LAMEZIA TERME C’è ancora una distanza siderale da coprire tra gli standard europei e quelli italiani per garantire la piena attuazione di una società integralmente digitale. Troppi i ritardi nei processi di alfabetizzazione digitale ma anche semplicemente di acquisizioni di nozioni informatiche che il Paese sconta per consentire una parità di diritti – anche su questo tema – a tutti i suoi cittadini.
Un divario che finisce per penalizzare oltremodo le aree maggiormente in ritardo di sviluppo come la Calabria. Compromettendo le possibilità di recuperare terreno – se non si acquisiranno rapidamente competenze ed infrastrutture – anche in futuro e condannando ampie fette di territori sempre più alla marginalità.
Di fronte ad una realtà che impone nuovi paradigmi di sviluppo sempre più improntati all’innovazione tecnologica e alla diffusione di una cultura digitale, le precondizioni per rimanere in corsa restano infatti saldamente ancorate alle capacità tecnologicamente avanzate dimostrate da cittadini, istituzioni ed imprese.
Una sfida in campo aperto visto che la nuova frontiera – per la verità in altre aree del mondo già presente – è quella di rendere la società sempre più smart, cioè maggiormente accessibile utilizzando le tecnologie digitali. Questo attraverso sistemi di reti sempre più integrate tra loro ed il cui accesso sarà garantito da totem informatici, smartphone e chiavi di ingresso digitali. Dall’assistenza socio-sanitaria, alla fruizione di servizi essenziali al vivere comune come nettezza urbana, traffico, forniture energetiche e municipali, stanno progressivamente trasformandosi divenendo a portata di click da parte dei cittadini.
Una forma, dunque, di democrazia più compiuta perché resa più accessibile in modo orizzontale a tutti, le cui basi si fondano sulle competenze informatiche e digitali acquisite dai singoli.
Ma quelle precondizioni stanno divenendo fondamentali anche e soprattutto per entrare nel mondo del lavoro, visto che il sistema non solo imprenditoriale è già proiettato in questa nuova realtà e dunque richiede fin da subito quelle competenze. Una sfida alla modernità che interessa nello stesso tempo anche la rete imprenditoriale e quella burocratica dell’intera macchina della pubblica amministrazione. L’una per competere alla pari sui mercati nazionali ed internazionali, l’altra per rispondere – in termini di maggiore efficacia ed efficienza – alle esigenze di cittadini ed imprese.
Una sfida che diviene una sorta di corsa contro il tempo per mettere almeno sul nastro di partenza tutte quelle realtà territoriali che già scontano da anni una serie di ritardi socio-economici di fatto strutturali e che rischiano – se non verranno accelerate fin da subito le procedure – di restare tagliate fuori da questa vera e propria nuova rivoluzione planetaria che interessa tutti gli strati della società: dal mondo delle imprese a quello del lavoro passando più banalmente ad ogni singolo cittadino.
Il filo conduttore o se vogliamo lo strumento fondamentale per garantire una sorta di garanzia all’accesso pieno a questa forma di nuovo diritto alla cittadinanza passa dalla formazione e dalla capacità di tutte le istituzioni di fornire a tutti, quelle competenze di base in materia di informatizzazione e digitalizzazione.
Tanto da poter sostenere che il metro nuovo per qualificare una società come civile, si baserà sulla sua capacità di dare risposte alle esigenze di digitalizzazione che le istituzioni sapranno offrire ai cittadini.
Un indicatore del livello di democrazia che, incrociando i dati di alcuni osservatori, al momento sembra decisamente lontano dal centrare l’obiettivo. Soprattutto per la Calabria dove per infrastrutture pubbliche e private la regione è esempio dei ritardi accumulati dall’Italia. Ed in materia di formazione del capitale umano sconta rilevanti divari non solo digitali.
È nel capitale umano una delle maggiori criticità che sconta la Calabria in termini di formazione digitale. Un ritardo che finisce per creare vere e proprie discriminazioni tra cittadini, impedendo ai calabresi di stare al passo con il resto del Paese e dunque dell’Europa nei processi di digitalizzazione in atto. La mancanza di competenze informatiche e dunque digitali, infatti, si traduce in una vera e propria esclusione dai benefici che derivano dalla trasformazione che la società sta subendo grazie al progresso tecnologico ed alle innovazioni che via via si registrano e che stanno migliorando la qualità della vita anche dei singoli cittadini. Così chi resta indietro lungo questo percorso finisce per essere reietto anche dal circuito produttivo che pretende competenze sempre più specifiche in materia.
