Mancini, custode di un passato nella Fondazione omonima, parla del nonno chiamandolo per nome e del tempo in cui lui era identificato come “Junior”: «Per la mia generazione il 5 dicembre 1993 è come l’11 luglio 1982, quando l’Italia vinse i Mondiali in Spagna». Ricorda episodi come quella visita del capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi, che il sindaco volle ospite del Municipio e non della Prefettura in modo che fosse più vicino alla gente, ma anche «la fatica di amministrare».
L’architetta Argia Morcavallo era nel Pds che già nel 1994 aveva un’area tematica dedicata all’area urbana: non mancò di scontrarsi anche violentemente sulle politiche urbanistiche manciniane (oggi sembra ridimensionare le posizioni più estreme sulla «cementificazione» legate alla variante del Prg) e criticò «l’abbraccio mortale» con Giacomo Mancini voluto dal Pds cosentino non più guidato da Pietro Midaglia ma da Oliverio. Oggi immagina il contrario del Comune unico, ovvero una città dei servizi sul modello della “Parigi dei 15 munuti” dove tutto sia facilmente raggiungibile, e critica «una continua periferizzazione verso nord» mentre bisognerebbe a suo dire «rendere di nuovo centrale la città vecchia».
Saverio Greco, anche lui entrato in scenda come giovane militante prima e consigliere poi, rappresenta la generazione dei socialisti che vive la fine del Psi per via giudiziaria e conclude la militanza nello Sdi: ricorda quello che definisce il «ribaltone anti-socialista» che nel 2004 aprirà una delle fasi più convulse tra il decennio manciniano e quello occhiutiano (2011/2021) e individua nell’inchiesta sui rifiuti interrati sotto viale Parco «un modo per colpire una cultura di governo e uno dei suoi simboli, oltre che i cittadini»; sul Comune unico, Greco lamenta «una deriva amministrativista senza progetto».
Subito dopo il “generale” Luciano Sergio Crea, il factotum Gigi Ladaga e l’avvocato Pierino Bruno, Pietro Mari era tra i fedelissimi ammessi in quello che potremmo definire il garofano magico: «Il Comune unico escluderebbe il centro storico di Cosenza – osserva l’ex assessore comunale e provinciale – cui Giacomo era molto legato: oltre ad abitarci, spesso faceva notare che qui il Pds aveva una sezione mentre il Psi era in centro città… ». Tra i meriti ascrivibili a Mancini l’aver svecchiato la dirigenza di Palazzo dei Bruzi, puntando su «giovani formati con alle spalle master e una padronanza dell’inglese che permetteva loro di conoscere la normativa europea a Bruxelles» e poi su «consiglieri preparati, anche di destra, che conoscevano e amavano la città». Su settori come i trasporti («BinBus fu un progetto innovativo») o interventi come il piano del traffico («il professor Demetrio Festa lo approntò in quattro mesi, ora ne stiamo aspettando uno da due anni») e quello dei parcheggi, Mari fa intuire di essere sicuro che i progressi di quel decennio siano difficilmente replicabili.

La politica commissariata per i bilanci

Dai tempi della leadership manciniana e del “potere alla città” fino alla futuribile Città unica per gestire il potere (e i finanziamenti), il passaggio al commissariamento della politica può essere tanto rapido quanto doloroso: nelle stesse ore in cui si ricordava il trentennale di un municipalismo forse tradito, andava in scena il secondo appuntamento del ciclo di seminari su “Il commissariamento della politica. Come l’amministrazione straordinaria cambia la democrazia”, organizzati nell’ambito della Ricerca nazionale Prin 2022, che coinvolge le università di Napoli, Salerno, Firenze, Catanzaro e che vede l’Unical come ateneo capofila (responsabile scientifico del progetto prof. Antonio Costabile).
Con una provincia (Vibo) in dissesto finanziario, un’altra (Catanzaro) in difficoltà e una terza (Cosenza) con qualche criticità, la casistica certo non manca nella regione dei commissariamenti per mafia (nel caso dei Comuni sciolti, però, il livello politico e amministrativo viene rimosso). Illuminante, nella sua chiarezza, la lezione di un’ora di Maria Teresa Nardo (Dispes Unical) all’uditorio dell’aula seminari della Scuola Superiore di Scienze delle Amministrazioni Pubbliche: con i continui tagli ai trasferimenti le ricadute gravano sui cittadini e sui servizi, e laddove non arriva il bilancio comunale ecco che gli utenti sono spesso costretti a tassarsi nei cosiddetti servizi a domanda individuale, quelli costituzionalmente garantiti e protetti come gli asili nido, il trasporto scolastico o le mense. Ed ecco che per “fare cassa” i Comuni mettono in vendita i loro impianti sportivi o intervengono su imposta di soggiorno, autovelox, strisce blu, occupazione del suolo pubblico; chiedono un ticket per l’utilizzo delle strutture comunali perché sono obbligati a farlo. Lasciamo l’Unical – una delle battaglie vinte dai politici cosentini della Prima Repubblica – con un interrogativo: chissà Giacomo Mancini come si sarebbe battuto contro le sforbiciate da Roma e i tagli ai servizi. (e.furia@corrierecal.it)

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