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il processo “reset”

Il patto tra clan e il «patrocinio» imposto agli imprenditori cosentini

Il sistema di alleanze nella mala cosentina favorirebbe una migliore gestione degli affari e la crescita costante della «caratura criminale»

Pubblicato il: 09/12/2023 – 12:05
di Fabio Benincasa
Il patto tra clan e il «patrocinio» imposto agli imprenditori cosentini

COSENZA I rapporti tra i presunti gruppi confederati vengono costantemente richiamati dalla Dda di Catanzaro nell’inchiesta “Reset“. Il processo con rito abbreviato è in corso in aula bunker a Catanzaro e coinvolge molti degli elementi di spicco dei clan orbitanti nella galassia criminale bruzia. Quelli che sono sempre apparsi come gruppi autonomi, secondo l’accusa, sarebbero in realtà protagonisti di un’azione sinergica. Un vero e proprio patto – come ipotizzato dal pm Vito Valerio, sostituto procuratore della Dda, nel corso della requisitoria. Che si concluderà prima del 2024 con la richiesta di pena nei confronti degli imputati.

«Il pacco» di cocaina

Il pubblico ministero annota circostanze e suggerisce episodi, ritenuti sintomatici rispetto alla comunione di intenti criminali tra uomini dei vari clan. È il caso della cessione di un quantitativo di sostanza stupefacente che «Antonio Abbruzzese Antonio fa a Mario Piromallo. Il pm della Distrettuale si riferisce all’acquisto di una partita di cocaina da parte di Antonio Abbruzzese avvenuta a Cosenza nel luglio 2016. A rifornirlo sarebbe stato Mario Piromallo con «un pacco (corrispondente a un quantitativo di almeno 100 grammi) a un prezzo di circa 37-38 euro al grammo». L’episodio «comprova come al di là di quelle frizioni che talvolta possono crearsi tra plenipotenziari che gestiscono articolazioni autonome, quelle frizioni trovano una composizione poi nella gestione affaristica condivisa, perché all’occorrenza gli uni si riforniscono dagli altri, gli uni spalleggiano gli altri nelle strategie complessive criminali del sodalizio, che sono il precipitato di quella originaria pax mafiosa e che di questa originaria pax mafiosa hanno conosciuto evoluzione attraverso l’asse Porcaro o comunque con il gruppo degli Italiani fazione zingara». Il patto poi avrebbe favorito la costituzione della bacinella comune, «dove confluiscono i proventi di tutte le attività estorsive e delle attività relative al traffico delle sostanze stupefacenti e dell’usura».


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L’alleanza Abbruzzese-Porcaro

In questo gioco di alleanze, l’asse forte individuato dalla Distrettuale riguarda Luigi Abbruzzese e Roberto Porcaro, «la cui caratura criminale viene riconosciuta in generale anche dagli altri plenipotenziari e consente di individuare quell’originaria pax mafiosa che assicura la stabilità». In buona sostanza, «vengono ricomposte le piccole, i piccoli contrasti che possono sorgere tra i vari gruppi, in nome di una maggiore solidità e nell’interesse collettivo di un equilibrio criminale, che la confederazione è in grado di assicurare su tutto il territorio e che alla fine dei conti fa comodo a tutti gli esponenti della consorteria». L’ipotesi formulata dall’accusa troverebbe riscontro in un episodio richiamato dal pm nella requisitoria. I protagonisti sono Sergio Del Popolo (ne abbiamo parlato qui), Luigi Abbruzzese detto “Pikachu” e Roberto Porcaro che «mediante minaccia esercitata nei confronti dei diversi venditori ambulanti insediati in occasione della Fiera di San Giuseppe» si sarebbero presentati «direttamente alle vittime a richiedere una somma di denaro, evocando la “referenza” criminale ‘ndranghetistica e la necessità del “patrocinio” dei gruppi criminali» per scongiurare «il danneggiamento e/o l’incendio della relativa bancarella». Quanto costa questa “protezione” non richiesta e non obbligatoria? Il prezzo era «variabile dai 50 euro ai 500 euro». (f.benincasa@corrierecal.it)

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