E la Calabria in questo campo accusa pesanti ritardi. Già nella formazione di base.
Stando all’ultimo rapporto Desi (Digital Economy and Society Index o Indice dell’Economia e della Società Digitale nella traduzione ufficiale italiana), la regione è tra le ultime in Italia per competenze del capitale umano. Nell’indice ottiene infatti 31,7 punti contro la media nazionale del 37,5 e di 32,1 degli altri territori del Meridione.
Un ritardo che la regione sconta anche nelle competenze di base. Ad iniziare da quelle che i calabresi dimostrano nell’utilizzo di internet. Sempre stando al rapporto Desi, la Calabria in questa classifica ottiene un indice pari a 41,1 punto. In questo campo l’Italia ottiene un indice medio di 46,7 punti mentre il Sud è al 43.
Ed anche nel settore delle competenze avanzate e di sviluppo – che restano appannaggio di laureati e specialisti nelle discipline delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) – la Calabria ottiene un punteggio basso 22,2 punti rispetto alla media nazionale che sale a 28,3. E considerando che nelle competenze digitali del capitale umano cioè tra i cittadini, l’Italia si colloca al 25esimo posto nel ranking dei 27 Paesi dell’Unione europea – in pratica è penultima – si comprende bene come la Calabria resti tra i territori, fanalino di coda anche del Vecchio Continente. Creando discriminazioni nell’uguaglianza dei diritti esercitabili dai cittadini online, un gap che si traduce per questo anche in un divario socio-economico ma anche culturale tra varie aree del Paese.
Ma i ritardi nel campo della formazione sono anche frutto di una cultura digitale ancora poco diffusa a queste latitudini. Retaggio di un’arretratezza che non fa spingere l’acceleratore sui processi di transizione, necessari alla Calabria per fare quel salto di qualità. Figlia anche della debolezza infrastrutturale del sistema di produzione e delle tecnologie presenti in regione.
Manca in altre parole quello che viene definito “ecosistema digitale”, il substrato di competenze e di infrastrutture di base che permettano di avvertire il bisogno di evolversi sotto il profilo tecnologico e di pretendere servizi adeguati ai processi innovativi in corso in altre parti del Pianeta.
Ed in Calabria l’assenza di infrastrutture digitali idonee è elemento di debolezza diffusa sul territorio e che assieme alla penuria di competenze costituiscono le incrostazioni profonde che frenano il processo di modernizzazione della società calabrese.
Per comprenderne la portata basti considerare gli indicatori che misurano la presenza di connettività sul territorio. Sotto questo aspetto la Calabria è ultima per valore Desi. In particolare ottiene 55,5 punti. In Italia quel valore è pari a 63 e 60,2 nel resto del Paese.
In particolare osservando le sottodimensioni legate alla connettività alla rete internet, emerge che per adozione alla banda larga fissa, la regione con 20,3 punti è penultima, preceduta solo dal Molise (16,8 punti). Sotto questo profilo la media nazionale sale a 36,9 e il Sud a 30,8.
Anche per copertura da banda larga fissa, la regione dimostra le sue profonde debolezze. È cenerentola in Italia con 48,3 punti Desi, contro la media nazionale di 61,9 e del Sud pari a 56,8 punti. Un valore che dimostra quanto sia ampio il divario infrastrutturale su rete fissa e che impedisce alla Calabria di ottenere buone performance rispetto alle altre aree del Paese.
Solo in parte compensate dalla diffusione della rete mobile in cui la Calabria risulta in linea con la media nazionale (79,6 su una base italiana di 79,4 punti).
Stando alle risultanze dell’ultimo rapporto Bes dell’Istat, appena un terzo della popolazione che vive in Calabria risulta coperto dalla rete fissa di accesso ultra veloce ad internet. In Italia quel valore sale al 53,7% e nel Mezzogiorno è pari al 52,5%. Dati sintetici che disegnano plasticamente i ritardi infrastrutturali che caratterizzano penalizzando i calabresi.
