L’elettrificazione della linea jonica, il raddoppio della Statale 106, un nuovo ospedale – lo scrivevamo ieri – sono il minimo sindacale che si possa garantire ad un territorio, come la Sibaritide che, da solo, nel triangolo Firmo – Cassano Jonio – Corigliano-Rossano produce più di un terzo dell’economia calabrese. E ci mancherebbe pure che non ci dessero una linea ferroviaria elettrificata o una strada a quattro corsie, dato che, nonostante tutto, continuiamo a viaggiare in groppa al ciuccio. O, ancora, che non ci riconoscessero il diritto a curarci dopo che da oltre dieci anni ci hanno lasciati tutti, disperati, senza un ospedale che sia degno di questo nome. Per il resto, siamo in deficit su tutto: giustizia, presenza dello Stato, presidi di sviluppo e soprattutto di rappresentatività politico-istituzionale.
Se consideriamo che alle nostre latitudini ci sono “rappresentanti del popolo” che scambiano la sede di Unindustria Calabria (dove nei prossimi giorni sarà presentato il piano industriale di Baker Hughes per il porto di Corigliano) con “una industria” a caso, senza meta, dispersa nella Calabria (sig!), dando sfogo a mille elucubrazioni mentali, restituisce la misura di quella che – purtroppo e dannatamente – è la nostra rappresentanza politica.
Di recente stiamo assistendo tutti al dibattito sull’Alta Velocità. Un progetto rimodulato nel tratto del nord Calabria, che – guarda caso – esclude nella nuova versione il passaggio da Tarsia e, quindi, elimina l’aggancio con la Sibaritide. Se fosse accaduto (ma non sarebbe accaduto!) in altre zone d’Italia e del mondo i cittadini e, ancor prima, la politica avrebbe fatto barricate immense contro una decisione che, ad ogni modo, era già stata assunta e assodata nel precedente Piano di fattibilità dell’opera. Senza andare molto lontano, pensate se Cosenza fosse stata esclusa dal ricevere i treni ad alta velocità. Sarebbe successo il putiferio. E invece cosa accade? La linea Praia-Tarsia-Cosenza viene eliminata, però per tenere buone le intemperanze bruzie verrà realizzato il raddoppio del tunnel ferroviario della Crocetta, la galleria Santomarco, che alla fine integrerà nella AV anche il capoluogo di provincia. Chi ne farà le spese? L’area a nord-est, la Sibaritide e il Pollino. Avete per caso notato reazioni fibrillanti da parte dei nostri politici? Nessuna. Purtroppo, c’è da dire che anche la popolazione continua a non collaborare e spesso ad arrabbiarsi solo per cose inutili che restano nel bacino della disperazione locale.
La verità, però, è che noi cittadini del versante jonico, quelli che viviamo (senza consapevolezza) attorno all’antica e potentissima Sybaris continuiamo a piegare la testa come crumiri, continuiamo a tirare la carretta dello sviluppo della Regione, pur rimanendo ammassati nei carri bestiame. Ecco, è da qualche decennio che ci hanno scaraventato nella caverna di Platone e tutto quello che hanno costruito attorno a noi è solo un ologramma di quello che dovrebbe essere un territorio civilizzato; ma che di fatto non lo è.
Ecco, perché, serve adesso una vertenza generazionale perché chi ha governato e amministrato fino ad oggi lo ha fatto, consapevolmente o inconsapevolmente, rimanendo piegato alle direttive dei massimi sistemi calabresi che a noi – per ricordare una proverbiale ed emblematica frase dell’allora governatore Oliverio – ci vedono come «la polpa da spolpare».
Ci sono riusciti. Ci hanno portato all’osso e ora non c’è rimasto più nulla. È rimasto, si spera, solo l’orgoglio di reagire. E chi deve reagire sono i giovani di questo territorio che hanno aperto gli occhi e, seppur con piccoli gesti, si stanno mettendo di traverso contro il mainstream che ha sempre dominato sulla Sibaritide.
Il nodo della questione è che noi, in realtà, non siamo Calabria, forse non lo siamo mai stati. Noi, da sempre, siamo considerati un’altra cosa rispetto al resto della regione. Tutt’altro e niente. E lo vediamo in tante piccole cose. A partire dalla considerazione che i grandi media regionali hanno riservato a questo territorio (che – repetita iuvant – produce un terzo dell’economia calabrese).
Cara Sybaris, la verità è che la Calabria non ti merita. E di questo bisogna farne ammenda. Triste a dirsi, ma vero.
Basta considerare una circostanza su tutte: a Crotone, la città “gemella” a cui da tempo chiediamo considerazione e tendiamo la mano per un progetto comune, ha fatto una battaglia per la mobilità aerea sul suo aeroporto senza considerare minimamente le esigenze della Sibaritide. A chi serve un volo quotidiano da Crotone per Roma? Sicuramente ai cittadini di Crotone, ma non a tutti gli altri del suo hinterland (se non quello catanzarese che ha già un aeroporto!) che solo per raggiungere il Sant’Anna impiegano lo stesso tempo che serve per arrivare a Napoli! Non sarebbe stato meglio battersi per un volo quotidiano a percorrenza più lunga (Milano, Bologna, Verona, Torino o Venezia)? E stesso discorso vale per l’ammodernamento della Statale 106. Avete visto il tracciato che verrà realizzato a Crotone? Viaggia verso sud, in direzione Catanzaro. Certo, perché lì la politica vuole incrementare utenza sulla città capoluogo di regione. Della Sibaritide, invece, non importa niente a nessuno. A ne-ssu-no! Che facciamo? Forse è arrivato il momento di osare di più rispetto ad una grande provincia della Magna Graecia. Per slegare definitivamente i legacci dal Cosenza-centrismo, infatti, è necessario tagliare tutti i ponti istituzionali e politici che ad essa ci legano. E una nuova provincia in Calabria rischierebbe di creare soltanto un feudo, un vassallaggio politico etero-dipendente da Cosenza. Per cambiare davvero, la soluzione è “emigrare” dalla Calabria e, magari, chiedere ospitalità alla Basilicata con la quale ci legano storie, cultura, tradizioni e soprattutto l’aspirazione a costituire con le due grandi pianure della Sibaritide e del Metapontino uno dei più grandi distretti agroalimentari d’Europa. Possiamo farlo, lo possono fare i giovani di questa terra: l’Articolo 132 della Costituzione ci viene in aiuto. Da Rocca Imperiale alla Valle del Trionto, passando per Tarsia e i Paesi arbëresh, portiamo in Lucania una dote di 170mila persone, un tessuto sociale che ha una storia invidiabile e, soprattutto, un terzo dell’economia calabrese. Osiamo!
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