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L’intervista

Rizzi: «Mafie globalizzate, la ‘ndrangheta legata a Primeiro»

Il vicecapo della Polizia a La Verità: «La buona notizia è che l’Italia ora esporta metodo e cultura dell’antimafia»

Pubblicato il: 21/12/2023 – 9:12
Rizzi: «Mafie globalizzate, la ‘ndrangheta legata a Primeiro»

ROMA «Non esiste più un concetto di radicamento territoriale delle mafie. Esse sono globali e globalizzate. Si formano alleanze tra organizzazioni mafiose di vari Paesi, la ’ndrangheta col Primeiro comando da Capital, una delle più pericolose organizzazioni criminali brasiliane, il Primeiro comando si allea con il cartello di Sinaloa, le mafie albanesi vanno in Ecuador per gestire il narcotraffico per conto magari del cartello messicano di Jalisco. Sono scenari globali. Oggi la buona notizia è che l’Italia, non esporta mafia, ma metodo e cultura dell’antimafia. Vedasi, ad esempio, le tecniche utilizzate a livello di Europol di contrasto all’infiltrazione della criminalità organizzata negli appalti pubblici per i fondi del Pnnr». Così Vittorio Rizzi, vicecapo vicario della polizia di Stato spiega i mutamenti che le organizzazioni mafiose hanno subito negli anni. In una lunga intervista a La Verità, Rizzi racconta come sono cambiate le tecniche investigative e come è divenuto fondamentale l’apporto della tecnologia nelle indagini. «L’evoluzione tecnologica – spiega – ha dato una forte accelerazione a una serie di tecniche d’investigazione forense, con possibilità di riconsiderare alcuni casi del passato. Tra il 2005 e il 2006 ho iniziato a sperimentare le investigazioni sui casi pregressi. L’idea piacque all’allora direttore dei servizi centrale operativo, che la costituì a livello nazionale».
Mentre tra i delitti risolti grazie alle nuove tecniche investigative ricorda quello di Maria Scarfò compiuto la sera del 29 dicembre 2000 a Roma e spiega l’importanza di individuare il responsabile anche a distanza di anni ed a prescindere «del fatto che il responsabile del delitto sia morto o no»
«L’obiettivo non è tanto di arrivare a mettere le manette a qualcuno – spiega a La Verità il vicecapo della Polizia – ma di dare un nome al responsabile e giustizia a una vittima, ridare dignità a una persona. Alle volte, quando non si è identificato l’autore di un delitto, possono nascere tanti rumor. Come nel caso di Maria Scarfò. Faceva la barista in zona Quadraro, a Roma, e sparì in circostanze misteriose poco prima di Capodanno. Questa storia ha profondamente distrutto la sua memoria di Maria Scarfò. Si parlò di amanti, storie clandestine. In realtà era stata vittima di un omicida e stupratore seriale che, dopo l’uccisione della Scarfò, aveva tentato altre violenze. Era vivo, è stato identificato e arrestato nel 2007, grazie all’esame del Dna sul liquido seminale, di quest’uomo, correttamente conservato nei laboratori della Scientifica. Abbiamo restituito dignità a questa vittima e la possibilità, alla sua famiglia, di elaborare il lutto».
Il vicecapo della polizia cita tra le indagini più delicate a cui ha dato un contributo fondamentale, il delitto di Marco Biagi. Rizzi racconta, «si trattava di un attentato terroristico, studiato ed elaborato nei minimi particolari, con un’attività di preparazione di quasi due anni. Una cosa è investigare su un delitto d’impeto e, un’altra, è lavorare su una premeditazione di due anni da parte di una formazione terroristica che fa dell’anonimato e della sua sicurezza la propria mission. Li abbiamo arrestati tutti».

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