VIBO VALENTIA «La dignità è un valore superiore al potere e al denaro». È uno degli ultimi post su Facebook di Nello Ruello, testimone di giustizia scomparso ormai cinque anni fa all’età di 79 anni. Quella dignità lo ha portato a denunciare, nell’epoca del silenzio, i propri usurai. Non truffatori qualsiasi, ma presunti esponenti del clan Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia. Ruello, storico fotografo della provincia vibonese, ruppe quel silenzio e firmò la prima denuncia contro le ‘ndrine vibonesi da parte di un imprenditore. Scelta che lo costrinse a vivere sotto scorta per tutto il resto della sua vita. Fino a quando, il 15 dicembre 2018, scomparve al termine di una malattia. «L’immagine più bella – scrisse il suo avvocato storico Giovanna Fronte – pur nella tristezza del momento, era rappresentata dagli angeli custodi terreni, i suoi agenti della scorta, che sin da subito, dalla notte di sabato, lo hanno accompagnato nell’ultimo viaggio e consegnato agli angeli celesti».
Un piccolo negozio di ottica, situato in pieno centro, e una carriera da fotografo professionista. «A quei tempi la sua attività andava bene» lo ricorda Franco Gioghà, suo amico e collega. Entrambi facevano parte del Cna, la confederazione nazionale dell’artigianato. Quelle sue qualità, però, attirarono attenzioni, soprattutto di chi, il territorio, prova a controllarlo. Così arrivarono i primi guai. «Un giorno mi chiamò, aveva bisogno di un finanziamento per la sua attività e col Cna lo aiutammo». Poi le cose iniziarono ad andare sempre peggio. «Non riusciva più a pagare i debiti e lo aiutammo ancora, cosa che nessun altro avrebbe fatto in quelle condizioni». I debiti, però, erano troppi. «Mi chiese di incontrarci, ci vedemmo nella sede del Cna. Solo io e lui. Scoppiò a piangere e mi rivelò di essere sotto strozzinaggio». Le lacrime erano, soprattutto, per la famiglia. «Disse che nessuno dei suoi familiari ne era a conoscenza e che non sapeva come uscirne». La decisione fu quella di denunciare, cosa che nessun imprenditore fino ad allora aveva fatto a Vibo Valentia.
«Iniziarono a girare voci su di lui. Si disse che giocava a carte, che aveva il vizio delle donne. Tutti modi per infangarlo» spiega Franco. «Mi litigavo con le persone pur di difenderlo». La denuncia ebbe i suoi effetti, venne effettuata l’operazione Flash che coinvolse il clan Lo Bianco-Barba. Sei persone furono condannate in via definitiva. Tra questi anche Enzo Barba, Paolino Lo Bianco e Paolo Carchedi, poi condannati in primo grado anche nel processo Rinascita rispettivamente a 28, 30 e 12 anni di carcere. «Le persone non si ricordano di quello che ha fatto Nello per Vibo, è una città in cui non c’è memoria». «Se tanti – continua Franco – oggi possono camminare liberi dall’usura è grazie a Nello». Eppure, dopo la riapertura del suo negozio in pompa magna venne quasi isolato. «In pochi andavano a comprare da lui, noi provammo ad aiutarlo in tutti i modi. Alla fine, era abbattuto e solo, si sentiva abbandonato dallo stato». Nel 2014 gli venne anche tolta la scorta. «Questo nonostante i suoi usurai fossero tornati in libertà. Uno di loro abitava vicino a lui, gli passava di fronte e gli diceva “infame, prima o poi dovrai morire”. Noi e Libera lottammo affinché gli venisse restituita la scorta». Alla fine, vinsero la battaglia e da lui tornarono proprio quegli uomini che lo accompagnarono, come ricordava la Fronte, fino alla fine. La sua denuncia diede coraggio ad altri imprenditori a rivolgersi alle forze dell’ordine. «Nello – conclude Franco – era un grande uomo, uno di quelli che andrebbero ricordati sempre. Ha sacrificato se stesso per questa città». (redazione@corrierecal.it)
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