ROMA «Le scarpe rovinate e aperte, la maglia troppo leggera per il periodo autunnale, lo sguardo perso nel vuoto e una domanda ricorrente: “Quando ci trasferiscono da qui?”. A. ha sedici anni, è originario della Guinea. Ha lasciato il suo paese che era poco più che un bambino e solo dopo un viaggio durato tre anni è riuscito ad arrivare qui, via mare. Ha ancora indosso gli indumenti che gli hanno dato dopo lo sbarco a Lampedusa»: inizia così l’articolo di Eleonora Camilli sulla Stampa oggi in edicola. «Seduto a terra all’interno dell’hotspot di Taranto lamenta di non riuscire a poter contattare la famiglia rimasta a casa. Insieme ai suoi compagni, tutti minori soli, è costretto spesso a scavalcare le cancellate del centro, percorrere la statale e arrivare al paese più vicino per trovare un posto dove connettersi a internet».
«A fotografare la situazione è un monitoraggio compiuto dall’Unicef nei luoghi di frontiera e nelle strutture emergenziali di Sicilia, Calabria e Puglia. Il report racconta come, dal decreto Cutro fino all’ultimo dl minori (133/2023), il cosiddetto Cutro2, ci sia stata una lenta erosione delle tutele previste proprio per i migranti minorenni. A cominciare dalle disposizioni che hanno permesso che i ragazzi dai 16 ai 18 anni fossero ospitati temporaneamente nelle strutture con gli adulti. “Proprio perché nate per scopi diversi dall’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, i centri per adulti non sono calibrati sui loro bisogni. Le condizioni di promiscuità e l’accoglienza negli stessi spazi di gruppi di diversa età e genere, a causa del sovraffollamento, possono comportare importanti rischi, inclusa la violenza di genere” scrive Unicef ricordando che queste strutture versano spesso in condizioni igienico-sanitarie piuttosto carenti, con rischi anche per la salute delle persone presenti. È il caso del vecchio plesso scolastico ad Ardore o i siti di Stilo, Siderno e Portigliola, che nei momenti di intensificazione degli arrivi possono essere adibiti a centri di accoglienza temporanea. L’organizzazione invita per questo a «riportare i diritti dell’infanzia al centro delle politiche di gestione dei flussi migratori».
Tra i centri di accoglienza visitati anche il Cara di Isola Capo Rizzuto, nel crotonese, dove solo una settimana fa un provvedimento urgente della Corte di Strasburgo ha disposto il trasferimento di un minore migrante. Qui gli operatori dell’organizzazione hanno raccolto la voce di altri ragazzi: raccontano di poter uscire raramente e solo in gruppo, quando c’è un accompagnatore disponibile.
Alcuni hanno iniziato le lezioni di italiano ma non un vero percorso di inclusione. «L’approccio di risposta emergenziale adottato rischia di trasformarsi in un’emergenza dei diritti dei minori, spesso minati da trasferimenti non tempestivi e dalla mancanza di attivazione dei servizi necessari».
In tutto – riporta la testata torinese – sono seimila i minori assistiti dall’organizzazione sul totale dei 17mila minori non accompagnati arrivati in Italia dall’inizio dell’anno. Sono 320 invece i casi di grave vulnerabilità registrati in soli quattro mesi e assistiti nei vari progetti attivi anche nel nord Italia. Tra questi c’è Mohamed, 10 anni, arrivato in Italia via mare con la mamma dalla Tunisia. Lo scopo del viaggio era quello di assicurare al bambino con una rara sindrome degenerativa una speranza di vita. Per lui l’unica speranza di sopravvivenza è un trapianto di midollo osseo. Sbarcato in Sicilia è stato subito visitato. Oggi è in cura in una struttura ospedaliera del nord Italia. La madre e il fratello sono ospitati in una struttura di seconda accoglienza.
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