LAMEZIA TERME «Sempre più indirizzati verso un percorso di studi che possa fornire un adeguato ingresso nel mondo del lavoro, l’occupazione resta tra le priorità dei giovani, disposti anche a cambiare città o regione per un lavoro più soddisfacente sia in termini economici che di allineamento con la loro formazione. Fiduciosi nelle proprie capacità per il raggiungimento degli obiettivi personali, quasi la metà di loro (45,3%), al contrario, ripone fiducia nelle istituzioni in generale con una netta prevalenza delle “altre istituzioni” (magistratura, forze dell’ordine, realtà religiose, associazioni di volontariato, etc.) su quelle maggiormente politiche: 59,9% a fronte del 27,4%». È quanto emerge dal progetto Ibeg sul benessere giovanile, con capofila Demoskopika e partner il Consorzio Universitario di Economia Industriale e Manageriale e la società TI&SI, finanziato dalla Regione Calabria nell’ambito dell’Azione 1.3.2 del Por Calabria Fesr Fse 2014‐2020 “Sostegno alla generazione di soluzioni innovative aspecifici problemi di rilevanza sociale, anche attraverso l’utilizzo di ambienti di innovazione aperta come i Living Labs”, con l’obiettivo di promuovere e sperimentare modalità innovative di avvio di processi di ricerca e sviluppo. Coinvolti ben 3mila giovani residenti nelle due “aree pilota” individuate in questa prima fase, Catanzaro e Vibo Valentia.
«La maggior parte – prosegue Demoskopika – ha relazioni familiari e sociali più che soddisfacenti, dichiarando di vivere stabilmente con la propria famiglia di origine e puntando soprattutto sugli amici (96%) in caso di bisogno. E il tempo libero? Per ben 8 su 10 non manca il quotidiano appuntamento con attività culturali legati alla cosiddetta “grande serialità” televisiva (Netflix, Sky, etc.) seguito, in modo più che significativo da un sincero interesse per la lettura di quotidiani on-line (71,6%) e libri (45,3%) oltre che dal praticare attività sportive (39,9%). E i social? La maggior parte dei giovani usa principalmente Instagram (83,1%) con qualche tendenza rilevata da non sottovalutare: 1 giovane su 4 manifesterebbe una certa propensione o un livello patologico di dipendenza, con i giovanissimi (18-23 anni) più a rischio. Un dato ancora più allarmante se inferito alla popolazione giovanile residente nei territori comunali individuati: oltre 5,5 mila under 35 entrerebbero nell’area ritenuta a “rischio medio-alto” di dipendenza da social. E il futuro? La quota di giovani che guarda in avanti con ottimismo, pensando che la propria situazione nei prossimi 5 anni migliorerà, va oltre il 62%».
Condizione abitativa: il tradizionalista, l’autonomista e l’indeciso. Più di 7 intervistati su 10 (74,5%) vivono stabilmente con la propria famiglia di origine, quota che sale all’89,0% nella fascia d’età intermedia (24-29 anni) e al 96,5% in quella più giovane (18-23 anni). (GRAF 2) Emergono alcune categorie giovanili degne di essere menzionate: il tradizionalista, l’autonomista e l’indeciso. Nel primo profilo rientrano coloro i quali, al netto di chi sta ancora studiando, preferiscono vivere con i propri genitori senza alcuna esigenza di andare a vivere “fuori casa” e dunque idealizzano il nido familiare come la loro comfort zone dalla quale non allontanarsi. Appartiene a questa categoria il 13,8% dei soggetti intervistati, che ha dichiarato di vivere bene in casa con i genitori mantenendo, comunque, il proprio spazio di libertà. Comportamento diametralmente opposto vale per il 27,8% del campione raggruppato nella categoria dell’autonomista. Questo profilo, pur manifestando una convinta volontà di abitare autonomamente, non ne ha l’opportunità perché non è in grado di sostenere le spese di un affitto o, peggio ancora, dell’acquisto di una casa (13,3%) e soprattutto perché non riesce a trovare un lavoro stabile (14,5%). Il 3,7% degli under 35, infine, può essere ascritto alla categoria degli indecisi, raggruppamento in cui si tende in maniera continuativa a procrastinare alcune fondamentali scelte di vita personali, e quindi a compiere, in altri termini, quei passaggi cruciali per tracciare la transizione verso l’età adulta.
