CATANZARO Le preoccupazioni degli affiliati alla cosca degli Scalise dopo l’arresto di Marco Gallo per l’omicidio dell’avvocato lametino Francesco Pagliuso, si inquadrano «nell’ambito della faida scoppiata con i Mezzatesta e perché rischiava di compromettere la tenuta della cosca sessa». Lo riportano i giudici nelle motivazioni della sentenza che, lo scorso giugno, ha portato alla condanna all’ergastolo di Luciano Scalise, considerato il mandante dell’omicidio e la rideterminazione della pena per il padre, Pino, condannato a 23 anni, 10 mesi e 20 giorni di carcere e assolto da tre reati, tra i quali l’omicidio dell’avvocato lametino. Secondo i giudici, però, Marco Gallo «è il killer della ‘ndrina di Decollatura capeggiata da Pino Scalise e il figlio, Luciano, e il suo arresto avrebbe aperto – come poi è realmente accaduto – scenari tragici per la famiglia».
Ma per i giudici c’è molto di più e mettono sul tavolo addirittura due piste possibili sui mandanti del legale lametino: da una parte Pino Scalise, dall’altra gli esponenti della famiglia Iannazzo che comunque «non esclude la responsabilità di Luciano Scalise in qualità di mandante e organizzatore». Per i giudici, infatti, è altamente inverosimile che «tale omicidio che si può definire eclatante, per la risonanza e il clamore che avrebbe causato e le possibili ricadute negative su tutta la criminalità organizzata del lametino, sia stato ordito da Luciano Scalise senza l’avallo di qualche criminale maggiorente». Ed è proprio su questo aspetto che si apre l’alternativa prospettata: potrebbe essere stato il padre Pino a fornire il proprio assenso oppure la cosca lannazzo cui appartenevano, in origine, sia Giovanni Vescio che Francesco lannazzo, i due uccisi da Domenico Mezzatesta, prima di unirsi alla cosca Scalise, mantenendo comunque i rapporti tra le due consorterie criminali.
Per come è emerso dal dibattimento e come riportano i giudici nelle motivazioni, «l’omicidio Pagliuso si inserisce nell’escalation criminosa che ha contraddistinto la faida tra la ’ndrina Scalise e la famiglia Mezzatesta». Esclusa, poi, la possibilità di un allontanamento di Luciano Scalise dalla propria famiglia per avvicinarsi ai Mezzatesta. Anzi, così come è emerso, quest’ultimo aveva assunto invece un ruolo di vertice della cosca dopo la morte del fratello Daniele. Che fosse necessario il via libera alla decisione di Luciano Scalise di eliminare l’avvocato Pagliuso è emerso, poi, dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tra cui Angelo Torcasio, Rosario Cappello e Gennaro Pulice.
Particolarmente importanti, secondo i giudici, le dichiarazioni di Assunta Pagliuso, sorella del defunto avvocato. «Mio fratello ha difeso Pino e Daniele Scalise fino più o meno al gennaio 2013, quando c’è stato il duplice omicidio di Decollatura» «qualche giorno dopo, nel corso dell’udienza di discussione di un processo tenutosi in Cosenza In cui Daniele Scalise era imputato difeso da mio fratello, sia Vescio che Iannazzo hanno presenziato all’udienza alle spalle di mio fratello» «Preciso che nel corso del processo dinnanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro a carico di Domenico e Giovanni Mezzatesta, imputati per il duplice omicidio di Vescio e Iannazzo, difesi entrambi dal nostro studio, mio fratello fece nomi, cognomi e collegamenti tra le varie famiglie coinvolte e in particolare gli Scalise, Vescio e Iannazzo e dei loro interessi su taluni appalti per la costruzione della super strada del Medio-Savuto».
Proprio in merito alla sentenza di condanna emessa a carico di Domenico e Giovanni Mezzatesta nel processo per il duplice omicidio di Giovanni Vescio e Francesco lannazzo, l’avvocato Pagliuso è riuscito a ottenere un importante risultato difensivo, «poiché la Suprema Corte di cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d’Appello, limitatamente alla sussistenza dell’aggravante della premeditazione (che è stata poi esclusa definitivamente), evitando così l’ergastolo ai propri assistiti». La sentenza d’appello annullata è stata emessa il 24 marzo 2015 mentre la sentenza della Corte di cassazione, che l’ha annullata limitatamente alla premeditazione, è dell’8 giugno 2016. Per i giudici, dunque, la stretta contiguità temporale tra la sentenza e l’omicidio di Francesco Pagliuso è di «grande evidenza. Anche perché, scrivono i giudici nelle motivazioni, «la parte che questa Corte ha ritenuto maggiormente rilevante delle suddette dichiarazioni, è quella nella quale la stessa avvocatessa Pagliuso ha annoverato anche la famiglia lannazzo tra i possibili soggetti interessati all’omicidio del fratello, il quale, pubblicamente e in un’aula di giustizia, aveva svelato la natura degli interessi criminali delle cosche Scalise e lannazzo e della famiglia Vescio, relativi ai lavori appaltati per la costruzione della strada “Medio Savuto”, gli stessi per i quali è riesplosa la faida tra gli Scalise e i Mezzatesta».
Per i giudici, inoltre, è molto probabile che il «fine perseguito da Luciano Scalise era anche (e soprattutto) quello di “punire” la vittima per aver tradito la sua cosca, di cui nel frattempo era divenuto co-reggente, dopo la morte del fratello – non solo perché aveva assunto la difesa legale dei due Mezzatesta, con il consequenziale abbandono di quella in favore degli Scalise ma, soprattutto, perché aveva salvato dall’ergastolo i predetti Mezzatesta, responsabili del duplice efferato omicidio». (g.curcio@corrierecal.it)
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