Con un capitale umano con basse competenze digitali e una rete di connessione alla rete internet largamente deficitaria, la Calabria non poteva brillare per livello di integrazione alle tecnologie digitali della sua rete d’imprese. Infatti anche in questo settore, il sistema imprenditoriale calabrese paga pegno e si colloca nella parte bassa della graduatoria Desi.
Se l’Italia mediamente ottiene un punteggio pari a 39,5, la Calabria si ferma a 34,8 un filo sopra la Basilicata che si ferma al 34,4.
Scendendo nel dettaglio, per intensità digitale di base nelle Pmi, la regione ottiene dal Desi 38,4 punti: in Italia la media è di 50,7 mentre per il Mezzogiorno è pari a 44,4. Un dato che pone la Calabria al penultimo posto, meno di un punto rispetto alla Molise (36,9).
Per tecnologie digitali per le imprese, infine la regione ottiene 36,3 punti rispetto ai 39,7 dell’Italia e i 36,8 del Sud. Anche qui segnando il passo per dotazioni infrastrutturali e di competenze delle imprese calabresi. La mancanza di queste caratteristiche diviene così concausa della incapacità di saper competere ad armi pari con le imprese degli altri territori.
E la comprova della scarsa propensione che le imprese calabresi dimostrano nell’innovazione che arriva dal mondo digitale, arriva anche dalla poca propensione a scommettere sul web. Poche quelle aziende che hanno un proprio sito internet in rete ed ancora meno quelle che attivano canali di e-commerce. Un recente rapporto dimostra che poco più della metà delle imprese possiede una home page aziendale ed appena il 13,3% sceglie la rete per vendere prodotti e servizi generati. Due dati che fanno finire anche in questo caso la Calabria in fondo alla classifica nazionale delle imprese più innovative su questo campo. Segnali di debolezza che se non recuperati in tempo rischiano appunto di far perdere anche su questo terreno la sfida della competizione nei mercati non solo nazionali.
Dal canto suo anche la pubblica amministrazione nel campo delle innovazioni tecnologiche e digitali segna il passo e così facendo non si dimostra amica di cittadini ed imprese. Un assioma che se vale per l’intero Paese, nonostante i profondi passi in avanti compiuti soprattutto dopo l’emergenza pandemica, è ancora più percepibile per la Calabria. Una regione in cui la macchina amministrativa, soprattutto degli enti locali troppo spesso si dimostra restia ai processi di informatizzazione e dunque di digitalizzazione dei processi. Così se l’Italia si colloca al 19esimo posto nei 27 Paesi dell’Unione europea – con un punteggio Desi di 58,2 contro il 67,3 della media europea – il Sud e la nostra regione restano fanalino di coda della nazione. In particolare la Calabria nel campo dei servizi pubblici digitali erogati, ottiene un punteggio pari a 49,2, poco sotto la media meridionale di 50,4 punti. Limiti che finiscono per penalizzare l’accesso rapido a servizi essenziali per cittadini ed imprese rallentando in molti casi, ad esempio, piani di investimento che le aziende hanno programmato in Calabria e così facendo genera incapacità a rafforzare il sistema produttivo e conseguentemente lo sviluppo e l’occupazione sui territori.
Per colmare tutti questi divari, l’Europa ha dato molto credito all’Italia affidando risorse importanti confluite nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Alla transizione digitale, infatti, il Pnrr ha destinato il 27% dell’intera fetta di risorse messa a disposizione dell’Italia da Bruxelles con il Next Generation Eu. Si tratta in soldoni di 41,3 miliardi. Ma considerando che alcuni degli interventi della componente 1 all’interno della Missione 1 del Pnrr e specificatamente quella dedicata alla Digitalizzazione, Innovazione e sicurezza della Pubblica amministrazione, sono tra quelle definite «critiche» dal Governo, il rischio di compromettere il raggiungimento di questi obiettivi resta altissimo.
Un aspetto evidenziato anche dall’ultimo rapporto della Svimez che parla esplicitamente di «un rischio di fallimento». Un’eventualità che se si dovesse concretizzare comporterebbe conseguenze pesantissime soprattutto per quei territori, come quello calabrese, che più di altri necessiterebbero di accelerare sul fronte dei processi di innovazione e di digitalizzazione dei sistemi. Con effetti dirompenti anche sul futuro della regione. (r.desanto@corrierecal.it)
x
x