CATANZARO Pene pesantissime quelle invocate nell’aula bunker di Catanzaro da parte dei pm della Dda di Catanzaro Vincenzo Capomolla, Vito Valerio e Corrado Cubellotti per gli imputati del processo con rito abbreviato scaturito dall’inchiesta denominata “Reset“. Sono da poco passate le 15 quando i magistrati elencano nomi e richieste pena, mentre gli avvocati dei 119 imputati prendono nota. Nessuno “sconto” per chi viene considerato dall’accusa figura apicale della ‘ndrangheta cosentina riconducibile al clan degli “Italiani” e alla famiglia degli Abbruzzese, meglio conosciuta come “Banana”.
Venti anni (il massimo della pena) sono stati chiesti per Marco Abbruzzese, Luigi Abbruzzese e Nicola Abbruzzese, Salvatore Ariello, Francesco Patitucci, Michele Di Puppo, Umberto di Puppo, Adolfo D’Ambrosio, Mario Piromallo detto “Renato”, Marco D’Alessandro, Carlo Drago, Carlo Lamanna, Ettore Lanzino, Gianluca Maestri, Antonio Marotta, Erminio Pezzi, Franco Presta, Gennaro Presta, Roberto Porcaro, Maurizio Rango, Ettore Sottile, Attilio Superbo.
Nell’elenco degli imputati per i quali è stata avanzata una richiesta pena pari a 20 anni di reclusione figurano anche i boss ergastolani Gianfranco Ruà e Gianfranco Bruni. Con la chiusura dell’inchiesta, è stato contestato nei loro confronti il favoreggiamento del boss Francesco Patitucci. Ruà e Bruni avrebbero reso, secondo l’accusa, in Assise, lo scorso anno, false dichiarazioni sul duplice omicidio di Marcello Gigliotti e Francesco Lenti, avvenuto nel febbraio del 1985 a Rende. Ruà e Bruni, «nel corso del processo», avrebbero resto «dichiarazioni escludenti la responsabilità» di Patitucci, aiutandolo a «eludere le investigazioni circa il suo coinvolgimento nella vicenda omicidiaria». In particolare, Ruà in una udienza del marzo 2021, «in sede di confronto» con l’altro imputato Franco Pino, ex capomafia di Cosenza, avrebbe reso «dichiarazioni mendaci». Pur autoaccusandosi, «per la prima volta dopo la sua condanna in primo grado», di aver partecipato al duplice omicidio, avrebbe alterato «la ricostruzione dei fatti e l’individuazione dei soggetti coinvolti» per «accapponare «dalla medesima accusa Francesco Patitucci».
Gianfranco Ruà ha preso la parola per rendere dichiarazioni spontanee nel corso dell’udienza del 26 ottobre 2023, in aula bunker a Catanzaro, nell’ambito del procedimento che coinvolge gli imputati che hanno optato per il rito abbreviato: «Lo dice Franco Pino che Patitucci non c’entrava all’epoca, oggi lo accusa e gli danno i benefici. Io che lo dico io non mi vengono date nemmeno le attenuanti, anzi, dicono che ho detto una bugia». La circostanza è stata ribadita dal boss in una missiva, inviata – tramite i suoi legali – alla redazione del Corriere della Calabria (LEGGI TUTTO).
I magistrati della Distrettuale illustrano i passi compiuti prima della formulazione delle richieste di pena. In primis, l’accusa si è soffermata sul reato più grave, vale a dire l’associazione. E’ stato provato «il carattere armato dell’associazione di ‘ndrangheta e che le attività economiche di cui gli associati hanno inteso assumere o mantenere il controllo siano state finanziate con il profitto dei delitti». Il riferimento è, ad esempio, ai settori del gaming e della security, alle fittizie intestazioni di beni e società. In conclusione, le pene formulate e richieste rispettano una forbice che va, per i partecipi alla presunta associazione, da 16 a 30 anni di reclusione, e per i promotori, da 20 a 30 anni di reclusione. Adesso la parola passerà agli avvocati del collegio difensivo, che fino al mese di luglio 2024 si alterneranno nelle discussioni delle pozioni dei rispettivi clienti. Sempre in estate è prevista la sentenza. (f.benincasa@corrierecal.it)
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