Occupazione: “disallineamento” con percorso di studi per oltre il 60% degli under 35. Ben il 63,4% dei giovani interpellati, attualmente occupati, ritiene che il lavoro che svolge non abbia una connessione rilevante con il proprio percorso di studi o di formazione. Di questi il 26,1% ritiene che vi sia una connessione di tipo marginale, mentre il 37,3% lamenta una assoluta mancanza di connessione. Sul versante opposto, dato tutt’altro che trascurabile, il 36,6% degli intervistati ritiene esista una forte connessione del proprio lavoro con il percorso formativo realizzato. Nel complesso, dunque, emerge, un “disallineamento” tra le competenze acquisite e il lavoro che si svolge, che supera il 60% degli occupati under 35 coinvolti nell’indagine.
Mercato del lavoro: i giovani non si piegano al “nero”, solo il 3,7%. Ben 6 giovani su 10 (63,2%) stanno cercando lavoro da più di un anno, mentre per il 27,4% la ricerca va da 6 a 12 mesi; molto più contenuta invece la quota di giovani che cerca lavoro da meno tempo, ossia da meno di 6 mesi, l’9,4%. È la componente femminile ad alimentare maggiormente l’insieme dei disoccupati di lunga durata (66,3% vs 59,2%), così come i soggetti con un più basso livello di istruzione rispetto ai laureati (81,2% vs 65,2%). Ma i giovani interpellati quale retribuzione minima sarebbero disposti ad accettare pur di inserirsi nel mondo del lavoro? Il 26,5% qualsiasi remunerazione purché regolarizzata, una posizione attestante la percezione di un marcato senso di debolezza contrattuale. Il 30,7% accetterebbe un salario di almeno 1.000 euro, che nell’immaginario collettivo rappresenta il salario “medio” richiesto per una prima esperienza di lavoro. Il 14,6% uno stipendio superiore a 1.000 euro, il 12,4% uno stipendio che va da 500 a 700 euro, al 12,1% dei giovani andrebbe bene una somma minore di 700-900 euro, mentre solo il 3,7% accetterebbe qualsiasi somma, anche in nero.
Social: Instagram svetta su tutti. È rischio dipendenza per 1 giovane su 4. Quali sono i social network più utilizzati dai giovani? In testa si colloca il social di Meta basato sulla condivisione di foto e video brevi, ossia Instagram, frequentato da più di 8 giovani su 10 (83,1%), seguito da Facebook che si situa al secondo posto con il 72,5%. Seguono in una posizione intermedia Youtube con il 50,7%, e Tik Tok con il 37,6%. Meno rilevante la frequenza di utilizzo degli altri social network tra i quali si possono citare, ad esempio, Twitter (10,7%), Linkedin (9,7%), Pinterest (6,3%) e Snapchat (5,2%). (GRAF 7) Ma, oltre alle innegabili potenzialità, i social media nascondono anche rischi e pericoli e, fra questi, la “dipendenza da social media” o “Social media Addiction”, che si riferisce ad un tipo di dipendenza comportamentale, caratterizzata dall’eccessivo e incontrollabile bisogno di accedere a essi. E così, utilizzando la Bergen Social Media Addiction Scale per misurare il rischio di Social Media Addiction, i ricercatori hanno rilevato alcuni comportamenti preoccupanti. Se, in particolare, il 75,2% dei giovani intervistati presenta un basso livello di dipendenza (“Low Addiction”) dai social media, risulta altrettanto allarmante il 24,8% che manifesta un livello significativo di dipendenza: il 15,9% si colloca nell’area “Moderate Addiction”, con una certa propensione, dunque, alla dipendenza, e l’8,9%, è inclusa addirittura nell’area “High Addiction” indicante un livello patologico di dipendenza. Un dato ancora più allarmante se inferito alla popolazione giovanile residente nei territori comunali individuati: oltre 5,5 mila under 35 entrerebbero nell’area ritenuta a “rischio medio-alto” di dipendenza da social. Analizzando, infine i dati per variabili demo-sociali, le donne (27,4%) risultano essere maggiormente dipendenti rispetto agli uomini (22,4%), i giovanissimi (18-23 anni) più dei meno giovani (30-35 anni) con il 31,6% a fronte del 19,7% e chi possiede un titolo di studio basso (25,5%) rispetto ai laureati (19,3%).
Aspettative: giovani confidano nel futuro per uscire dalla dipendenza economica familiare. Se è vero che quasi la metà del campione (45,6%) dichiara di dipendere, economicamente, ad oggi, dai genitori è altrettanto vero che ciò non fiacca la fiducia sulle prospettive future. In particolare, la quota di giovani che guarda al futuro con ottimismo, pensando che la propria situazione nei prossimi 5 anni migliorerà, è pari al 62,6%. Per il 23,8%, invece, la propria situazione personale non subirà cambiamenti, ma “resterà la stessa, mentre poco più di un intervistato su 10 (12,9%) esprime incertezza. Infine, solo una quota esigua, lo 0,7%, prevede un peggioramento. (redazione@corrierecal.it)
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